Tutto il Vangelo è retto dalla domanda: chi è Gesù? E Gesù non risponde mai su chi è lui. Invece di rispondere, fa. Nella prima parte del Vangelo di Marco ci sono tutte le cose che Gesù fa: fa camminare il paralitico, fa udire il sordo, fa parlare il muto, fa risuscitare il morto, fa vedere il cieco – la cosa più sublime è il vedere, il venire alla luce – dà il pane nel deserto. Soddisfa i bisogni dell’uomo.
Una volta che l’uomo ha soddisfatto i bisogni, una volta ricevuti dei doni, c’è ancora qualcosa di più profondo: riconoscere chi c’è dietro tutti i doni. Sarebbe come dire che i genitori hanno fatto tutto per il loro figlio, l’hanno messo al mondo, curato, allevato, però il figlio non conosce chi è il genitore. Uno è figlio quando conosce il genitore e instaura con lui un rapporto di affetto: è il passaggio dalla soddisfazione dei bisogni, diciamo pure animali, che ogni uomo ha, alla soddisfazione di quel bisogno, che ogni uomo è, di relazione.
Marco 8, 27-30
E uscì Gesù e i suoi discepoli verso i villaggi di Cesarea di Filippo. E, per via, interrogava i suoi discepoli, dicendo loro: Gli uomini chi dicono che io sia? Ora essi gli parlarono dicendo: Giovanni il Battista, e altri Elia, altri poi uno dei profeti. E lui li interrogava: Ma voi, chi dite che io sia? Rispondendo Pietro gli dice: Tu sei il Cristo! E li sgridò, perché non parlassero di lui a nessuno.
Fino a quando uno si pone domande su Dio, non approda mai alla fede, anche per un semplice motivo: la domanda contiene la risposta. Il discorso della fede cristiana comincia da qui: cioè che relazione hai tu con Gesù?
Marco dice che Gesù è il Cristo solo a metà Vangelo: in tutte le parti precedenti non fa altro che far vedere che cosa fa, in modo che uno capisca chi è. Il Cristo è colui che fa camminare, che fa vedere, che fa ascoltare, che fa parlare, è colui che fa l’uomo nuovo.
E uscì Gesù e i suoi discepoli verso i villaggi di Cesarea di Filippo.
Cesarea di Filippo è una città pagana: l’indicazione geografica è estremamente importante, e cara a Marco perché scrive il Vangelo per dei pagani. Gesù è dunque riconosciuto per la prima volta nel punto più lontano che egli raggiunge, un punto dove abitano i pagani. Il che vuol dire una cosa molto semplice: per capire chi è Gesù dobbiamo uscire dalle nostre convinzioni religiose, perché lui non risponde a nessuna delle nostre idee su Dio.
E, per via, interrogava i suoi discepoli, dicendo loro: Gli uomini chi dicono che io sia?
Tutto questo avviene nel cammino: se uno non cammina, non succede nulla. Camminare insieme vuol dire fare insieme un’esperienza, un itinerario, una comunione di vita, con uguali pericoli, uguali rischi, cioè essere coinvolti. Chi non è coinvolto non capisce. E poi c’è una cosa strana: Gesù interroga. Fino a questo punto erano sempre le persone che chiedevano: chi è costui? Ora qui si gira la frittata: il problema non è chi è lui ma chi dico io che sia lui? Non sono più io a metterlo in questione, è lui che mette in questione me.
Ora essi gli parlarono dicendo: Giovanni il Battista, e altri Elia, altri poi uno dei profeti.
Chi sono questi uomini che rispondono? Sono uomini religiosi e l’uomo religioso ha sempre la risposta pronta, ce l’ha già in tasca: ha studiato il catechismo, sa già tutto, ha già tutto scritto. E allora cerca di dire qualunque cosa con quello che sa già. Per cui l’uomo religioso è colui che sistematicamente uccide Dio che è il Vivente, è sempre qualcosa di nuovo. Per lui, invece, è già scontato chi è Dio. Se fosse qualcosa di diverso, direbbe: no, è un’eresia. Quindi l’uomo religioso cosa fa istintivamente fa di Dio l’attaccapanni delle sue opinioni. E di opinioni se ne accumulano tante, attraverso la tradizione, e allora cercano di rispondere attraverso ciò che è già loro noto, e ricorrono alle figure più insigni: il Battista, uno dei profeti.
Che cosa hanno in comune tutte queste persone? Sono morte, non ci sono più. Il tentativo di identificare la propria fede con il “caro estinto”, qualcosa che c’è stato, non più vivente, non mi mette più in questione. Queste risposte vecchie e morte sono quelle che oggi ci rattristano la vita, ci fanno girare in tondo, sono tutte quelle opinioni che non riescono ad aprirsi su un futuro. Infatti, una delle caratteristiche di una cultura che si vuole moderna e che non fa che ripetere ciò che l’uomo ha sempre fatto, magari cambiando i colori, è quello di non vedere un po’ in avanti.
Gesù non è oggetto delle nostre certezze. È una persona che ci mette in discussione proprio nelle nostre certezze, per darci qualcosa di nuovo. Perché le nostre certezze dicono: sono già tutti morti, moriremo anche noi. E in questa ottica giudichiamo il possibile e l’immaginabile. Invece, lui vuole rompere tutte queste certezze, lui non è identificabile con nulla del tuo passato, è il Vivente. In parte è anche vero che il passato è utile da capire, ma guai a identificare il presente col passato: non vivi. Noi abbiamo delle idee sulle quali misuriamo tutto e non ci lasciamo mai sorprendere dalla novità della persona del Signore, e neanche degli altri.
