Mercati finanziari occidentali sotto pressione, l’Europa in difficoltà, la moneta unica potrebbe affondare, ma a Mosca c’è qualcuno che punta sul cavallo che zoppica. La Russia nell’euro, in una decina d’anni si potrebbe fare e il pil di Mosca crescerebbe ancor di più, sino al 12-15%. Parole di Mikhail Prokhorov, miliardario cooptato dal Cremlino alla vigilia delle elezioni parlamentari di dicembre, che con il suo partito Pravoe Delo (giocando sul doppio significato dell’aggettivo che accompagna il nome, dove la Causa è “Giusta”, ma anche di “Destra”) cerca di attirare l’elettorato della classe media in notevole espansione soprattutto nelle grandi città.
«Ne sono assolutamente convinto, lavoro nel business e capisco qualcosa di economia», ha detto Prokhorov, che dopo essere diventato famoso per essersi comprato i New Jersey Nets e aver rischiato di finir dietro le sbarre in Francia con l’accusa di favoreggiamento della prostituzione (per qualche bella ragazza di troppo trasportata via jet privato a Courchevel) si è messo a frequentare i corridoi buoni del Cremlino.
La Russia nell’Euro? Ma non l’aveva già detto Berlusconi? Naturalmente non bisogna prendere tutto troppo sul serio, soprattutto in campagna elettorale, però l’idea di una maggiore integrazione tra Mosca e l’Europa l’aveva già buttata là Vladimir Putin qualche tempo fa parlando di un «mercato unico da Lisbona a Vladivostok». Il palcoscenico era quello tedesco lo scorso novembre alla vigilia del suo ultimo incontro con Angela Merkel e il primo ministro russo non è uno che parla a casaccio.
L’idea di fondo è quella che Europa e Russia si possano sostenere a vicenda, dare una base più solida all’Euro, staccarsi dal dollaro. Pensieri a lunga gittata, s’intende. Da qualche parte bisogna però pur partire. E se l’uscita di Prokhorov ha il sapore di uno spot per i suoi elettori in vista della Duma, è vero che l’economia russa, come vuole Putin, ha bisogno del know how occidentale (cioè europeo, non dei “parassiti” americani, come Vladimir Vladimirovic ha definito un paio di settimane fa gli Usa, sempre con un occhio all’appuntamento di dicembre) per prendere il volo e staccarsi da un modello che si regge in larga parte sull’esportazione di materie prime.
La Russia, toccata dalla crisi del 2008-2009 e da quella di oggi in maniera più leggerarispetto allo tsunami che si è abbattuto tra Washington e Bruxelles, galleggia insomma con un occhio agli appigli del futuro. Il peggio a Mosca l’hanno visto già tredici anni fa proprio di questi tempi, quando nell’agosto del 1998 il default arrivò tra il capo e il collo di Eltsin e della banda di oligarchi alle sue spalle con il risultato che il Paese affondò del tutto. Poi la lenta ripresa, sull’onda dei prezzi del petrolio, ma non solo. Stabilità politica e inizio dell’avvicinamento commerciale con i partner europei, i tedeschi innanzitutto, il gas e tutto il resto. La crescita del pil tra il 5 e l’8% sino al 2008, poi il crollo del 2009 (-7,9%) e ora due anni di ripresa intorno al 4% (stessa previsione per il 2012) che riportano il livello a quello prima della crisi. La Russia ha imparato qualcosa dagli errori del passato.
Dal 2004 il fondo di stabilizzazione (dal 2008 diviso in fondo di riserva e di welfare) è servito a reggere l’urto degli shock esterni. La mini svalutazione controllata nel 2008 ha evitato cedimenti pericolosi nel corso del rublo, che però all’inizio di questo agosto ha subito un notevole deprezzamento. Putin ha detto che non c’è da preoccuparsi, le riserve della Banca centrale (corrispondenti a circa 350 miliardi di euro) sono sufficienti per affrontare ogni situazione di emergenza con immissioni di liquidità ad hoc.
Certo è che alla borsa di Mosca l’Rts cade e rimbalza seguendo gli altri indici mondiali, bruciando miliardi ogni giorno. E l’incertezza così aumenta, con l’abituale fuga di capitali come nei momenti più critici (125 miliardi di euro nel 2010), le trattative sull’entrata nel Wto ancora in corso (da oltre tre lustri, forse uno spiraglio per la fine dell’anno si vede) e gli esperti che se non hanno ricette salvifiche, almeno riescono a individuare i problemi. Una commissione governativa ha elencato le quattro sfide per l’economia russa sino al 2020: il problema demografico (meno gente che lavora, più anziani), la forbice della concorrenza (alti costi, imprese inefficienti), la discrepanza istituzionale (poca ricerca e formazione rispetto al capitale umano), lo spettro della malattia olandese con l’eccessiva dipendenza dall’export di gas e petrolio. A dicembre si elegge un nuovo parlamento, a marzo 2012 un nuovo presidente. Quattro sfide che il solito Putin dovrà non solo affrontare a parole, ma anche davvero di vincere.