Banche in crisi, ad agosto annunciati 50mila esuberi

Banche in crisi, ad agosto annunciati 50mila esuberi

Secondo un’indagine diffusa oggi da Unioncamere, a fine 2011 ci saranno 88mila posti di lavoro in meno, nel saldo tra entrate e uscite delle imprese con almeno un dipendente. I comparti più colpiti sono l’industria (-60mila unità) e i servizi.

Tuttavia, c’è un settore che, a livello globale, ha visto ben 50mila licenziamenti pianificati e annunciati in questo difficile agosto. Paradossalmente, si tratta delle banche, considerato ancora uno dei posti di lavoro preferiti dai neolaureati. Goldman Sachs, Hsbc, Barclays, Ubs, Credit Suisse, Royal Bank of Scotland e l’ultima in ordine cronologico, ovvero Bank of America, hanno varato cospicui piani di riduzione del personale. Anche in Italia l’assioma banca uguale posto fisso non funziona più da tempo, ma fanno specie tanto la portata dei tagli – 30mila entro il 2012 soltanto per Hsbc – quanto i nomi coinvolti: il parterre de roi della finanza internazionale, che occupa stabilmente le prime pagine della stampa specializzata, e non certo dell’ultima banca di Paese. Il motivo dei tagli è semplice: a fronte di profitti incerti, è necessario ridurre le spese per espandersi dove l’economia tira ancora, ovvero l’area asiatica. 

«So quanto sia difficile dover effettuare dei tagli all’organico, ma abbiamo il dovere, nei confronti dei nostri clienti e dei nostri azionisti, di rimanere competitivi, efficienti e di gestire con attenzione le nostre spese» ha scritto in una mail interna Brian Moynihan, amministratore delegato del colosso americano Bank of America (BofA). Stando alle indiscrezioni pubblicate dal New York Times, alle annunciate 3.500 uscite, che arrivano dopo le 2.500 già decise in precedenza, se ne affiancheranno altrettante, per un totale di 10mila esuberi. Si potrebbe obiettare che è la solita storia del top management che colpisce i lavoratori invece che tagliarsi le stock option. Peccato che il capo di BofA prenda un fisso di 950mila dollari l’anno, ben poca cosa rispetto a, per esempio, il presidente di Finmeccanica Pier Francesco Guarguaglini, che nel 2010 ha incassato 4,3 milioni di euro, stock option escluse. D’altronde, anche Goldman Sachs, la regina delle case d’affari di Wall Street, ha pianificato 1.000 uscite entro l’anno per fare fronte ai deludenti profitti da trading. Gran parte delle uscite, infatti, riguardano i rami d’investimento europei e americani. 

Da Charlotte, quartier generale di BofA piuttosto decentrato rispetto a Wall Street, alla City di Londra, il risultato non cambia. Il 2 agosto scorso, il numero uno di Barclays, Bob Diamond, lo stesso che nel 2008 riuscì, con l’aiuto del segretario al Tesoro Usa Hank Paulson, a spuntarla proprio su BofA nell’acquisto degli asset di Lehman Brothers, ha annunciato a mercati aperti che i tagli per il 2011 saranno 3.000, tutti concentrati in Gran Bretagna. Più del doppio rispetto a quanto previsto in precedenza. Il motivo? Un calo dell’utile pre-tasse del 27%, a quota 1,42 miliardi di sterline (circa 1,62 miliardi di euro), nel secondo trimestre dell’anno. In questo caso, il paragone con la paga del capo è netto: nel 2010, Diamond ha incassato 16 milioni di dollari (11 milioni di euro) soltanto in stock options. 

Stesso discorso per il vero Paperone di Londra, il boss di Hsbc Stuart Gulliver, che si è portato a casa 21 milioni di dollari (13,8 milioni di euro) nel 2010, mentre l’istituto fondato a fine ’800 per finanziare il commercio tra gli inglesi e l’Estremo Oriente contrarrà la sua forza lavoro di 30mila unità (su 296mila totali) in due anni, nonostante un utile netto di 11 miliardi di sterline (12,5 miliardi di euro) nel primo semestre dell’anno, quasi in linea (-0,3%) con il 2010. La paga dei due banchieri ha sollevato parecchie critiche lo scorso aprile, quando la Commissione sui conti pubblici del Parlamento inglese ha condannato l’atteggiamento dei due istituti, salvati dal collasso post Lehman soltanto grazie a pesanti erogazioni pagate dai cittadini britannici. Pure Royal Bank of Scotland, un’altra delle banche salvate tre anni fa, ha annunciato il 5 agosto scorso altri 2mila licenziamenti. Importante anche il piano di tagli dei Lloyds deciso lo scorso ottobre: meno 4.500 unità entro il 2012. 

La musica non cambia in Svizzera, il Paese-cassaforte che in questi giorni è pesantemente colpito dall’apprezzamento della sua valuta, considerata un porto sicuro dagli investitori nella crisi del debito sovrano statunitense ed europeo. Credit Suisse, che accompagnerà all’uscita il 4% della sua forza lavoro, pari a 50.700 persone, entro l’anno, per un risparmio pari a un miliardo di franchi. La causa, come per gran parte delle altre banche, sta nel crollo dei profitti da trading, meno 52% anno su anno nel primo semestre 2011. La rivale di sempre, Ubs, non sta certo meglio: ricavi nel secondo trimestre dell’anno a meno 49% a quota 1,015 miliardi di franchi svizzeri (circa 900 milioni di euro) e un piano di esuberi per risparmiare 2 miliardi di franchi nei prossimi 2 anni. Sul numero delle ulteriori uscite dopo le 500 già annunciate, tuttavia, le cifre sono contrastanti, ma si parla di 5mila. Beato te, che non lavori in una banca d’affari.