Quando noi abbiamo già le risposte prefabbricate, non possiamo dialogare, non si capisce nulla di nuovo. Un po’ in tutte le cose, di fronte a nuove situazioni ci collochiamo su risposte antiche. Guardate a quante cose che succedono: se non si ha un certo coraggio di fronte ai nuovi problemi sociali e politici e si è spaventati dalla novità, ci si tira indietro, si eleva un muro. Così è nei riguardi di Dio.
E lui li interrogava: Ma voi, chi dite che io sia?
Questa è la seconda domanda: lasciate perdere tutte le altre risposte prefabbricate degli altri che già conoscete, ma voi, voi comunità, voi che avete camminato con me, voi che siete stati insieme con me per due anni, voi cosa avete esperimentato di me? Chi sono io per voi? Questa è la domanda fondamentale del Vangelo: chi è Gesù per te? che esperienza hai di lui? che cammino hai fatto con lui? lo segui?
È proprio una domanda diretta, non è una domanda su di lui per vedere se hai le idee giuste: è una domanda che ti fa lui. La fede è non è credere che c’è Dio, perché se anche non credi c’è lo stesso e sta benissimo. Il problema è che relazione hai tu con Lui, che disponibilità, che ascolto, che amicizia, che coinvolgimento? È una relazione da persona a persona, che deriva dall’esperienza. Se capisci chi è lui per te, capisci chi sei tu e chi è Dio: capisci la tua identità.
Rispondendo, Pietro gli dice: tu sei il Cristo.
Pietro risponde a nome di tutti e dà quella risposta, che è abbastanza giusta a questa punto.Tu sei il Cristo. Cristo traduce in greco l’ebraico Messia, “colui che è consacrato re”, l’Atteso, colui che tutti sperano. E la risposta di Pietro è: tu sei la speranza dell’umanità, quel che tu fai risponde a tutti i desideri che noi abbiamo di essere liberi dal male, dalla schiavitù, dalle malattie, dalla fame, dall’incomunicabilità, dalla cecità.
È davvero il Cristo la speranza, il desiderio, dove si investe tutto? Oppure quanti altri Cristi abbiamo? Infiniti cristi, infiniti idoli. Quindi è già molto grande questa risposta: tu sei il Cristo, colui che restituisce l’uomo alla sua libertà. Ed è una grossa cosa questa, arrivare a dire: Tu sei questo, individuare che lì c’è la speranza dell’uomo. Ed è un Tu. Non è semplicemente una speranza vaga o un’idea: è un Tu con cui cammini, con cui sei in comunione d’amore e di amicizia, con cui vivi.
C’è qualche errore nella risposta di Pietro? L’errore è nell’articolo: tu sei “il” Cristo che penso. Mentre Gesù non è il Cristo che pensa Pietro: è Cristo, Cristo che nessuno pensa. Nella risposta di Pietro c’è un errore molto forte che emergerà nel brano successivo, quando Gesù lo chiamerà Satana. Pur dando una risposta giusta, il discepolo fa ancora come gli uomini che applicano quello che pensano loro a Cristo, e allora per noi Cristo è così. Invece no, non è così.
La nostra tentazione è sempre di ridurre Dio a misura d’uomo, mentre è l’uomo che è a misura di Dio. Anche in ogni comunicazione facciamo così: riduciamo l’altro a misura su di noi, ma questo è ucciderlo. La fede è una domanda che l’Altro ti fa: chi sono io per te? È questa relazione personale, che deve restare sempre domanda: guai a te se dai una risposta troppo determinata, perché la persona e la relazione sono sempre sopra ogni risposta. Ed è bello pensare che la fede è questa domanda diretta da persona a persona: cosa conto io per te?
E li sgridò, perché non parlassero di lui a nessuno.
È importante arrivare a questo punto, perché è la prima volta che un discepolo si lascia mettere in questione. Ma qui non si capisce bene perché li sgridò. La parola “sgridare” viene usata sempre quando Gesù minaccia i demoni. Quindi, Pietro è sgridato come un demonio: perché ha detto giusto, ma non esattamente: dovrà capire qualcos’altro, poi capirà che è anche così, ma come non s’aspettava. Quindi, la prima parte del Vangelo si conclude in un modo misterioso: Gesù domanda chi sono io per te, tu dai già una risposta, perché è giusto dare una risposta, qualcosa hai pur capito… però non è così, perciò non dirlo a nessuno.
Questo non parlare di lui significa proprio questo: non si tratta più di fare qualcosa, ma si tratta di guardarlo: guardarlo e ascoltarlo. A volte noi stiamo lì a parlare di Gesù a partire da quello che conosciamo di Cristo. Qui si chiede anche di sospendere un po’ questo nostro discorso, e ascoltare e guardare.
*biblista e scrittore
Il testo è la sintesi redazionale della lectio divina tenuta nella Chiesa di San Fedele in Milano nel corso di vari anni. L’audio originale può essere ascoltato qui.
Nella foto, Lorenzo Pietrogrande, «Crocifissione», polittico, acrilico su tela, 50 x 90 cm; 2004 – per gentile concessione di Galleria Blanchaert