Ultimo aggiornamento 13.25
Al giro di boa della seduta rimangono pesanti le vendite sui listini europei. A Milano il Ftse Mib, ieri maglia nera in Europa, cede il 2,91%, il Cac 40 di Parigi il 3,25%, mentre a Londra il Ftse 100 lascia sul terreno 2,76 punti percentuali. Più difficile la situazione a Francoforte, dove il Dax perde poco meno del 4 per cento. Tra i titoli peggiori di Piazza Affari permane ancora la galassia degli Agnelli (Fiat Industrial -6,5%, Fiat -4,85% ed Exor -3,92%), oltre a Intesa Sanpaolo (-4,60%) e UniCredit (-4,19%). I due istituti di credito, secondo quanto si legge sugli schermi della Cnbc, hanno perso rispettivamente l’8,6 e il 13% della loro capitalizzazione in una settimana.
Sui mercati del debito, il differenziale di rendimento tra i Btp decennali italiani e i bund tedeschi, dopo aver aperto a 287,29 punti base ed essere immediatamente salito a 291 punti base, attualmente è ritornato sotto quota 290 sui rumors di nuovi acquisti da parte della Bce. I dati sui Cds – le assicurazioni che proteggono dal rischio di fallimento di un’emittente – relativi ai titoli quinquennali italiani sono saliti a 366 punti base dai 340 di ieri, guadagnando 13 punti base nel corso della mattinata.
A Bruxelles continuano le dichiarazioni contraddittorie degli europolitici. Olli Rehn, commissario agli Affari economici e monetari ha spiegato che l’Europa potrebbe delineare un quadro legislativo per la definizione degli eurobond, che, come ha sottolineato Sarkozy, arriveranno solo alla fine del processo di consolidamento fiscale della zona euro. Stamani sul quotidiano economico tedesco Handelsblatt Jurgen Stark, membro del comitato esecutivo della Bce, aveva invece escluso del tutto la possibilità di effettuare delle emissioni comunitarie.
Intanto, gli istituti elvetici Ubs e Credit Suisse hanno comunicato di non avere problemi di rifinanziamento, per rassicurare gli investitori che temono un aumento delle tensioni sul mercato interbancario e una conseguente crisi di liquidità per gli istituti comunitari.
In Giappone il Nikkei 225, dopo aver aperto in calo di due punti percentuali sulla scia dei dati macroeconomici americani, ha chiuso in ribasso del 2,5% per cento per il secondo giorno di fila, mentre l’indice Topix, a -2% ritorna ai livelli di marzo 2009. Intanto, una nuova scossa di terremoto di magnitudo 6,8 della scala Richter avrebbe colpito l’area costiera lungo le prefetture di Miyagi e Fukushima, che secondo il servizio di allerta tsunami avrebbe provocato onde di mezzo metro circa. Fortunatamente, senza alcuna vittima. Sul fronte valutario, l’apprezzamento dello yen – che quota vicino al record di 76,25 dollari –continua a preoccupare il governo nipponico. Il ministro delle Finanze, Yoshihiko Noda, ha affermato oggi che la Banca centrale giapponese è pronta a introdurre nuove misure per allentare la pressione sull’apprezzamento dello yen, riconoscendo che la politica monetaria americana, con tassi a zero fino a metà 2013, potrebbe incrementare ulteriormente il rialzo della moneta del sol levante, danneggiando le esportazioni verso gli States.
Noda ha inoltre chiesto ai membri del G7 di lavorare «con un livello elevatissimo di cooperazione» per dare un segnale forte agli investitori e introdurre misure valide per «garantire la stabilità economica e la crescita». Sprofonda anche il paniere dell’area, l’Msci Asia Pacific a-1,7%, mentre a Hong Kong l’Hang Seng sfiora il -3 per cento e Seoul, in picchiata, chiude a -6 per cento. Numeri che hanno appesantito anche i contratti future sull’Eurostoxx 50, paniere delle 50 società a più elevata capitalizzazione europee, che alle 7.00 cede lo 0,8% mentre il contratto sul Ftse 100 si posiziona a -0,9%, allo stesso livello del future sull’S&P 500 americano.
Per quanto concerne le commodities, la corsa dell’oro non fa quasi più notizia. Anche ieri il metallo giallo ha messo a segno un nuovo record a 1.844 dollari l’oncia sul mercato statunitense. A scendere, invece, è il petrolio, molto vicino agli 80 dollari a barile. Il prezzo del contratto future sul Light Crude (indicatore del costo di importazione del petrolio negli States) con consegna a settembre ha toccato gli 80,46 dollari a barile, livelli simili all’agosto 2007.