Gorky ParkDa Putin ai Bush, la democrazia si gestisce in casa

Da Putin ai Bush, la democrazia si gestisce in casa

KIEV – La democrazia alla russa per la stagione 2011/2012 (e quelle future) é una cosa particolare. Ma non è una novità, dato che nel 2008 e nel 2004 si è assistito al medesimo show. Vladimir Putin e Dmitri Medvedev ora decidono di scambiarsi i ruoli in un teatrino in cui gli elettori sono spettatori e hanno il compito di suffragare le decisioni prese dall’alto. Democrazia controllata, si chiama: l’ha inventata ufficialmente Vladislav Surkov, l’ideologo dello zar Vladimir Vladimirovic. Già ai tempi di Eltsin però era stata messa in pratica, quando appunto la notte di Capodanno 1999 Corvo Bianco aveva annunciato il nome del suo successore, poi confermato alle presidenziali di marzo 2000. E nel 1996 il vecchio presidente un po’ ubriacone e dal cuore malandato era stato aiutato dai miliardi e dalle televisioni degli oligarchi per sconfiggere il cattivone di turno, il comunista Gennady Zyuganov. Allora nessuno in Occidente si era lamentato per le questioni legate ai diritti umani in Cecenia, la prima guerra era ancora in corso, e l’indipendenza della stampa. Spesso la democrazia è una questione di prospettiva.

È soprattutto nello spazio postsovietico che le forme di perpetuazione del potere avvengono in forme apparentemente democratiche. In Turkmenistan nel 2006 il presidente Saparmurat Nyazov è morto dopo quindici anni di regno iniziati con il crollo dell’Urss. Lo ha sostituito Gurbanguly Berdymukhammedov, il suo dentista e secondo voci maligne figlio illegittimo, che in elezioni libere e democratiche cui ha partecipato il 99% della popolazione ha ottenuto il 90% dei voti. In Azerbaijan Heydar Alyev, morto nel 2003 dopo solo dieci anni di presidenza, è stato rimpiazzato sempre democraticamente dal figlio Ilham (vittoria con il 76%) che nel 2008, dopo essere stato rieletto (87%), ha pensato bene di abolire la legge costituzionale che gli avrebbe impedito di ripresentarsi una terza volta e c’è quindi da giurare che a Baku nel 2013 il prossimo presidente sarà ancora lui.

Un po’ tutti i satrapi alla guida delle repubbliche ex sovietiche tra Caucaso e Asia centrale ci tengono a gestire le cose in famiglia, e non ne fanno mistero. In Uzebkistan il vecchio Islam Karimov distribuisce cariche e denari alle figlie, in Kazakistan è il clan di Nursultan Nazarbayev a dirigere l’orchestra. C’è però anche chi da quelle parti a fatto le cosiddette rivoluzioni e allora deve adottare meccanismi più sofisticati. Nella Georgia delle rose ormai appassite Mikhail Saakashvili è stato accusato di “putinizzazione” dopo che è passata la modifica costituzionale che prevede uno spostamento dei poteri dal presidente al primo ministro. Il buon Misha, l’arcinemico dello zar Vladimir, dopo due mandati deve lasciare il lussuoso palazzo presidenziale costruitogli da un’illustre architetto italiano e vuole spostarsi sulla poltrona di primo ministro. E forse tirerà fuori il Medvedev di turno. Le vie della democrazia sono infinite.

Sarebbe sbagliato però pensare che la democrazia familiare, ereditaria, parentale o amicale che dir si voglia sia una peculiarità delle terre un tempo marchiate da falce e martello. Dando uno sguardo alla più grande democrazia asiatica, l’India, si nota che il nome della famiglia Nehru-Gandhi ricorre con grande frequenza. Jawaharlal Nehru, il Pandit, premier dal 1947 al 1964, é stato rimpiazzato quasi subito dalla figlia Indira, primo ministro dal 1966 al 1977 e dal 1980 al 1984, sino cioè a quando è stata ammazzata. Morta la mamma è arrivato il figlio, Rajiv (1984-1989), poi assassinato pure lui. L’attuale premier Manmohan Singh é in carica dal 2004, dopo che Sonia Gandhi, vedova di Rajiv, aveva portato il Congresso nazionale indiano (il partito di famiglia, praticamente) alla vittoria, ma aveva rifiutato di ricoprire il ruolo in questione. Possibile che anche la democrazia più pura corra sui binari famigliari?

Possibile. Se si pensa anche a quello che succede proprio nella culla della democrazia, gli Stati Uniti d’America. Solo gli ultimi cinquant’anni sono stati dominati in sostanza da tre famiglie, i Kennedy, i Bush e i Clinton. Lasciando ai teorici del complotto i destini di Jfk, George Bush Senior è stato negli anni settanta capo dei servizi segreti, ha fatto otto anni da vicepresidente, prima che il suo capo Ronald Reagan gli spianasse la strada per la Casa Bianca, dove ha soggiornato per quattro anni. Dopo l’intermezzo di Bill Clinton, a Washington è arrivato il figlio George Junior, per otto anni. Obama fa intanto scorrazzare per il mondo la moglie di Bill, Hillary. Stranezze della democrazia. Gira e rigira, anche uscendo dai cerchi magici, sono sempre gli stessi nomi che ritornano. Sarà il sistema che non è perfetto.

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