Una gelata in una delle giornate più calde di agosto. A guardare l’andamento di oggi delle euroborse, un muro uniformemente rosso – Milano ha chiuso a meno 6,15%, Francoforte a -4,71%, Londra -3,41% e Parigi a -3,97 per cento – sembra che l’economia mondiale sia piombata ancora nell’incubo recessione. Lo sostengono i falchi della Federal Reserve americana, e la banca d’affari statunitense Morgan Stanley. Le dinamiche e i motivi dietro al tracollo dei listini continentali e di Wall Street sono tuttavia profondamente diversi, seppure correlati dalla comune e profonda incertezza che guida le mosse di politici e regolatori.
Tra le tante spiegazioni possibili alla giornata odierna, c’è un fatto incontrovertibile: il differenziale (spread) tra la domanda e l’offerta di franchi svizzeri scambiati dalle banche, una valuta considerata “rifugio” dagli investitori, si sta pericolosamente avvicinando al livello dell’ottobre 2008, dopo il fallimento di Lehman Brothers, stando ai dati elaborati dalla banca Hsbc e ripresi oggi dal Wall Street Journal. Non è un buon segno: l’allargamento dello spread tra domanda e offerta di valuta pregiata è considerato un indicatore del rischio percepito dalle banche che si prestano il denaro a vicenda. Una debolezza che determina, sul fronte valutario, l’apprezzamento del Franco svizzero tanto nei confronti dell’euro quanto del dollaro, schiacciando non poco le esportazioni del piccolo Paese elvetico. Oggi l’euro si è ulteriormente indebolito nel cross con il biglietto verde a 1,4318 rispetto all’1,4397 di stanotte.
Proprio la Federal Reserve di New York avrebbe acceso i riflettori sulle operazioni di rifinanziamento intraday in dollari delle banche europee negli Stati Uniti, nel timore che gli squilibri possano traslare sul mercato americano. Il campanello d’allarme, scoperto dal Financial Times, è arrivato ieri mattina, quando un istituto di credito europeo avrebbe chiesto 500 milioni di euro in dollari alla Bce. Un finanziamento costato carissimo: il tasso è stato dell’1,1%, rispetto all’interbancario sui prestiti a 7 giorni (0,88%). Per il momento, il nome dell’istituto è ancora sotto il più stretto riserbo.
Secondo alcune voci che circolavano oggi nelle sale operative all’origine del tracollo di Piazza Affari ci sarebbe il rallentamento degli acquisti di Btp da parte della Bce sul mercato secondario in questi ultimi due giorni, che nel tardo pomeriggio sarebbero riprese ma non avrebbero aiutato il Ftse Mib a risalire, unito al cosiddetto “fly to quality”, ovvero l’acquisto, da parte degli investitori, di asset considerati meno rischiosi, come il bund tedesco. Colpita da massicce vendite tutta la galassia della famiglia Agnelli dopo la perdita della leadership nelle vendite in Brasile (Fiat -11,88%, Fiat Industrial -13,3% e la cassaforte Exor -9,08%), male anche STMicroelectronics -9,36%, Finmeccanica -9,32%, e tutto il comparto bancario. UniCredit (-7,41%), Intesa Sanpaolo (-9,26%), Banco Popolare (-7,69%), la cui capitalizzazione è attualmente inferiore all’ammontare dell’aumento di capitale da 1,2 miliardi di euro, e Monte dei Paschi (-6,13%) sono state tutte sospese almeno una volta nel corso della giornata per eccesso di ribasso.
Sul fronte del reddito fisso, dopo tre giorni di relativa calma il differenziale di rendimento tra i Btp decennali italiani e il Bund tedesco, considerato il punto di riferimento dell’Eurozona, è di nuovo salito oltre quota 290 punti base per poi scendere a 286 alle 18.38, mentre sugli schermi di Markit i Cds sui bond quinquennali italiani sono ritornati vicini a 350 punti base, +13% rispetto a ieri.
Tutti i listini oggi in Europa hanno aperto le contrattazioni in rosso, per via della chiusura in negativo delle borse asiatiche sulle quali ha pesato un report di Morgan Stanley, che ha rivisto la stima sulla crescita economica globale a +3,9% dal +4,2% della precedente rilevazione per il 2011, e del +3,8% dal +4,5 per cento, vedendo il «forte rischio» di una recessione globale. Al contrario di quanto hanno dichiarato il numero uno della Fed della Grande Mela, William Dudley, «il rischio di entrare in una nuova recessione è basso ma la crescita quest’anno è anemica» e il presidente del Consiglio Europeo, Herman Van Rompouy: «Non siamo in recessione, si tratta di un rallentamento dell’economia».
Dietro alla caduta del Dax di Francoforte, peggiore in Europa dopo Milano, ci sarebbe stato un “fat finger”, come viene definito dagli operatori un ordine di vendita partito per sbaglio che, a sua volta, avrebbe costituito l’evento scatenante delle vendite successive, come spiega il quotidiano Die Welt. Oggi e domani sono giornate di scadenza di contratti d’opzione, e gli investitori in un mercato con una stretta liquidità hanno preferito vendere.
Sul Cac, invece, oltre a un report di Ubs che declassa il valore delle azioni di Veolia, uno dei market mover, hanno pesato i bancari come SocGen e Credit Agricole, fortemente esposti nei confronti della Grecia, ritornata agli onori delle cronache per via delle ulteriori richieste di collaterale sul nuovo pacchetto di aiuti nei confronti di Atene da parte di Olanda, Slovacchia e Austria, che ricalcano la medesima posizione della Finlandia. La quale, secondo quanto hanno fatto sapere fonti del Governo ellenico, è l’unica con cui si tratterà di garanzie collaterali. Intanto, Bruxelles ha fissato per il 29 agosto un incontro al Parlamento europeo tra Jean-Claude Trichet, l’euroministro agli Affari economici e monetari Olli Rehn e il presidente dell’Eurogruppo Jean-Claude Juncker.
Pesante anche l’avvio di Wall Street, con il Dow Jones a -2,6%, lo Standard & Poor’s 500 a -3% e il Nasdaq a – 3,6%, perdite poi ampliate dai dati macro in controluce: nonostante il +0,5% del superindice economico di luglio dopo il +0,3% di giugno, l’indice Fed di Philadelphia, che monitora l’attività del comparto manifatturiero nel distretto orientale americano, ad agosto sprofonda a -30,7 dopo il +3,2 di luglio e le vendite di case esistenti negli Usa, scese del 3,5% a luglio rispetto al mese precedente, rispetto al consensus a +2,7 per cento. Alle 19.00, il Dow Jones cede il 3,54%, lo Standard & Poor’s 500 il 4,06% e il Nasdaq il 4,7 per cento. Al netto dell’inflazione negativo, e per la prima volta nella storia sotto il 2% (a quota 1,98%), il rendimento dei titoli di Stato Usa a 10 anni. Unica certezza l’oro. Il contratto future sul metallo giallo con scadenza a dicembre, sul Comex ha raggiunto 1.822 dollari l’oncia (+1,57% rispetto a ieri).