Le agenzie di rating sono nel mirino dei governi. Con le loro scelte molto spesso discutibili sono capaci di far crollare la fiducia degli investitori in società e nazioni. Ne sono un esempio i downgrade, a ripetizione, di Grecia, Irlanda e Portogallo, che hanno peggiorato la stabilità delle piazze finanziarie europee. Eppure, le agenzie di rating non fanno altro che tastare il polso della solidità di un’entità economica. Standard & Poor’s, Moody’s e Fitch sono le tre società più celebri, tutte e tre statunitensi. E nonostante la loro cittadinanza, non hanno avuto particolari remore a mettere sotto osservazione (nel caso di Moody’s e Fitch) e downgradare (nel caso di S&P) il debito Usa. A esse si è aggiunta da pochi anni la cinese Dagong, la prima agenzia, mesi fa, a declassare Washington (ma la Sec, la Securities and Exchange Commission americana, rifiutò il giudizio «per l’impossibilità di supervisionare le operazioni dell’agenzia che ha sede a Pechino»).
Enron, Parmalat, mutui subprime, Lehman Brothers. Sono questi, almeno in Italia, i casi più celebri degli errori di valutazione delle società di rating. Del resto, gli uomini sono fallibili ed essendo le agenzie composte da uomini, è facile capire l’errore. Tuttavia, non sono pochi gli esempi in cui la valutazione di una società diventa più discrezionale del solito. Questo il caso di Berkshire Hathaway, il colosso finanziario di Warren Buffett appena declassato da Standard & Poor’s. Colpa, secondo i maligni, non tanto dell’esposizione al debito americano, quanto del downgrade compiuto da Moody’s (partecipata al 12,5% da Buffett) nei confronti di S&P.
In questo mare magnun dei rating, della tripla A e del default, c’è anche spazio per la mina vagante di turno. Si tratta, come detto, della cinese Dagong, la più celebre agenzia di rating fuori dagli Stati Uniti. Dagong è famosa per i suoi giudizi tranchant e, molto spesso, anticipatori del mercato. Non è un caso che, per l’agenzia di Pechino, la perdita del rating AAA da parte degli Usa era già avvenuto diverso tempo fa. Lungimiranza o masochismo da parte della Cina? Secondo i più, compreso il premio Nobel Paul Krugman, si tratta della prima opzione.