BARI – La matematica o il codice penale. In Puglia c’è un dubbio amletico sui dati record di energia solare ed eolica della regione: bisogna credere solo alle cifre pubblicate da Gestore dei servizi energetici (Gse), Terna e Associazione nazionale dell’energia del vento (Anev) o invece dare un’occhiata anche alle inchieste di tutte le procure pugliesi su appalti e autorizzazioni?
Sul fronte delle indagini, una risposta è arrivata l’11 luglio scorso da Brindisi, nell’ambito dell’inchiesta madre della procura di Lecce sulle infiltrazioni della Sacra corona unita nel business delle rinnovabili: il boss Andrea Bruno e altri otto suoi affiliati, già arrestati nel 2008 per associazione mafiosa, estorsioni, armi e droga, sono stati condannati a 106 anni di carcere. Secondo la procura, che aveva chiesto condanne per 197 anni, il clan avrebbe anche acquistato alcuni terreni a Torre Santa Susanna (contrada Canali) e poi cercato sponde nella politica locale per il sì ad un parco eolico (mai più realizzato).
Aveva quindi ragione Vittorio Sgarbi al festival “Il libro possibile” di Polignano dicendo che in Puglia “eolico significa mafia”? Chiedetelo a Onofrio Introna, il presidente del Consiglio regionale pugliese, andato subito su tutte le furie contro il critico che citava le parole del giornalista del Corriere, Carlo Vulpio, in onda su Rai Uno in “Ora ci tocca anche Sgarbi”. «Sgarbi – aveva detto Introna – venga anche a contestare torri e pale eoliche, ma lasci stare accostamenti a presunte infiltrazioni mafiose che con la Puglia non hanno niente da spartire». La stessa domanda, poi, andrebbe girata anche al governatore Nichi Vendola che due mesi fa ha querelato sindaco di Salemi, Rai e Vulpio per i presunti “contenuti di diffamazione e calunnia” della programma tv del 18 maggio scorso.
A difesa dell’onore e dell’onorabilità, ma forse anche di qualche numeretto. Secondo “Comuni rinnovabili 2011” di Legambiente, infatti, la Puglia può contare su Troia, nel Foggiano, primo Comune italiano per potenza eolica installata (171,9 Mw) e Lizzano (180 Mw), nel Tarantino, in testa per il “mini eolico”, le torri di potenza fino a 200 kilowatt. È poi, secondo l’Anev, la prima regione in Italia per numero di addetti nel settore: 6.290 occupati, di cui 1.625 diretti e 4.655 indiretti. E per gli impianti è seconda dopo la Sicilia. Il Gse a dicembre scorso ne ha contati 303 da Serracapriola al confine col Molise fino a Specchia nel basso Leccese: 1.846,8 megawatt tra i 124 impianti in esercizio (1.082,2 Mw) e i futuri 179 (764, 6 Mw) da collegare durante l’anno (o più) ma già qualificati a progetto. E pensare che nel ’96 Terna ne contava appena tre. Ma proprio quindici anni fa gli impianti regionali hanno iniziato a produrre energia più del fabbisogno interno. Un surplus addirittura dell’80% nel 2010.
Siamo, cioè, quasi al potenziale eolico di 2.070 megawatt stimato dalle stesse imprese del settore. Ma la domanda sorge spontanea: in che modo la Puglia raggiungerà entro il 2016 l’obiettivo di 4 gigawatt di potenza eolica fissato nel Piano energetico ambientale regionale (Pear) utili a generare fino a 8 terawatt di energia elettrica? Ha provato a spiegarlo Giorgio Metafune, ordinario di Analisi matematica all’Università di Lecce: «Per installare 4-5 gigawatt di potenza eolica, prendendo come riferimento macchine da 2 megawatt di 120 metri, sarà necessario avere 2mila o 2mila e 500 torri. Tenendo conto della superficie della Puglia di circa 19mila chilometri quadri, avremo una torre ogni 7,5-9,5 chilometri quadri. Mediamente una in ogni quadrato di lato pari a 3 chilometri. Anche se una distribuzione uniforme non è realistica, dà un’idea dell’occupazione del territorio».
