Buon compleanno, Cavaliere!

Buon compleanno, Cavaliere!

Se proprio si verrà chiamati a una celebrazione, come temo voglia fare Linkiesta con il genetliaco di Silvio B. – oggi infatti se ne festeggia il 75° – toccherà indossare gli abiti un po’ spiegazzati che ci riportano indietro nel tempo e a quella memoria spavalda e moschettiera che racconta di un’avventura fantastica che si perpetua almeno dalla metà del 1993, quando al nostro venne l’uzzolo di provarci con la politica. Che l’avventura sia (stata) fantastica, nel pieno rispetto etimologico della parola: «meravigliosa, straordinaria, molto bella e suggestiva», è storia del tutto evidente, ma anche talmente parziale da non poter negare la parte molto consistente di popolo che quell’avventura fantastica avrebbe volentieri rimodellato a tragedia. Così non è stato, sino a ora, e per il futuro si vedrà.

Nei festeggiamenti molto personali, e il compleanno lo è, sarebbe pretestuoso buttarla solo in politica e anche un filo indelicato. Ma se il Dottore, com’era chiamato (e adorato) in azienda, è poi diventato Cavaliere e Presidente, sino al più moderno e meno celebrativo Caimano, un motivo andrà ricercato proprio nel suo sbarco nella capitale, dove la preoccupazione emergente dei primi giorni parlamentari, rivelata ai cronisti dell’epoca, era esattamente quella di stringere troppe mani sudaticce e anche un po’ sporche. Circa mille mani, capirete, un incubo istituzional-sanitario da lavare con Perlana per Capi delicati (le igieniste dentali non erano neppure all’orizzonte).
Del resto, di quell’attitudine al bianco più bianco si erano accorti ben presto anche i piccoli di casa, i figli di Veronica, dovendo fronteggiare un capo famiglia che aveva degli animali e della loro natura un’idea tutta particolare. Rimase incancellabile, agli occhi del piccino Luigi, lo sguardo terreo di papà Silvio quando gli si fece incontro tutto felice con in braccio uno dei coniglietti del bosco, naturalmente arruffato e sporco di terra. Papà gli guardò le zampine color del muschio, vagamente schifato, proponendogli una misura risolutiva: «Che ne dici, se gli facciamo uno shampino?» «Ma papà, non si fa lo shampo ai conigli!», fu la risposta piccata e senza appello.

In un giorno (sperabilmente) felice come dev’essere un compleanno, ancorchè funestato da «sabotatori d’ogni genere», chissà se al festeggiato vengono in mente le cose amare e fondamentali che riportano agli anni ruggenti di Fininvest. Come quel pacchetto di mischia di amici senza se e senza ma, molto e molto machi che a lui dovevano tutto, e che condividevano con il Capo l’idea fondamentale di poter bastare a se stessi, caricandosi l’un l’altro, prima d’ogni consiglio di amministrazione, a botte di barzellette hard e raccontini cochon delle avventurette extra familiari, oggi robetta d’altri tempi, si direbbe persino gentile avanspettacolo alla Macario rispetto al decamerone tarantiniano.
Ma l’idea che le donne non dovessero turbare l’ordine naturale dei signori maschi era un tratto fondativo della casa madre di via Rovani in Milano, il primo comandamento di casa Fininvest-Berlusconi. In quel tempo, in cui anime più giovani, intelligenze più pronte, e certamente la tonicità di fisici oggi appesantiti dagli anni e che ritroviamo, in proiezione, nell’esplosione muscolare di Piersilvio B., provvedevano alla bisogna, selezionando ed escludendo severamente il genere femminile, giammai una prostituta paracadutata dalla Puglia con il suo tubino D&G – e con le peggiori intenzioni -, avrebbe potuto mettere a repentaglio la tranquillità del Capo e dei suoi sodali.

Accadde una volta, e una soltanto, nella storia della Fininvest pre-Tarantini che Arcore tremasse per una donna. Accadde che le maglie si allargarono pericolosamente perché uno del gruppo, anche se non della prima fascia, ma comunque un avvocato di peso, si era innamorato di una signora “non controllabile”. Quella signora era Stefania Ariosto. Una donna che scatenò il putiferio giudiziario che sappiamo.Era la fidanzata di Vittorio Dotti, che nel frattempo aveva seguito Silvio nell’avventura di Forza Italia, fino a diventare vice-presidente della Camera.
Il “cerchio magico” fininvestiano, che costituiva il giudice naturale dei comportamenti degli uomini vicini al Capo, decise che Dotti non aveva separato in maniera netta, evidente, clamorosa, come richiedeva il regolamento della Casa, il suo destino da quello di Stefania Ariosto. Insomma, aveva permesso a un’esterna di intervenire pesantemente sulla e nella vita di Berlusconi, accusando Previti d’ogni nefandezza. La sentenza fu inappellabile: Dotti doveva essere cacciato dal tempio. Così avvenne, non solo l’avvocato venne allontanato dal partito ma vennero immediatamente interrotti i contatti tra Fininvest e il suo studio legale, in quel momento il suo cliente più pesante.

Rivista oggi, quella storia sembra preistoria. Ma spiega moltissimo del momento attuale, e soprattutto racconta il cambiamento epocale avvenuto nei comportamenti ma soprattutto nelle fragilità di Silvio Berlusconi. Quello che oggi “festeggerà” il suo 75° compleanno sarà un uomo incredibilmente solo, neppure circondato da quella cintura di amici con cui costruì la sua fortuna di imprenditore. Oggi certamente lo chiameranno in mille, molti ruffiani, molti interessati, parecchi traditori in nuce, altri traditori già evidenti che non gli risparmerianno l’ultima coltellata. Lui non capirà sino in fondo, mancandogli ormai quell’equilibrio interiore che un tempo gli avrebbe permesso di scansare tutti quei pericoli che lo hanno reso macchietta (inconsapevole) in mezzo a macchiette (consapevoli). Berlusconi non si rende più conto che la sua è ormai la tragedia di un uomo ridicolo.

Anche noi lo chiameremo per gli auguri. E per dirgli, dopo anni di silenzio, che per una fine che appare ormai annunciata vorremmo almeno un pranzo di gala. In cui ritrovare gli amici veri, Fidèl e gli altri, e i fieri avversari che non lo hanno mai voluto morto. Al quale, invitare le ragazze, sì anche le ragazze. Che a una tavola di Berlusconi non sono mai mancate. Ma lasciando fuori dai cancelli due barboni come Lavitola e Tarantini. Alzeremo il calice, pensando che diciassette anni sono un’eternità, ma per fortuna sono anche finiti.
Auguri Cavaliere, buon settantacinquesimo. Di cuore.  

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