La caduta di Tripoli mette il turbo a Piazza Affari

La caduta di Tripoli mette il turbo a Piazza Affari

Effetto Libia in Piazza Affari. La caduta di fatto del colonnello Gheddafi trascina al rialzo il Ftse Mib, principale listino di Milano, che chiude a +1,78% (toccando una punta di +2,28% intorno alle 13.30) a 14.861,88 punti, tornando vicino a quota 15mila punti – superata l’ultima volta lo scorso 11 agosto, quando la Consob vietò le vendite allo scoperto – sulla scia del rally di tutti i titoli legati a doppio filo con Tripoli, che sono anche le società a più elevata capitalizzazione della borsa meneghina. Società che, per via del loro speso specifico, sono in grado di trascinare il mercato in un senso o nell’altro. I primi della classe: Eni, +6,33%, Ansaldo Sts, +5,03%, Banca Popolare di Milano, +4,61%, Telecom Italia, +4,17%, A2a, +3,58%. Contrastate le principali banche italiane: Intesa Sanpaolo -2,65% e UniCredit, -0,11%, nonostante, nel corso della seduta, siano state alternativamente tra i migliori titoli del Ftse Mib. A deprimere Ca’ De Sass sono state le parole di Corrado Passera: da Rimini ha affermato che i titoli di Stato italiani nella pancia di Intesa sono leggermente aumentati a 64 miliardi di euro (61 miliardi nel primo semestre). 

Sempre dal palco del Meeting di Comunione e Liberazione, Giuseppe Recchi, presidente del Cane a sei zampe, ha commentato la situazione libica, affermando che «l’Eni non è né allarmata né preoccupata per la situazione in Libia ma semmai felice, non solo per la probabile fine di una guerra ma anche per la riapertura del mercato degli idrocarburi», spiegando poi che: «Non è in corso un programma di presenza nel Paese o di riapertura di impianti a breve». Gran parte dei contratti sono stati siglati nell’ambito del Trattato di amicizia italo-libico, attraverso cui Eni ha già pagato i ribelli libici del Cnt, mentre UniCredit ha contribuito alle esigenze del Cnt con un prestito da 300 milioni di euro. L’Italia ha  tagliato ogni collaborazione con il regime del Colonnello, lo scorso 14 luglio. 

Lo stop alla produzione di greggio libico ha pesato non poco sui conti Eni relativi ai primi sei mesi dell’anno, come aveva ricordato l’ad Paolo Scaroni durante la presentazione del bilancio, lo scorso 30 luglio. Nel primo semestre 2011, l’utile della società di San Donato Milanese si è assestato a 3,8 miliardi di euro, in calo del 6% (-31% solo nel secondo trimestre), mentre la produzione ha visto un rallentamento del 12% anno su anno. Presente nel paese dal 1959, quando – si chiamava ancora Agip – ottenne la prima concessione, oggi Eni è il primo operatore internazionale di idrocarburi a Tripoli con 244mila barili al giorno (dati 2009), un sesto della produzione giornaliera del gruppo, oltre a essere anche la prima società straniera nel settore del gas. Nell’ottobre del 2007, la società ha prolungato per un ulteriore quarto di secolo le concessioni nei pozzi del Paese nordafricano, che scadranno nel 2042 per il petrolio e nel 2047 per il gas, mentre nel 2010 al Forum Euromed, Scaroni annunciava nuovi investimenti per «quasi 20 miliardi di dollari» nel prossimo decennio. Intanto, l’agenzia di rating Standard & Poor’s ha promosso il titolo Eni da sell (vendere) a hold (mantenere) a mercati chiusi. 

Ottima anche la performance di Ansaldo Sts, braccio operativo di Finmeccanica nel settore delle infrastrutture che nell’agosto 2010, in consorzio con Selex (anch’essa del gruppo Finmeccanica) e con le ferrovie russe Jsc Rzd, ha siglato un contratto per la realizzazione di sistemi di segnalamento e automazione ferroviaria sulla tratta da Sirth a Bengasi, per un valore di 247 milioni di euro. Nel 2009, Ansaldo Sts si era aggiudicata un ordine pari a 541 milioni di euro, per costruire sistemi di telecomunicazioni sulla linea ferroviaria costiera da Ras Ajdir a Sirt e da Al-Hisha a Sabha, lunga 1500 km. Gli ordini complessivi assegnati ad Ansaldo tra il 2009 e il 2010 sono pari a 743 milioni di euro, mentre il Paese conta per il 17% del portafoglio ordini per il 2010.

Ancora presto per capire se e quando verranno scongelati gli asset italiani della Gheddafi Spa in Italia, che vanno dal 2% di Finmeccanica al 7,48% di UniCredit, oltre a una quota nella Juventus. A fine 2010, attraverso il fondo sovrano Lia (Libyian investment authority) Raìs aveva investito 1,9 miliardi di euro in Italia. 

Per quanto riguarda i mercati del debito, il differenziale di rendimento tra i titoli di Stato decennali italiani e i Bund tedeschi, punto di riferimento in Eurozona, dopo aver aperto a 282.84 punti base si attestano a 286 bp, mentre i Cds sull’Italia, i derivati che fungono da assicurazione contro il rischio di default di un’emittente titoli, sono saliti a 367 punti base (dati Markit). 

Sul fronte macroeconomico, oggi l’Organizzazione per lo sviluppo economico di Parigi ha diffuso i dati sul Pil del secondo trimestre dei Paesi aderenti all’area Ocse, che ha visto il quarto rallentamento di fila a +0,2%, rispetto al +0,3% sul primo trimestre dell’anno.
Bene anche le altre piazze continentali: Londra +1,08%, Parigi +1,14%, di pochissimo sotto la parità il Dax di Francoforte a -0,11 per cento. 

In discesa anche il Brent, il petrolio del Mare del Nord che sulla piazza londinese ha ceduto l’1,47% a quota 107,6 dollari a barile, perdendo 1,46 dollari, seguendo gli sviluppi della situazione libica e le attese per un ritorno alla produzione normale del Paese, al terzo posto in Africa per volume delle riserve dopo Nigeria e Algeria. Per la banca d’affari JP Morgan, il Brent sarà scambiato tra i 100 e i 120 dollari al barile per tutto il 2012, mentre Barclays sostiene che bisognerà aspettare il primo trimestre 2012 per vedere ristabilita al 100% la produzione libica. Rimanendo in tema di commodities, l’oro è a un soffio dallo sfondare i 1.900 dollari l’oncia: attualmente è a 1.894,80 dollari, comunque si tratta del massimo storico e del più lungo rally dal 1999. 

Positiva anche l’apertura di Wall Street: Dow Jones +0,31%, Nasdaq +2,34% e S&P 500 +1,9 per cento. Alle 19.07 tutti e tre gli indici rimangono in territorio positivo nella settimana di Ben Bernanke. Dal presidente della Fed, al consueto appuntamento con i banchieri centrali di Jackson Hole, in programma venerdì, gli investitori attendono la terza fase del Quantitative Easing (QE), il programma di riacquisto di bond da parte dell’istituto centrale di Washington. Esattamente un anno fa, l’annuncio del Quantitative easing 2 diede avvio a un rally dell’indice S&P che sfiorò il 30 per cento. Secondo gli analisti di Barclays, il rendimento dei titoli di Stato decennali Usa, al di sotto del 2%, e quindi negativo al netto dell’inflazione, starebbe già scontando il QE3. Appuntamento tra qualche giorno per capire se a torto o a ragione.