A partire, ad esempio, dalla mitica “Serra” salentina, la collina dei Fanciulli e delle Ninfe di Giuggianello e Torre Sant’Emiliano ad Otranto, dove la società Wind Service, tra resti di villaggi neolitici e grotte medioevali, piazzerà 14 torri eoliche di 125 metri, prima approvate dalla Regione, poi annullate dal Tar di Lecce su ricorso di Italia Nostra, e infine sbloccate dal Consiglio di Stato a maggio 2010 perché il progetto non “altera in modo significativo il paesaggio”.
Dal Gargano al Salento, in realtà, i faccendieri di silicio e turbine hanno “alterato” il lavoro di magistrati, finanzieri, carabinieri del Noe e guardie forestali. Negli ultimi anni, stando alle indagini, hanno fatto i conti con un “salto di qualità” della criminalità regionale: 81 clan, 3mila affiliati e oltre 10mila fiancheggiatori passati pure a riciclare quattrini sporchi in energia pulita e nanotecnologie. L’ha detto a dicembre scorso il presidente della Commissione parlamentare antimafia, Giuseppe Pisanu, dopo aver tenuto a rapporto per due giorni nel capoluogo pugliese questori, prefetti e vertici delle procure di Bari e Lecce. «In Puglia – ha tagliato corto il senatore – ci sono segnali di infiltrazioni mafiose nel settore delle energie pulite, certi criminali hanno dimostrato abilità di ricorrere agli intrecci finanziari e societari per muovere i propri capitali, e abilità con cui scelgono i settori più redditizi di investimento. Nel settore della “green economy” c’erano allarmi su presunte infiltrazioni mafiose in queste attività e hanno trovato ulteriori conferme».
Il sistema è noto: i malavitosi comprano terreni agricoli a prezzi stracciati da agricoltori rimasti al verde e poi li rivendono ad aziende nazionali e internazionali (anche cinesi) che montano pale eoliche o pannelli solari. Tutto qui? No, secondo gli investigatori, avrebbero l’appoggio di quel gruppo che Pisanu chiama “borghesia bianca” o “facilitatori”: commercialisti, avvocati, banchieri, funzionari pubblici e amministratori locali che riuscirebbero a cambiare destinazione d’uso a fondi agricoli in mano a srl create ad hoc con 10mila euro in cassa che prima presentano i progetti e poi, ad autorizzazioni concesse, o incassano i soldi e spariscono o vengono inglobate dai nuovi investitori. Pisanu aveva fatto riferimento proprio all’eolico: «Essendo la Puglia la regione italiana che ha la più alta potenza installata nel settore dell’eolico e avendo tutte le mafie italiane, tutte, prestato grande attenzione a questo settore, sarebbe impensabile che si fossero distratte soltanto qui».
No, da Foggia a Lecce, negli ultimi tempi, non si è distratto proprio nessuno. Lo dimostrano le attività del procuratore nazionale antimafia, Piero Grasso. È scritto nelle 1.110 pagine della relazione 2010 della Direzione nazionale antimafia. Lo dicono i fascicoli di indagine aperti in tutte le procure pugliesi, compresa la Dda. Sono tutti al lavoro sul tentativo dei boss di mettere le mani sui finanziamenti a pioggia in arrivo da Roma e Bruxelles. Lo ha spiegato pure il procuratore di Bari, Antonio Laudati, davanti alla Commissione parlamentare d’inchiesta sui rifiuti: «In questa regione – è stato messo a verbale solo a gennaio scorso – c’è questa caratteristica: ci sono imprenditori, soprattutto del nord, molti siciliani, che vengono in Puglia a prendere le autorizzazioni per determinate attività senza avere la struttura industriale per poterlo fare, ma poi vendono le autorizzazioni. Questo significa che esistono strutture interregionali che producono fenomeni che hanno una fortissima interferenza imprenditoriale, ritengo ci sia un legame politico con alcune strutture, che produce questo tipo di attività».
