Valery Melis era quello che si dice un bravo ragazzo. Della madre Marie Claude, di origine francese, aveva preso quel suo fare gentile, il parlare dolcemente, quasi sottovoce, lo sguardo mai insolente. Valery è morto, dopo quattro anni di malattia e di cure presso l’istituto tumori di Milano, il 13 febbraio 2004. Era cagliaritano Valery. I tifosi della sua squadra ancora oggi lo ricordano con striscioni dalla curva del Sant’Elia.
Si è ammalato ed è morto per un linfoma scatenato dall’uranio impoverito. Ora si può dire, a dispetto dei risultati ambigui delle commissioni parlamentari e sanitarie che nell’assolvere il metallo del disonore hanno sempre usato (e ancoa utilizzano) l’espressione pilatesca: “Non è possibile dimostrare la relazione causa-effetto tra l’uranio e le malattie che hanno colpito i soldati provenienti dalle missioni di pace internazionale”.
Invece il tribunale civile di Cagliari appena qualche giorno fa ha scritto il contario: Valery è morto per l’uranio, lo Stato era consapevole del rischio cui sottoponeva i suoi soldati, e se ne è infischiato. Perciò paghi 580 mila euro di risarcimento alla famiglia del soldato Melis. Questo voleva, il ragazzo ricoverato in un letto di ospedale milanese: la verità. E dopo anni di battaglie sua madre e la sua famiglia l’hanno ottenuta. «Una sentenza storica», ha addirittura detto il suo avvocato Ariuccio Carta.
Ma non è così. Ben sette soldati prima di lui hanno ottenuto la stessa verità giudiziaria. Sette risarcimenti anche superiori a quello decretato a Cagliari. Sette casi – uno già in giudicato – per i quali i tribunali hanno stabilito: un milione e mezzo di euro di risarcimento. Lo spiega a Linkiesta l’avvocato Angelo Fiore Tartaglia, legale dell’Osservatorio militare.
«I processi penali non ottengono tali risultati perché per le condanne occorre la certezza senza dubbi della colpevolezza. Nei procedimenti civili invece basta quel dubbio. E le perizie mediche ottenute in dieci anni di lotta nei tribunali hanno espresso molto più di un dubbio. I periti medici hanno scritto nero su bianco che i soldati esaminati si erano ammalati a causa dell’uranio impoverito e il giudice non ha potuto far altro che condannare. Melis non è il solo né tantomeno il primo. Abbiamo ottenuto come Osservatorio le condanne dell’Esercito in ben sette casi. Per la morte di un militare 580 mila euro è un risarcimento molto basso, i precedenti hanno valori ben più elevati, di un milione e mezzo di euro».
Insomma zitto zitto lo Stato sta pagando, eppure tanto, l’imperizia, la negligenza, l’incauta gestione della vicenda uranio impoverito che ha causato la morte di decine di giovani soldati.
Può fare giurisprudenza il caso sardo? «Speriamo di no – continua Tartaglia – per noi fanno giurisprudenza le condanne precedenti. Abbiamo in dirittura di arrivo altre sentenze, ed è importante che prendano ad esempio il tribunale di Roma che si è favorevolmente pronunciato già qualche anno fa, piuttosto che il caso Melis».
Al di là dell’entità del risarcimento, il passaggio fondamentale è l’affermazione che lo Stato non poteva non sapere. Era stato informato dalla Nato, nel lontano Duemila, che nei Balcani era stato usato uranio impoverito e, come numerose testimonianze di soldati hanno raccontato, i militari statunitensi indossavano tute e maschere che noi italiano non avevamo. Per chi si è occupato di questa vicenda sono famosi i filmati Rai in cui si vedono i nostri ragazzi in maniche di camicia assistere al brillamento di ordigni inesplosi, e ridere e scherzare sotto la nube di polvere che si sprigionava. Quella polvere era piena di nanoparticelle di metalli pesanti scaturiti proprio dall’uso di uranio impoverito. La Difesa era stata avvisata, i soldati no. Più di 150 militari sono morti, centinaia sono gli ammalati. Ora finalmente, anche se con estrema lentezza, la giustizia sta arrivando.