Cominciano mesi e mesi prima gli accademici cinesi dell’Arwu – l’Academic Ranking of World Universities – a valutare più di mille università del mondo: in piena estate pubblicano una classifica delle migliori 500. Conosciuto come il ranking di Shanghai, poiché nato nell’ambito della Jiao Tong University nel 2003, anche quest’anno mette al top della classifica università americane con le inglesi Cambridge e Oxford. La prima è Harvard, seguono nella top Ten, Stanford University, il Mit , University of California, Berkeley, Cambridge, California Institute of Technology, Princeton University, Columbia , Chicago University e l’Università di Oxford. In coda le italiane.
Le università americane in classifica sono ben 151. È un numero che non cambia da anni, anche la loro posizione (otto nelle prime dieci e 17 nelle prime 20) è solida alla guida di una selezione guardata con molta attenzione proprio dagli asiatici, da giovani e famiglie che scelgono come orientare il loro investimento, studiano le politiche degli atenei che accolgono volentieri i diplomati dall’Asia, in particolare da Giappone, Cina e Corea. Quegli studenti che vincono i campionati mondiali di matematica, e che magari progettano di trasferirsi negli Usa per migliorare la loro formazione, mentre sognano di portare a casa un Nobel made in China.
Proprio la presenza di premi Nobel nati nelle università della classifica Arwu è uno dei criteri che pesa di più. È valutato proprio il numero dei Nobel in ogni ateneo, la quantità di articoli pubblicati su riviste di rilievo internazionale, soprattutto le grandi riviste scientifiche e il numero di citazioni scientifiche. Gli inglesi, che sono presenti con 37 atenei, con posizioni di tutto rispetto, le due migliori Oxford e Cambridge tra le top 10, hanno pubblicato i primi commenti valutando i motivi di una presenza quasi monolitica delle università americane al vertice delle migliori classifiche del mondo. Howard Hotson, docente di Storia a Oxford sostiene – come riporta il Time Higher Education – che su queste classifiche, come in altri ambiti, pesa l’investimento che gli Stati Uniti fanno sull’istruzione superiore, oltre il 3% del Prodotto Interno Lordo, rispetto all’1,3% del Regno Unito.
Una magra consolazione anche per l’Italia, che seguendo questo ragionamento – l’investimento sull’istruzione universitaria in Italia raggiunge a malapena lo 0,88% del Pil – potrebbe addirittura esser contenta di vedere le proprie università valutate dal ranking di Shanghai a partire da quota 102 sino alle ultime cento classificate su 500: l’Università di Pisa e la Sapienza sono nel segmento che va dal 101esimo al 150esimo posto, seguono la Statale di Milano e Padova classificate tra quota 151 e 200. Poi per trovare le italiane si deve scorrere la classifica dalla fine: infatti la Cattolica, l’Università di Torino, di Bari, Ferrara, Parma, Pavia Perugia e Siena stanno sotto la 401esima posizione. In mezzo da 200 a 400 si sono classificate l’università di Bologna il Politecnico la Normale di Pisa, l’università di Firenze, di Genova, Federico II di Napoli, Tor Vergata e Palermo.
Notizie certamente migliori provengono da un’altra classifica quella pubblicata una settimana fa da Forbes: Sda Bocconi è quarta tra le business school al di fuori degli Usa, tra i migliori programmi di Master in Business administration. Infatti la settima edizione del ranking biennale delle business school di Forbes – l’influente mensile statunitense di economia, premia la Sda Bocconi, frequentata da oltre il 70% da laureati stranieri, che scala quattro posizioni, scavalcando anche Oxford e Cambridge, e colloca il suo Mba al quarto posto nella classifica dei programmi che durano solo un anno.
Il ranking di Forbes è basato sul ritorno assoluto dell’investimento per il programma che i diplomati hanno ottenuto nei cinque anni successivi all’Mba (il denaro mediamente guadagnato al netto del costo d’iscrizione e del mancato salario nel periodo di frequenza).
Nella classifica mondiale di Forbes restano al top le business school Usa, ancora Harvard, Stanford, Columbia, Wharton: “Com’è possibile che ancora si paghi un biennio a Stanford 275 dollari? Si chiedono gli esperti americani. Nonostante la crisi, e l’indebitamento record degli Stati Uniti, sino all’anno scorso chi usciva da un Mba tra i top di Forbes ha visto salire il salario del 53%, e oggi più che mai le grandi aziende stanno vicine a queste scuole.
Gli stessi top manager che le hanno frequentate le finanziano come ex alunni per vederle evolvere e migliorare. Quest’anno, le attività di reclutamento all’interno dei campus di queste business school sono aumentate del 70%, anche se le assunzioni restano sotto il livello del 2008. La formazione dei capi d’impresa è un affare molto serio negli Usa, oggi sono le aziende come Google, Amazon, Facebook, Apple, che assumeranno i migliori tra questi diplomati Mba.