Baffoni e barba incolta, Mojtaba Vahedi quando parla del suo Paese, l’Iran, lo fa con ferma pacatezza. Racconta il suo punto di vista sull’attualità come fosse l’opinione personale di un esule qualsiasi. Ma Vahedi tra gli oppositori di Mahmoud Ahmadinejad ha un ruolo di primaria importanza, per la sua storia e per i suoi rapporti internazionali. Braccio destro del chierico sciita e leader riformista Mehdi Karroubi sin dagli anni ’80, è stato suo portavoce nella campagna presidenziale del 2009. L’esito delle elezioni, contestato in patria e all’estero, diede vita a una nuova stagione per l’opposizione.
Oggi Vahedi, dopo aver lasciato il suo giornale “Aftab-e-Yazd” nel 2010 per evitarne la chiusura, gira tra le comunità iraniane europee per raccogliere consensi sulle idee riformiste. Nei giorni scorsi ha incontrato Ardeshir Amirarjomand, vicino all’altro leader riformista iraniano Mir-Hossein Mousavi, per tracciare strategie comuni per il futuro. E sull’opposizione iraniana sottolinea che «non è uniforme. Ci sono due linee di pensiero. Quelli che ancora credono che possa esserci un cambiamento graduale nelle posizioni del governo e un’altra apertamente anti-governativa. Ma anche nel governo conservatore ci sono profonde divisioni, tra quelli che stanno con Ahmadinejad e quelli che parteggiano per Khamenei. L’unico punto d’incontro è l’atteggiamento nei confronti dell’opposizione: vogliono impedire che ricopra un ruolo».
Con queste premesse, quali scenari si aprono per il futuro dell’Iran?
«Un governo che non accetta le proprie debolezze non può essere propenso alle riforme. La situazione economica e i contrasti politici interni ai conservatori lasciano intravedere spazi di cambiamento. Serve una lotta pacifica che porti a trasformazioni graduali».
A proposito di trasformazioni, come viene percepita la situazione siriana?
«Per il governo la vicenda siriana è un complotto inglese e americano. Tutte queste rivoluzioni nel mondo arabo hanno invece anche un senso e un’anima anti-americana, gli States in passato hanno appoggiato i dittatori contro cui stanno combattendo i ribelli. In realtà il governo iraniano non è disposto a perdere l’alleato di vecchia data siriano. Un futuro governo siriano, infatti, non potrà mai più garantire le stesse concessioni date attualmente all’Iran. La maggioranza della popolazione iraniana vede la possibile caduta del regime siriano come la premessa per la caduta del regime iraniano. Governo e opposizione hanno un’ottica molto diversa per quanto riguarda le rivolte arabe».
E delle rivoluzioni nord africane che idea si è fatto? In Libia la situazione non sembra essere ancora stabilizzata…
«A parte la violenza e i danni subiti dal paese per l’inutile resistenza di Gheddafi, sono contento per la Libia. In Iran si lega molto la figura di Khamenei a Gheddafi, alla caduta del leader libico sono state pubblicate su Facebook foto che li ritraevano insieme. Anche per questo inizialmente il regime ha scelto il silenzio nei confronti della rivolta, vedevano anche loro le affinità tra Iran e Libia. Così non prendeva in considerazione le posizioni degli insorti, ma cercava di legare il movimento della Libia agli interessi petroliferi dei governi esteri,interessi che avrebbero portato a fomentare le proteste. Poi Teheran ha dovuto cambiare atteggiamento…»
Si parla spesso del prese di posizione dure del regime contro Israele, con un nuovo governo iraniano quali potrebbero essere le evoluzioni?
«In Iran gran parte popolazione non è d’accordo con il comportamento del governo israeliano nei confronti del popolo palestinese. Anche se in futuro ci saranno dei cambiamenti in Iran, non è detto che i rapporti con Israele miglioreranno. Non è una presa di posizione contro Israele, ma di solidarietà verso i palestinesi».
Iran e Iraq. Una storia lunga. Come definirebbe la convivenza con l’Iraq post Saddam Hussein?
«C’è un’interferenza del governo iraniano nella questione irachena. Il che è anche legittimo, per la comunanza di confini e per storia pregressa. Se non fosse che l’interferenza con l’attuale governo iracheno sembra una resa dei conti con gli Stati Uniti. Il nuovo governo iracheno non è disposto a pagare i risarcimenti di guerra all’Iran. L’Iran però reagisce appoggiando gruppi all’interno dell’Iraq anziché chiedere risarcimenti di guerra dovuti. E per farlo spende i soldi dei cittadini».
Che ruolo vi aspettate giochi l’occidente nella vicenda iraniana?
«L’occidente può giocare due ruoli. Uno positivo e l’altro negativo. Quello negativo sono le alleanze dietro le quinte dei governi europei e statunitensi con l’attuale governo iraniano. Gli altri governi non dovrebbero ignorare quello che succede in Iran. Non dovrebbero interferire, ma neppure rimanere in silenzio.»
Qual’è il suo giudizio sulla politica estera di Obama?
«Interviene in ritardo, ma positivamente. Basta pensare a quando in Iran c’erano le proteste di piazza. Gli States non sono intervenuti durante il culmine degli eventi, ma dopo e con determinazione.»
Esiste davvero un sentimento anti-statunitense nel suo Paese?
«E’ una forma di reazione, un pensiero risalente al colpo di stato contro Mossadeq nel 1953. E vale anche nei confronti dell’Inghilterra. Però se il governo si scaglia contro determinati paesi, per contrapposizione la popolazione li vede con favore. Le cose potrebbero cambiare.»