TUNISI – In Tunisia si fanno buoni affari, mentre in Libia la guerra civile continua senza che si intraveda una soluzione in tempi brevi. Tripoli è a due passi dalla frontiera con la Tunisia e a quattro da Tunisi: in una notte di viaggio, o poco più, si può coprire la distanza che separa le due città con il bagagliaio della macchina pieno di ogni tipo di mercanzia.
La guerra civile libica e l’embargo internazionale decretato contro il regime del colonnello Gheddafi alimentano così un fiorente mercato nero attraverso la frontiera tra Libia e Tunisia. Non si tratta di una novità assoluta, ma piuttosto dell’aggiornamento alla nuova situazione internazionale di reti commerciali illegali che hanno alimentato la borsa nera a Tripoli a partire dalla fine degli anni Ottanta quando venne dichiarato il primo embargo internazionale contro Gheddafi.
Le esportazioni tunisine verso la Libia sono quadruplicate rispetto al dato registrato l’anno scorso, passando da 53,1 milioni di dinari tunisini (circa 27 milioni di euro) a 192,2 milioni (97 milioni in euro). A farla da padrone sono i beni alimentari e quelli prodotti dall’industria agro-alimentare: zucchero, pasta, farina, medicine e altri generi di prima necessità vengono acquistati in Tunisia e rivenduti in Libia a quattro o cinque volte il loro prezzo. Il fenomeno ha assunto dimensioni tali da creare problemi di approvvigionamento sul mercato tunisino per beni di largo consumo come l’acqua minerale in bottiglia: le autorità tunisine si sono viste costrette a prendere provvedimenti d’emergenza aprendo due nuovi impianti di produzione per far fronte alla richiesta in continuo aumento.
In una Tunisia prostrata dalla crisi economica, il commercio con la Libia è una boccata di respiro, ma rischia nel contempo di innescare dinamiche negative, alimentando la corsa dei prezzi in Tunisia. Gli affari in Libia non si fanno peraltro solo con una Tripoli sotto assedio, ma anche con la parte avversa, con le forze anti-governative che sono attestate alle spalle di Tripoli nel Jebel Nefusa, la zona montuosa a sud della capitale libica a grande maggioranza berbera.
I libici pagano in valuta pregiata, che per anni hanno accumulato grazie alla rendita petrolifera, o in oro, tanto che il prezzo del metallo prezioso è diminuito sensibilmente negli ultimi mesi sul mercato tunisino proprio per l’eccesso di offerta. I traffici verso Tripoli passano per il posto di confine di Ras Ajdir, mentre quelli verso il Jebel per il posto di Wazen-Dhehiba, tanto che le forze lealiste del regime di Gheddafi hanno più volte tentato di prendere senza successo questo nodo strategico. Il tentativo di aggirare le posizioni delle forze anti-governative passando per il territorio tunisino ha portato più di una volta all’intervento dell’esercito di Tunisi, che si è visto obbligato a una quotidiana attività di monitoraggio e controllo, per non parlare della crescente tensione nelle relazioni bilaterali che ne è seguita.
Ci sono infine le migliaia di libici che hanno cercato riparo dalla tragedia della guerra oltre confine. Le ondate di profughi che si sono avvicendate nei mesi scorsi hanno portato in territorio tunisino almeno 700 mila persone, molte delle quali si sono ritrovate senza nulla nei centri di accoglienza allestiti dal governo tunisino e da diverse organizzazioni internazionali nel sud del paese. A vivere, ancora oggi, nei campi profughi sono tanti lavoratori stranieri scappati dalla Libia in fiamme insieme ai libici più poveri ai quali molte famiglie tunisine hanno aperto le porte delle loro stesse case in una gara di solidarietà ammirevole.
Ai tanti che si sono prodigati – e si prodigano – ad aiutare i libici, fanno però da contraltare anche tanti altri che affittano a libici facoltosi – a volte molto facoltosi – case o interi palazzi a Tunisi o in altre città della costa tunisina a prezzi esorbitanti. Anche gli albergatori tunisini sembrano esserci affidati ai libici per salvare una stagione fortemente compromessa dal drastico calo di presenze straniere in conseguenza della Rivoluzione dei gelsomini: i primi dati segnano infatti un nuovo flusso di libici verso le diverse località turistiche della costa tunisina per passare lontano dalla guerra almeno il mese santo del Ramadan.
*Docente in Storia dell’Africa, Università di Pavia