Il fantasma del credit crunch, la contrazione del credito a imprese e famiglie, torna ad aggirarsi fra le imprese italiane. L’aumento del rischio paese sull’Italia, riflesso nella crescita di rendimento dei Btp, sta infatti complicando la vita alle banche: si fatica a trovare liquidità, e quando si trova è molto più cara. Difficoltà che potrebbero presto ripercuotersi sull’economia reale e che, secondo alcuni imprenditori sentiti da Linkiesta, si cominciano già a toccare con mano.
Anche se l’Italia è troppo grande per fallire – come ha ripetuto ieri Wolfgang Franz, economista e influente consulente del governo tedesco – le banche italiane, grandi e piccole, non sfuggono alle turbolenze del mercato. Soprattutto quando gli investitori temono che il rallentamento economico registrato negli ultimi mesi sia l’antipasto di una nuova recessione, che rende più ardua sia il risanamento dei conti pubblici e più traballante la qualità del portafoglio crediti.
Sul mercato interbancario, e non solo verso le banche italiane, la sfiducia sta crescendo. Qualche commentatore ha evocato i tempi del crac Lehman. Di certo, la diffidenza ha ridotto gli scambi e gli istituti stanno diventando sempre più dipendenti dai rubinetti di Francoforte. Un segnale ulteriore di debolezza che alimenta il flusso di vendita delle azioni in Piazza Affari, riducendo la capitalizzazione di Borsa, in una spirale negativa che non è chiaro come possa essere fermata.
Martedì i prelievi overnight (della durata di una notte) attraverso il canale del marginal lending facility della Bce sono saliti a 2,82 miliardi di euro rispetto a 555 milioni del giorno precedente. Non è un buon segnale. Il rifinanziamento marginale prevede un tasso del 2,25% (più alto dell’1,5% applicato alle consuete operazioni di rifinanziamento principale) e un collaterale a garanzia. Le banche vi fanno ricorso solo in situazioni di emergenza, quando non riescono a reperire i fondi sull’interbancario. Nello stesso tempo, il divario fra tasso Euribor a tre mesi e il tasso Overnight interest rate swap – utilizzato come indicatore della propensione delle banche a prestarsi soldi a vicenda – è massimi da sei mesi.
L’Abi ha intanto messo le mani avanti: il dito è puntato contro le regole di Basilea III, a cui la lobby delle banche italiane imputa il rischio di una stretta creditizia. Il motivo, dicono, sarebbe tecnico dal momento che le nuove regole prevedono che una quota stabile di risorse sia accantonata per esigenze di liquidità. Secondo gli analisti di Nomura, sotto questo aspetto i livelli di UniCredit e Intesa Sanpaolo sarebbero tra i più bassi in Europa. Spulciando le semestrali dei due principali istituti di credito italiani, risulta che per Piazza Cordusio a fine giugno i crediti netti verso la clientela sono stati pari a 561,8 miliardi di euro. Praticamente invariati sia rispetto al giugno 2010 (+0,5%) sia rispetto ad inizio anno (+1,1%). Per Intesa, invece, sono diminuiti (-1,1%) a 372,3 miliardi rispetto ai 376 miliardi del 31 dicembre scorso.
Accade così che lo sportello bancario diventa un muro di gomma contro cui vanno a sbattere le piccole e medie imprese italiane. «Dal nostro punto di osservazione, abbiamo notato che, dopo la pubblicazione degli stress test europei, le banche italiane hanno mostrato un irrigidimento nei finanziamenti a lungo termine, e un raddoppiamento dei tassi», spiega a Linkiesta Fabio Storchi, presidente di Comer Industries e vicepresidente di Federmeccanica.
Gli istituti di credito, accusati di non fare più credito, ribattono spiegando che, casomai, i segnali di un rallentamento dell’economia si notano dalle minori richieste di finanziamenti. Chi ha ragione? «Le grandi banche ripetono che non c’è chiusura del credito, ma è molto strano, perché nella nostra esperienza, in quello che osserviamo e sentiamo, il credito è contingentato», racconta a Linkiesta Flavio Pasotti, industriale bresciano attivo nel settore della meccanica. «Il ritardo dei pagamenti della Pubblica amministrazione ha superato 300 giorni, e questo significa che i castelletti che le banche ti danno sono saturi. E se tu lavori, e non riesci a smobilizzare il credito, fai presto a rimanere bloccato», conclude l’imprenditore.
Le banche non vogliono rischiare, spesso esagerando con la prudenza. È il caso della Puglia, dove non vengono concessi prestiti nemmeno se sono garantiti all’80% dal Consorzio sviluppo garanzie, un fondo creato da Confesercenti con il Mediocredito centrale. «Una volta, l’80% delle pratiche di richiesta mutui veniva concesso. Da due anni e mezzo a questa parte, su 100 pratiche presentate, soltanto 30 vanno in erogazione, nonostante la garanzia del Consorzio», denuncia Salvatore Santese, presidente provinciale della Confesercenti di Lecce e responsabile regionale del credito. «Normalmente una banca dovrebbe assumersi dei rischi, abbracciando un progetto imprenditoriale. Oggi, invece, non vengono erogati prestiti nemmeno a società con bilanci in positivo da due anni», osserva ancora Santese. L’Italia è troppo grande per fallire, troppo impegnativa da salvare. Le banche ne pagano lo scotto, e tirano giù la saracinesca in faccia ai piccoli imprenditori e artigiani, che galleggiano senza crescere.