“Con questa manovra bilanci dei Comuni a rischio”

"Con questa manovra bilanci dei Comuni a rischio"

«L’anticipazione di un anno, al 2012, degli obiettivi del Patto di stabilità mette i Comuni nella difficoltà oggettiva di chiudere i loro bilanci». Dice a Linkiesta Giuseppe Franco Ferrari, presidente dell’Ifel, fondazione che per conto dell’Anci si occupa di monitorare la finanza pubblica locale. In base alle stime dei tecnici dell’Associazione dei Comuni italiani riportate oggi dal Sole 24 Ore, l’anticipazione al 2012 degli obiettivi del Patto di stabilità prevista nella Manovra bis porterà a un aggravio del 16% alla spesa corrente, una volta raggiunto il saldo zero tra entrate e uscite. Per Ferrari, ordinario di Diritto pubblico alla Bocconi, «Dalla riforma del Titolo V alla legge 42, che attua il federalismo fiscale, sono passati 8 anni. Si è perso troppo tempo».

Qual è l’impatto delle ultime tre manovre (estate 2010 ed estate/ferragosto 2011) sui Comuni?

Come ha sottolineato in tutte le sedi il presidente dell’Anci, Osvaldo Napoli, l’impatto per gli enti locali è molto problematico. Evidentemente, si è arrivato ad un punto di tensione che rende il sistema nell’impossibilità di funzionare, anche perché l’equilibrio a cui si era faticosamente arrivati nell’ultima manovra, accettata con fatica dagli enti locali, stava venendo messo a fuoco proprio in questo periodo. Ora, l’ennesima modifica alle regole rende l’equilibrio nuovamente impossibile da raggiungere. L’anticipazione di un anno degli obiettivi del Patto di stabilità creerà delle difficoltà insuperabili, ci sarà un numero crescente di Comuni nell’impossibilità oggettiva di chiudere il bilancio. Non ho ancora dati certi su quanti saranno, perché bisogna incrociare i dati finanziari con quelli reali, e siamo ad agosto, ma la situazione è di criticità crescente.

Osvaldo Napoli, presidente dell’Anci, ha detto a fine luglio, cioè prima della manovra bis di Ferragosto, che «il federalismo fiscale va a farsi benedire», perché?

Riforme di questa portata sarebbe bene che intervenissero quando la finanza pubblica non si trovi in eccessive ristrettezze, nessuna riforma è a costo zero ma è meno dolorosa quando ci sono le risorse per farla. Il federalismo fiscale è un pacchetto complesso, che parte dall’art. 119 della Costituzione nella revisione del Titolo V, varata nel novembre 2001. Tra quella misura e la legge 42, che attua il federalismo fiscale, sono passati otto anni, in cui si sono alternati vari governi. Non dimentichiamoci che la legge 42 è passata con mille difficoltà, ma ora è inutile recriminare perché le responsabilità sono di tutti. Per avere più risorse si potevano fare più privatizzazioni e meglio, ma quando sono state fatte non è che capitale italiano sia andato in soccorso dello Stato per rilevare attività lucrose. La revisione dell’Art.119 della Costituzione è stato impostato tra 2008 e 2009 con somma fatica, i decreti delegati attuati incidono in profondità sulla finanza locale, e sono stati delineati nel settembre 2008, in uno dei momenti peggiori della storia complessiva della finanza. Date queste premesse, il percorso diventa in salita perché nel momento in cui il Pil cresce a chi viene chiesto di effettuare delle rinunciare può avere contropartite. Ovviamente non voglio dire che non abbia senso, ma semplicemente che è molto più difficoltoso.

Quali sono i punti della contromanovra che presenterete giovedì prossimo?

Il pacchetto finale è ancora in corso di elaborazione, non vorrei precorrere i tempi, ma posso dire che stiamo lavorando sui costi standard, cioè su come calcolare correttamente il fabbisogno e la spesa per i servizi. Sulla fusione dei Comuni inferiori a 1.000 abitanti si è già espresso il vicepresidente Guerra, ritenendola «inaccettabile in quanto proposta come “taglio ai costi della politica”». Anci su questo sta lavorando in una logica di “corretto risparmio”, bisogna capire se allontanare geograficamente gli amministratori dagli amministrati rechi giovamento. Infine, la dislocazione temporale delle clausole del patto di stabilità, ma su questo il governo ha espresso una posizione netta sul 2012. Infine, tornare dall’Iva all’Irpef: il progetto originario contemplava la compartecipazione Iva ed Irpef, solo che l’Iva riguarda il valore della merce commercializzata, senza nessun nesso con la produzione del territorio. Esempio: più ipermercati ci sono in un Comune, più Iva sarà prodotta.

Secondo lo studio Ifel, i Comuni dovranno contribuire con 1,7 miliardi di euro di tagli al 2012 all’anticipo del Patto di Stabilità. Dove si trovano questi soldi?

Se gli esborsi sono sempre più rilevanti le risorse vanno trovate, ogni volta che le condizioni del Patto di stabilità vengono inasprite si cercano delle tecniche per fronteggiare le nuove regole, ma se poi le regole cambiano ogni mese anche il processo di adattamento è difficile. Qualche anno fa c’era la stagione in cui i Comuni davano vita alle società di capitali, intorno al 1995, in un momento favorito dalla legislazione che sembrò scoprire l’acqua calda, cioè la possibilità di trasformare le municipalizzate in società di capitali, portando fuori il loro bilancio da quello del Comune. Poi, i vari governi hanno ravvisato il fenomeno e sono scattate contromisure, come l’alienazione dei beni immobili. Infine, anche se gli enti locali incassavano plusvalenze dalle dismissioni, non potevano spendere per via del Patto di Stabilità. Si pensi ai derivati: il loro utilizzo è venuto alla luce nel 2008 con lo scoppio della crisi finanziaria. Ex post si è scoperto che 700 Comuni e Province avevano fatto ricorso a questo strumento, sfruttando le falle nella disciplina. Anche il factoring fa parte di questi tentativi di compensazione o di sfruttamento dei margini di manovra lasciati liberi dalla normativa.  

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