«Vi spiego come si crea una società di comodo»

«Vi spiego come si crea una società di comodo»

Due passi indietro sulle pensioni, uno in avanti nella lotta all’evasione fiscale. Stamani è stata cancellata, dopo un vertice tra Sacconi e Calderoli, la norma che escludeva il riscatto (volontario) degli anni di studio e del servizio militare dal computo degli anni validi per l’uscita dal lavoro con 40 anni di contributi, faticosamente partorita dal vertice di Arcore di lunedì scorso. La perdita di quel gettito, 1,5 miliardi di euro (500 milioni nel 2013 e 1 miliardo nel 2014), dicono fonti interne alla maggioranza, dovrebbe essere recuperata con un inasprimento della lotta all’evasione fiscale, mediante un coinvolgimento attivo dei Comuni. Le misure sarebbero già allo studio dei tecnici di via XX Settembre, e andranno a fare il paio con la riscrittura, annunciata ieri da Antonio Azzollini, presidente della Commissione Bilancio del Senato, delle norme sulle società di comodo, tema sollevato da un emendamento presentato dalla Lega, che invece si è duramente opposta a qualsiasi provvedimento sul fronte pensionistico. Una misura che, a detta dello stesso Azzollini, può «portare risorse importanti».
Già, ma cos’è una “società di comodo”, quanto costa crearla, e attraverso quali strumenti il fisco è in grado di scoprirne l’abuso? Linkiesta ne ha parlato con Enrico Zanetti, commercialista veneziano e direttore di Eutekne.info.

Cosa si intende per “società di comodo”?
Prima di tutto, bisogna distinguere tra contenitori societari che si vanno a costruire all’estero, appoggiandosi presso paradisi fiscali, e semplici ipotesi di costituzione di società in Italia, come le Srl a cui si intestano beni. Entrare nella logica dei paradisi fiscali, con intestazioni fiduciarie e coperture doppie e triple, significa adottare strutture complesse, che hanno un costo non indifferente e sono difficilmente monitorabili per il fisco. Per quanto riguarda invece le società di comodo in Italia, come ad esempio una Srl con vari soci, a cui sono intestati in chiaro beni che i soci stessi utilizzano nella loro vita privata, invece che per un’attività imprenditoriale, non serve mettere in campo strutture complesse, né particolarmente costose.

Quanto costa mettere in piedi una società di comodo?
I costi principali di una Srl italiana sono legati alla gestione amministrativa e contabile, all’iscrizione alla Camera di commercio, ai depositi dei bilanci, alla trascrizione dei verbali. Ovviamente, dipende molto dalla tipologia della società, ma si va dai 4 ai 10mila euro l’anno.

Una cifra praticamente alla portata di tutti.
Sì, ma bisogna tenere conto che già oggi dal punto di vista fiscale c’è una disciplina piuttosto stringente sulle società di comodo, che utilizzano beni a favore dei soci invece che per fare impresa. Ad esempio, il decreto Visco-Bersani (il 223 del 2006) prevedeva che, nel caso in cui i ricavi conseguiti da una società siano inferiori ai ricavi figurativi che emergono applicando coefficienti di redditività al valore dei beni patrimoniali che la suddetta possiede, si qualifica automaticamente come società di comodo, ed è costretta alla dichiarazione di un imponibile minimo come “reddito figurativo”. Oggi, quindi, già c’è una disciplina rigida, soprattutto se si parla di elusione, ma si può irrigidire ulteriormente, basterebbe aumentare il reddito minimo da dichiarare.

Un esempio classico?
Vasco Rossi, che qualche anno fa era finito sui giornali perché aveva creato una società di cui era l’unico amministratore, in cui non si effettuavano attività reali nei confronti di soggetti terzi, e aveva intestato ad essa il suo yacht. Nel suo caso, è finita nel mirino del fisco perché non ha pagato i redditi minimi figurativi.

A cosa servono le società di comodo, quando non vengono costituite per aggirare il fisco?
Prima del 2006 i motivi erano principalmente elusivi, e quindi criminosi. Generalmente, si tratta di problemi di natura extrafiscale, come nel caso di una segregazione patrimoniale con autonoma personalità giuridica, che serve a proteggere le proprie risorse da eventuali rischi. Poniamo che un libero professionista, come un avvocato, finisca nei guai, e che la sua abitazione possa essere utilizzata come bene soggetto a obbligo di risarcimento. Se l’abitazione è intestata a una società separata dal patrimonio personale dell’avvocato in questione, non sarà soggetta a tale obbligo, a patto che vengano pagati i contributi figurativi sui quali si pagheranno le imposte. Per intenderci, se una persona molto ricca intesta a una società di cui è amministratore unico il suo yacht da 2 milioni di euro, dovrà versare ricavi figurativi pari al 12% del valore del panfilo, cioè 240mila euro, sui quali pagherà le tasse.

Se “in chiaro”, tuttavia, la società di comodo è ben poco conveniente.
Ritengo che il vero problema che si pone oggi è la ricongiunzione dei beni patrimoniali con le persone fisiche che ne sono effettivamente titolari, in funzione dell’imminente messa a regime dei controlli a tappeto con il redditometro. Uno strumento che ha come punto fondamentale il calcolo del reddito legato al tenore di vita e ai beni di cui un soggetto ha la disponibilità. Il problema non è tanto se le società di comodo paghino o meno le imposte, ma costruire dei meccanismi per ricondurre a persone fisiche la titolarità di beni intestati a società, nell’ottica di un utilizzo più efficace del redditometro, oltre che di una stima più precisa dei beni.

Come?
Se ho una quota in una società pari a 10mila euro, la stima del mio reddito sarà molto più bassa rispetto al caso in cui mi venga riconosciuta la titolarità di 4 autovetture e 7 immobili formalmente intestati a una società di cui possiedo una partecipazione. Insomma, è necessario creare dei meccanismi di facilitazione nella riconducibilità della proprietà di un bene patrimoniale a una società fisica, nell’ottica del redditometro. Mi lasci aggiungere che, con le norme del 2006 e con l’ultimo scudo fiscale, sono state introdotte delle norme che garantiscono una significativa possibilità d’azione. Basta fare i controlli.  

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