A giugno si era a lungo parlato del sorprendente “giro di valzer” avvenuto a Milano: all’improvviso la città e il Comune erano passati a sinistra, mentre la Curia andava a “destra”, con la contrastata nomina ad arcivescovo del ciellino Angelo Scola.
Facile semplificazione mediatica: e alla vigilia dell’ingresso ufficiale del nuovo titolare sulla cattedra di Ambrogio, il quadro si presenta molto più sfaccettato e complesso, tale semmai da aumentare la curiosità e le aspettative sull’impronta che il nuovo pastore darà all’importante e prestigiosa arcidiocesi ambrosiana.
Anche buona parte del folto clero milanese, di stretta formazione martiniana, che pure non aveva mancato di esprimere, talvolta rumorosamente, il suo esplicito disappunto per la nomina, appare piuttosto sospeso e in attesa dei passi del nuovo vescovo. D’altra parte, molta diffidenza si è sciolta a Madrid, nelle Giornate Mondiali della Gioventù, quando, di fronte alla legione di pellegrini ambrosiani, è avvenuto un inedito e pubblico “passaggio di consegne” tra l’uscente cardinal Tettamanzi e l’entrante Scola all’insegna di affettuosità non formali e di comune comprensione di un solido mandato di continuità religiosa.
Inoltre, magari indipendentemente dalla sua volontà, il nuovo vescovo è per forza di cose chiamato a tutelare e a rafforzare l’autonomia e l’orgogliosa diversità della Chiesa ambrosiana, coltivata nel corso dei secoli (non foss’altro, per la peculiarità della sua liturgia) e che stesso Scola, brianzolo di Malgrate, ha recepito e respirato fin dall’infanzia.
D’altronde sarebbe ancora Patriarca di Venezia se solo fosse passato il desiderio del Papa che già lo voleva alla guida della CEI nel difficile dopo-Ruini. Allora, fu decisiva l’opposizione del segretario di Stato Bertone, lo stesso che non nasconde le mire vaticane su istituzioni cattoliche milanesi (com’è già avvenuto per la crisi del San Raffaele di don Verzé) e soprattutto per l’Istituto Toniolo, ovvero la “cassaforte” che controlla importanti organismi, come l’Università Cattolica del Sacro Cuore. E nella logica difesa dell’autonomia ambrosiana si assisterà probabilmente ad un imprevisto ricompattamento dietro il nuovo arcivescovo.
Caratteristica antica del prestigio e dell’autorevolezza della diocesi di Milano era (fin dai tempi di Carlo Borromeo) il fatto che l’autonomia orgogliosamente affermata avesse il suo naturale corrispettivo nel legame speciale con il Papa (con la persona e la figura del Pontefice e non con l’apparato e gli uffici vaticani) : riannodare e irrobustire questo cordone sfilacciatosi negli ultimi decenni è probabilmente tra i compiti più cari all’ex allievo di Ratzinger e suo stimato collaboratore nella rivista teologica “Communio”.
In curia, spesso paralizzata da incrostazioni anche di potere sedimentatesi nel tempo, ci si attende un salutare e fisiologico “giro del fieno” (un modo di dire che si ispira all’erba tagliata, che va rivoltata spesso perché non marcisca). Ma non sarà certo di stampo ciellino: semmai, quei preti di stretta formazione ciellina, che hanno riempito spazi vuoti e interstizi nelle parrocchie sono (e non sembri un paradosso) i meno entusiasti del nuovo pastore, che pure proviene dalla medesima iniziale vocazione. È certo che perderanno quell’autonomia un po’ anarchica in contrapposizione al resto del clero. E in più, proprio nei loro confronti la nuova guida sarà particolarmente esigente, anche per riaggregare l’intera Chiesa ambrosiana in una dimensione più larga, più ordinata e più collaborativa.
Perché le sfide pubbliche non sono finite con l’esplicito appoggio alla “primavera arancione” del sindaco Pisapia. L’entusiasmo iniziale infatti sembra dissolversi di fronte al riemergere di punte laiciste nell’amministrazione. E anche il dialogo con l’Islam e i nuovi migranti non appare privo di interrogativi.
Un vescovo non “fa politica”: ma, da “pater pauperum et defensor civitatis”, come è nella tradizione di Ambrogio, non sarà certo indifferente alla crisi dell’impegno pubblico e all’impoverimento che le vicende finanziarie stanno creando tra i ceti deboli, le famiglie e la stessa classe media, così attiva a Milano.
Di recente, ha lanciato un messaggio “Rialzati, Italia” per stimolare le energie migliori del Paese e i giovani in particolare a farsi più protagonisti del destino comune, nella speranza che anche il serbatoio cattolico non si richiuda nell’esclusivo impegno sociale. I tempi difficili e indecifrabili del nostro prossimo futuro lo vedranno a suo modo in prima fila, magari importando di più a Milano quell’idea forte del “meticciato di culture” e di incontro tra i mondi che da Venezia stabiliva un ponte tra Oriente ed Europa. Come peraltro confermano i sindaci di centro-sinistra della Laguna (prima Cacciari e poi Orsoni) che l’hanno avuto, così raccontano, attento interlocutore.
Anche perché proprio Milano e la sua stessa multiforme cattolicità sono attesi ad eventi straordinari. Nel 2012 la Giornata Mondiale della Famiglia con papa Benedetto XVI. Nel 2013 le celebrazioni dei 1700 anni di Costantino, quando, appunto con “l’Editto di Milano”, i cristiani uscirono dalla persecuzione dell’impero. E infine con l’Expo del 2015, dove i temi della vita e del nutrimento del pianeta non sono di certo estranei alla sensibilità dei credenti.
Contro Scola c’è soltanto l’età (quasi 70 anni) e una prospettiva di governo dall’orizzonte limitato nel tempo: e chi lo fa notare, anche nella “sinistra ecclesiale”, trasmette tuttavia la sensazione che a Milano sia necessario un rinnovamento profondo. È questa in realtà la sfida più significativa che attende il nuovo arcivescovo.