“Attività” che, secondo Confesercenti, Confindustria e Censis, pesano eccome sul prodotto interno lordo regionale. Quanto? L’ha certificato la Banca d’Italia nel suo studio “I costi economici della criminalità organizzata”, mettendo in relazione l’evoluzione dei reati di stampo mafioso con la parabola dell’economia pugliese dagli anni ’70 ad oggi: «In Puglia – hanno scritto i ricercatori del Servizio studi di struttura economica – se si potesse attribuire interamente il divario di crescita all’effetto della criminalità, la distanza potrebbe arrivare a valori medi intorno al 15 per cento». La relazione è stata depositata a luglio 2010 proprio alla Commissione antimafia.
Ma allora di quale Puglia stiamo parlando? Nichi Vendola, prima di querelare Sgarbi & Co., ha provato a spiegarlo alla stessa Commissione il 3 febbraio 2010: «È un settore (l’eolico, ndr) in cui soprattutto la duplicazione della procedura autorizzativa (perché poi a cascata si finisce ad avere a che fare con i comuni) produce una qualche penetrazione di dinamiche corruttive. Bisogna tenere permanentemente sotto controllo questo comparto (…) dobbiamo essere molto attenti perché c’é una pirateria straordinaria, dai combustibili fossili alle nuove energie, che va messa permanentemente sotto controllo». Dichiarazioni mai smentite, anzi riprese ancora una volta il 31 maggio scorso nelle aule del Senato.
La giunta Vendola, non a caso, decide poi di costituire parte civile la Regione nel processo penale a carico degli amministratori delle spa Api Holding, Ser e Seri, accusati di aver commesso reiterati comportamenti illeciti per realizzare il mega parco eolico da 51 aerogeneratori a Sant’Agata di Puglia, nel Foggiano: qui, secondo i pm, sarebbero state violate leggi urbanistiche, edilizie e paesaggistiche per procurare vantaggi patrimoniali alle società eoliche e ad alcuni amministratori comunali accusati addirittura di aver fatto installare le pale in terreni di proprietà o di parenti. Lo scandalo porta al rinvio a giudizio 9 persone. Tra queste, il sindaco Lorenzo Russo accusato di aver ottenuto condizioni migliori nella stipula dei contratti.
Stiamo nella stessa provincia dove nel 2008 scoppia un altro caso per la costruzione di un parco eolico ad Ascoli Satriano: qui l’ex sindaco Antonio Rolla finisce agli arresti domiciliari con l’accusa di aver imposto alle ditte di sub-appaltare tutto a un’impresa di fiducia (a febbraio scorso è stato condannato in primo grado per concussione a quattro anni e sei mesi).
E nel Parco Nazionale dell’Alta Murgia, zona di protezione speciale e sito di importanza comunitaria, la procura di Trani avrebbe intercettato movimenti di capitali sospetti e società fantasma. L’attenzione si concentrerebbe sulla richiesta di altre autorizzazioni da parte di tre società: Murgia Eolica, Albadorata e Bagliore. Sarebbero riconducibili – secondo gli inquirenti – all’imprenditore trentino e socio della Wind Sud srl, Luigi Franzinelli, con interessi in 50 aziende delle energie pulite, già condannato a due anni per corruzione nell’ambito dell’inchiesta siciliana “Eolo” del 2009 (in primo grado anche per favoreggiamento a Cosa nostra) per costruire parchi eolici a Mazara del Vallo nel Trapanese. Ma contro le richieste di pale eoliche nel Parco si è pronunciata il 21 luglio scorso persino la Corte di giustizia europea che, in assenza di norme regionali chiare e definitive, ha ritenuto valido il divieto assoluto di costruzione di aerogeneratori nelle aree tutelate dalla direttiva comunitaria “Natura 2000”.
