Prima di sapere con certezza quali saranno le misure di questa manovra d’agosto, dei provvedimenti si parla per indiscrezioni. Per i lavoratori autonomi, atipici come quelli riuniti in Acta (Associazione Consulenti Terziario Avanzato), si profila una maggiorazione Irpef che potrebbe partire da quella del 41%, a partire da sopra i 55 mila euro lordi annui.
«Non è accettabile. Per i lavoratori dipendenti del settore privato si parla di una soglia di 90 mila euro. Vorremmo pari trattamento, non situazioni diverse. A volte si ha l’impressione che queste proposte vengano buttate lì, per vedere l’effetto che fanno». Anna Soru è presidente di Acta, una delle rare forme di associazione dei lavoratori autonomi, atipici. «Siamo una particolare categoria di lavoratori autonomi, non siamo commercianti né contadini, non apparteniamo alle professioni protette da Ordini ma siamo tra i lavoratori indipendenti quelli più “moderni”, figli di un sistema che è stato chiamato “postfordismo”. Ci muoviamo nell’universo, nel mercato, dei beni immateriali», scrivono nel loro Manifesto dei lavoratori autonomi di seconda generazione.
Che tipo di reazione ha avuto davanti alle indiscrezioni di innalzamento dell’Irpef per i lavoratori autonomi?
«Si pensa sempre che gli autonomi siano evasori, ma chi evade continua a non pagare e se una persona non vuole o non può evadere, è doppiamente penalizzata. Non essendo sicuri di un reddito, dobbiamo poter mettere da parte risorse per gli anni di magra, anche perché per noi non esistono cassa integrazione, malattia o altre forme di tutela».
E rispetto alle modifiche paventate al sistema pensionistico?
«È stato ventilato anche un aumento dei contributi pensionistici fino al 33%. Spero veramente che non accada, perché i lavoratori autonomi iscritti alla gestione separata pagano già tantissimo. Paghiamo quanto i dipendenti, se ci confrontiamo sulla stessa base di calcolo. Non solo, paghiamo il doppio di chi appartiene a una professione con un ordine, ad esempio un ingegnere informatico paga la metà dei contributi di un informatico con partita Iva che non è ingegnere».
Della necessità, sottolineata nella lettera della Bce, di cui ha parlato il ministro Tremonti di rendere più flessibile il mercato del lavoro cosa pensa?
«Si tratta di un tema estremamente delicato. Il mercato del lavoro è fatto a vasi comunicanti. Va anche detto che purtroppo quando si perde qualcosa non sempre si ottiene un corrispettivo. Con riferimento alla nostra situazione, vorremmo intanto ottenere certezza di pagamento, così come un trattamento equiparato a quello dei dipendenti nelle situazioni di fallimenti dei clienti, dove il dipendente è comunque privilegiato rispetto al lavoratore autonomo, che è trattato come un qualsiasi altro creditore. È difficile immaginare riforme epocali di cui si discute molto, ma che non arrivano mai. Fino ad ora ci siamo fermati alle enunciazioni».
Non crede che aumentare la flessibilità in uscita potrebbe essere anche un sistema per aumentarla in entrata, e magari retribuire maggiormente chi non lavora con un contratto stabile?
«Sarebbe corretto, da autonomi, essere pagati più di quanto percepisce una persona con un contratto a tempo indeterminato. Un tempo era così: il mercato riconosceva un premio al rischio. Poi è andato perso, anche per colpa della crisi e del fatto che in alcuni settori c’è un eccesso di offerta. Non so come nella situazione attuale sia possibile garantire un reddito maggiore se uno è esterno. Quello che vorremmo è che lo facesse almeno la Pubblica Amministrazione, che tra l’altro paga con grandi ritardi».
Esiste un fenomeno di sostituzione di contratti dipendenti con rapporti di lavoro autonomo, a parità di mansioni?
«Il mercato del lavoro si è fermato nel 2008. Le aziende hanno mantenuto i livelli occupazionali che avevano, anche grazie alla cassa integrazione. I nuovi contratti che ci sono stati, sono spesso di altro tipo: dalle collaborazioni alle partite Iva. Lo stesso ministero delle Finanze sottolinea la forte crescita di under 30 che aprono una partita Iva, che il ministero giudica una forma di imprenditorialità, ma forse molti lo hanno fatto perché non c’era alternativa. Al di là delle motivazioni che spingono una persona ad aprire la partita Iva, vorremmo maggiore equità per tutti».