«Il nuovo stadio ci permetterà di raggiungere il livello dei nostri principali competitor europei». Così il presidente della Juventus Andrea Agnelli commentava sulla tv tematica Juve Channel, lo scorso maggio, l’avvicinarsi dell’inaugurazione dello Juventus Stadium. La nuova casa della squadra di calcio di Torino che ha vinto più scudetti si è aperta al pubblico stasera, con una festa d’inaugurazione curata dall’agenzia italiana K Events, la stessa che organizzò la cerimonia di apertura dei Giochi Olimpici invernali di Torino 2006. Ci vuole una grande cerimonia, per quello che sarà un evento a suo modo storico. La Juventus è ufficialmente la prima squadra di calcio professionistica italiana a giocare le proprie partite in casa in uno stadio di proprietà.
Tre anni di lavori, 41mila posti, un’area commerciale da 34mila metri quadri. Ma anche sale vip, tessere fedeltà per i tifosi, negozi e sale convegni per rendere lo Juventus Stadium una struttura parte integrante del tessuto urbano di Torino. E in grado di generare ricavi. Le parole di Andrea Agnelli inquadrano il modello di business secondo cui è stato progettato lo stadio. L’obiettivo della società bianconera è di allinearsi alle maggiori realtà calcistiche europee, che rispetto a quella italiana negli ultimi anni stanno generando volumi di ricavi maggiori di quello che fino a qualche anno fa era veniva riconosciuto come “il campionato più bello del mondo”. La perdita di spettatori negli stadi e di competitività a livello internazionale (quest’ultima certificata dalla Uefa, la federazione calcistica del nostro continente, che pone il calcio italiano al quarto posto della classifica delle migliori federazioni europee, dietro Inghilterra, Spagna e Germania) rappresentano i segnali della crisi in cui il pallone nostrano sta sprofondando.
Una crisi dovuta soprattutto allo squilibrio che si registra nelle fonti di ricavo dei club italiani: i diritti televisivi la fanno da padrone, mentre le altre voci di bilancio che di solito incentivano la frequentazione degli stadi, come il marketing e il merchandising, vengono poco curate. I numeri relativi ai bilanci delle squadre dell’ultima stagione di serie A, secondo uno studio della società di consulenza Deloitte, confermano questo trend. I ricavi complessivi hanno raggiunto gli 1,7 miliardi euro, 3,6% in più dello scorso anno. A questa cifra contribuisce per il 52% il totale degli introiti dei diritti tv. A fronte di questo aumento, però, si registrano perdite totali per 250 milioni di euro.
Ora la Juventus prova a invertire la tendenza, proprio per appaiarsi ai competitor europei. Grandi squadre come le inglesi Manchester United e Liverpool o le tedesche Bayern Monaco, Schalke 04 e Borussia Dortmund hanno tutte uno stadio di proprietà. E fidelizzano i propri supporter con il merchandising, perché si riconoscono nel brand della società per cui tifano. Il confronto con gli altri maggiori campionati europei è impietoso. In Inghilterra, Spagna e Germania, sia merchandising che marketing rappresentano il 25% del bilancio, contro il 15% della serie A.
L’investimento della società torinese, per raggiungere queste realtà continentali, è stato di 105 milioni di euro. Il credito sportivo, l’ultima banca statale (seppur a gestione autonoma) rimasta in Italia, ha dato il proprio contributo con 60 milioni di euro. Il resto del progetto è stato finanziato con i ricavi dagli sponsor e dalla vendita delle attività commerciali poste nell’area dello Juventus Stadium. Inoltre, la società della famiglia Agnelli ha ceduto alla società italiana Sportfive per 75 milioni di euro per 12 anni il diritto di scelta del main sponsor, ovvero quello che darà il nome allo stadio. Con due clausole. La nuova denominazione dell’impianto (“Juventus Stadium” è provvisorio) non potrà essere legato né a una marca di abbigliamento sportivo (visto che la Nike è già sponsor tecnico della squadra) né ad una di automobili, dato che il club bianconero è legato tramite gli Agnelli alla Fiat.
Un investimento che, secondo il club torinese, già quest’anno porterà ricavi per 30 milioni di euro, incidendo per il 20% sul prossimo fatturato, ovvero il triplo rispetto ai precedenti ricavi da stadio. Nel 2003, il club acquistò dal Comune di Torino il diritto a sfruttare il terreno del nuovo stadio per 99 anni al costo di 23 milioni di euro. In questo modo, non succederà più come per il vecchio impianto del Delle Alpi, abbattuto per fare posto allo Juventus Stadium. Costruito per i Mondiali di calcio di Italia ’90, e di proprietà dell’Amministrazione comunale, per giocarci la Juventus doveva pagare l’affitto. Cosa che con lo stadio di proprietà non avverrà più.
Un modello di business unico in Italia, dove la Juventus si è mossa in anticipo rispetto a tutte le altre squadre. Solo il Palermo e il Cagliari hanno già presentato progetti simili quest’estate. La Juventus nel tempo sta diventando una squadra che si auto-finanzia anche grazie al nuovo impianto e che, al momento, è una delle poche che può già rispettare il cosiddetto “fair play finanziario” imposto dalla Uefa. La federazione calcistica europea, guidata proprio dall’ex juventino Michel Platini, ha approntato un piano per arginare i troppi buchi di bilancio che minano i conti di diverse squadre del Vecchio Continente e che prevede un tetto alle perdite di bilancio fissato a 45 milioni nel triennio 2012-2014, da ridurre a 30 in quello successivo.
Il fatturato dell’ultima stagione bianconera è stato di 180 milioni di euro. Se lo stadio porterà solo per il prossimo anno 30 milioni, si tratta di un ricavo notevole. Ricavo, non guadagno. Uno stadio migliore del precedente significa anche nuovi costi. Dalla manutenzione agli interessi sui debiti derivati dal finanziamento per sua costruzione. E allora, per avere un “più” nel saldo sarà necessario fare del nuovo stadio il teatro di nuove vittorie. Perché nel calcio moderno, vincere significa guadagnare.
I tifosi bianconeri hanno già fatto la loro parte, bruciando in due giorni i 18mila abbonamenti acquistati in prevendita a inizio luglio e facendo registrare il tutto esaurito nella grande festa di stasera. Ora tocca alla squadra rispondere sul campo. Nella scorsa stagione, il club non ha raggiunto la qualificazione a nessuna competizione europea. Il che significa nessun introito derivante da sponsor, biglietti e diritti tv per le partite di coppa. La Juventus dovrà arrivare tra le prime tre del campionato. Solo così ci si guadagna il diritto di partecipare, l’anno dopo, alla Champions League (fino al 1992 Coppa dei campioni), il torneo più prestigioso d’Europa. E più ricco. Ogni squadra riceve un bonus di 7.1 milioni di euro tra incassi, sponsor e diritti tv. Più si va avanti nel torneo, più i bonus aumentano (3 milioni a partita). La sola finale vale 9 milioni di euro.
Per ora un’amichevole dal sapore romantico contro gli inglesi del Notts County. Non una squadra di primo livello, ma c’è un motivo storico sul perché è stato scelto questo avversario. Dall’anno della sua fondazione, il 1897, fino al 1903, la Juventus indossava divise rosa per un errore nell’ordinare le divise. A inizio Novecento si decise per il cambio di casacca. Della questione si occupò un membro inglese del club, John Savage, che si rivolse a un amico tifosissimo del Notts, che giocava con la maglia a strisce bianconere. L’amico fece recapitare così a Torino le casacche simili a quelle della sua squadra del cuore.