Nel Tarantino, invece, non è ancora del tutto limpida la storia dell’impianto da 28 pale in costruzione a Castellaneta dalla Green Engineering & Consulting (società passata dalla famiglia La Marca, implicata in Sardegna nell’indagine su mafia ed eolico, al gruppo Trusendi di Livorno che non è coinvolto nelle indagini). «La posizione dei titolari delle imprese interessate è stata separata dal procedimento e trasmessa alla Dda presso la procura di Napoli, territorialmente competente per il delitto di impiego di denaro, beni o utilità di provenienza illecita». Parola del presidente della Corte d’appello di Lecce, Mario Buffa, che in merito al progetto tarantino, durante l’inaugurazione dell’anno giudiziario 2010, fa riferimento ai «relativi interessi di società (cui partecipavano anche enti inseriti in centri finanziari off shore) il cui capitale era apparso inadeguato ai gravosi impegni finanziari e patrimoniali necessari per la realizzazione del progetto imprenditoriale e i cui rappresentanti avevano dimostrato la disponibilità di ingenti liquidità utilizzate per il pagamento ai proprietari delle aree destinate alla installazione delle turbine e delle centrali di somme a titolo di acconto sul prezzo o sui canoni di locazione, con valori del tutto sproporzionati rispetto a quelli correnti per aree a destinazione agricola».
Nel mirino della procura di Lecce ci sarebbero così le compravendite di aree finite in mano a multinazionali con fondi di investimento a Malta e in Lussemburgo: secondo gli investigatori, avrebbero avuto in qualche modo collegamenti con ditte e politici del territorio per ottenere tempi certi sull’ok agli impianti. Iter, secondo Italia Nostra e altri, in molti casi resi più snelli dalla legge regionale 31 del 2008 per il mini eolico, per gli ambientalisti tra le cause della speculazione che avrebbe favorito anche piccole imprese non specializzate. Per le turbine fino a 1 megawatt di potenza (comprese quelle di enti locali o per autoconsumo) bastava, infatti, la Dichiarazione di inizio attività (Dia), una sorta di autocertificazione da spedire al Comune. Norme, però, bocciate dalla Corte costituzionale: senza linee guida nazionali, spetta al ministero dello Sviluppo economico e non alla Regione Puglia il potere di innalzare le soglie di potenza degli impianti (decreto legge 387 del 2003).
Nel Brindisino poi, oltre agli affari di Torre Santa Susanna, la Sacra corona unita si è mossa anche a Tuturano: a giugno 2010, infatti, la frangia del boss Salvatore Buccarella (detto “Totò Balla”), per mano del padre Giovanni (80enne) e di Cosimo Giardino Fai (legato ai Buccarella), avrebbe tentato di estorcere 20mila euro al responsabile di un’impresa siciliana per la “protezione mensile” del cantiere di un impianto fotovoltaico. Il fascicolo è a Lecce, alla Direzione distrettuale antimafia.
Di “interessi illeciti” in Puglia parla anche Legambiente nel rapporto regionale “Ecomafia 2011”. «Attività redditizie come l’eolico e il fotovoltaico attraggono la criminalità organizzata ma anche colletti bianchi, imprenditori insospettabili disposti a truffare pur di accaparrarsi un buon affare. Per questo – dicono gli ambientalisti pugliesi – è importante difendere l’eolico e il fotovoltaico, con grande energia, dai fenomeni corruttivi e da qualsiasi tentativo d’infiltrazione d’interessi illeciti o, peggio ancora, della criminalità organizzata. Limitarsi a screditare tout court, come è avvenuto in questi mesi, l’eolico e il fotovoltaico induce l’opinione pubblica a ritenere che l’energia del vento e quella del sole sono nient’altro che affari sporchi, anzi addirittura affari di mafia».
Un allarme condiviso anche dal Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro: l’Osservatorio socio-economico del Cnel ha prima chiesto di fare chiarezza sulla richiesta di “pizzi” nell’energia alternativa e poi, insieme a Coldiretti, ha deciso di preparare un dossier su quello che sta accadendo nel settore. Dove? In Puglia e nel resto del Mezzogiorno dove ogni megawatt autorizzato vale fino a 500mila euro. Che sia matematica o codice penale.