Se pensate che duecentoventi euro siano una cifra tutto sommato esigua, provate a moltiplicarla per 25 mila. Il risultato – 5,5 milioni di euro – è la somma approssimativa di quanto ci potrebbe costare l’inerzia del Parlamento nei confronti dei diritti dei detenuti. Che sono ormai 68 mila a fronte dei 43 mila posti letto disponibili nelle carceri italiane, con appunto, 25 mila detenuti in più. Freddi numeri, che si traducono però in fatti concreti: vivere venti ore al giorno dentro una cella da tre metri quadrati, materassi per terra, zero attività educative o ricreative.
Cosa c’entrano i 220 euro? È il risarcimento che il tribunale di Lecce ha concesso a un detenuto tunisino per le «lesioni della dignità umana» sofferte nel corso di un mese nel carcere salentino. In questa struttura sono stipati oltre 1.300 detenuti. Le celle ne potrebbero contenere al massimo 700. Secondo il Sappe, il sindacato autonomo di polizia penitenziaria, solo in Puglia oltre 4.000 detenuti si preparano a seguire la strada del ricorso. E con il precedente favorevole, è probabile che il risarcimento verrà loro concesso.
«Nel carcere di Lecce molti detenuti si stanno già informando su cosa fare per presentare il ricorso. A livello nazionale, tra le 30.000 e le 40.000 persone potrebbero rivolgersi al magistrato di sorveglianza per le stesse ragioni» dice Federico Pilagatti, segretario nazionale del Sappe per la Puglia. E la conferma arriva dall’avvocato Alessandro Stomeo, il legale che ha creduto nella causa di risarcimento per il ragazzo tunisino: «Questa è una sentenza storica. Ma ho depositato altre 60 richieste per le quali attendiamo solo l’esito. Molti di questi detenuti hanno vissuto in condizioni anche peggiori rispetto al mio assistito». E i galeotti delle vicine Brindisi, Trani e Matera aspettano solo la visita dell’avvocato leccese per intraprendere nuove azioni legali.
Insomma, il dado è tratto e per l’amministrazione penitenziaria potrebbe iniziare una lunga stagione di salassi. È impossibile prevedere quanti carcerati chiederanno l’indennizzo, se lo otterranno e a quali somme. Se l’esempio di Lecce fosse davvero seguito da migliaia di detenuti, il conto per lo Stato (quindi per i cittadini) potrebbe variare tra i cinque e gli otto milioni di euro. Il precedente già c’era e risale al 2009. Il primo detenuto in Italia che ottenne un risarcimento di mille euro per le condizioni patite nel carcere romano di Rebibbia si chiama Izet Sulejmanovic. Il il cittadino bosniaco presentò ricorso alla Corte europea dei diritti dell’uomo, che alla fine multò l’Italia. Stavolta è diverso: il caso giudiziario nasce e si conclude nel nostro territorio. Niente giudici europei, tutto made in Italy.
Oltre al possibile effetto domino la sentenza segna un precedente storico. Mai, prima d’ora, un magistrato di sorveglianza aveva sancito un risarcimento economico in favore di un detenuto. Insomma, non è stato un normale giudice civile a stabilire che nelle celle di Lecce si vive in condizioni disumane, ma proprio il giudice che deve far rispettare le regole dell’ordinamento penitenziario. «Con questa sentenza vengono riconosciuti dei diritti propri ai detenuti – spiega l’avvocato Stomeo – e il principio che lo Stato ha degli obblighi nei confronti della popolazione che vive in carcere. Certo, in teoria è tutto scritto nella Costituzione: non ci siamo inventati niente. Ma rimane comunque un precedente storico».
Eppure la sentenza potrebbe avere vita breve. Il perché lo spiega Pilagatti del Sappe: «Secondo i nostri legali la decisione verrà annullata. Perché il nostro ordinamento non prevede che il magistrato di sorveglianza si metta a erogare sanzioni. Resta il forte valore simbolico. E la speranza che questa storia riporti il dramma-carceri all’attenzione di tutto il Paese». Ma l’avvocato Stomeo è convinto che le cose non andranno così: alcune sentenze della Corte di Cassazione attribuiscono poteri più ampi al giudice di sorveglianza. Quelli che sono stati esercitati a Lecce.
Nel frattempo la situazione delle carceri italiane è talmente grave, e da così tanto tempo, che definirla «emergenza» è ormai un eufemismo. Il sindacato di polizia penitenziaria ha già proposto le sue ricette svuota-carceri: depenalizzare alcuni reati che non provocano allarme sociale (si eviterebbe la galera alle persone pizzicate con 2-3 dosi di hashish), in caso di buona condotta, concedere la semilibertà o i lavori sociali a tutti quei detenuti che devono scontare gli ultimi due-tre anni, stipulare accordi con altri paesi per far scontare ai galeotti stranieri la pena nel loro paese di origine. «Sono proposte a costo zero. Mentre il piano-carceri prevede la costruzione di altri penitenziari. Con una spesa di centinaia di milioni di euro – conclude Pilagatti – ma se la logica resta quella di adesso, in poco tempo si riempiranno anche quelli». E poi, ne costruiremo ancora?