E a Chicago inventano l’Università “low cost” la trovi su Groupon

E a Chicago inventano l’Università “low cost” la trovi su Groupon

Quando l’istruzione diventa un’offerta speciale. E’ questa la trovata della “National Luis University” di Chicago, balzata la scorsa settimana agli onori delle cronache per aver proposto un master a prezzo scontato su Groupon, la piattaforma di “deal-of-the-day” più gettonata del momento.

Tra sedute di epilazione laser, week-end all inclusive, cene etniche per due persone o residuati bellici della tecnologia a prezzo imbattibile, ecco l’offerta che nessuno si aspettava, la prima in assoluto in questo senso: un “Master of arts in Teaching” a soli 950 dollari anziché 2000. Uno sconto di circa il 60% sul costo “standard” del corso, riservato ai primi 25 studenti che si fossero prenotati, a fronte di almeno 15 acquirenti indispensabili per attivare l’iniziativa.

Un caso che fatto notizia persino negli Usa, dove ogni ateneo ha un responsabile marketing che conta quasi come il rettore, e che è pagato proprio per sfornare idee del genere. E stavolta, stando almeno ai commenti che circolano on-line, la trovata ha fatto contenti tutti: dagli studenti più squattrinati dell’Illinois al cda universitario della Luis University, contento di poter vedere il nome del proprio ateneo, non esattamente il più celebre d’America, sulle homepage dei notiziari on-line di mezzo mondo.

Finita l’era degli indebitamenti pluridecennali per pagarsi gli studi Oltreoceano? Probabilmente no. Per entrare nelle blasonatissime Yale, Harvard, Columbia, Mit e Ucla, ad esempio, occorre ancora avere i numeri per conquistarsi borse di studio a parecchi zeri, oppure essere pronti a sborsare fior di rette, da saldare magari negli anni come da noi il mutuo della casa nuova. Ma cosa ne pensano gli atenei italiani, le cui casse piangono calde lacrime da ben prima della crisi economica? Linkiesta ne ha parlato con Pier Luigi Frati, Magnifico Rettore dell’Università “La Sapienza” di Roma. Tra gli “ermellini” italiani, sicuramente uno di quelli che più hanno invocato la necessità di una modernizzazione del sistema universitario nazionale.

Di fronte ai “consigli per gli acquisti” dei colleghi americani, anche lui storce un po’ il naso. «Credo sia necessario innanzitutto fare le opportune distinzioni tra Università pubblica, garantita dallo Stato, e Università privata» spiega il rettore della Sapienza, che su questo punto tiene a mettere i puntini sulle “i”. «Detto questo, è una realtà con cui dobbiamo fare i conti anche in Italia: gli atenei privati riescono a partorire le pubblicità più astruse, magari affiggendo i cartelloni nei pressi delle università pubbliche, per cercare di portare via qualche iscritto in più». Niente di nuovo sotto il sole, dunque. Ma una trovata simile potrebbe attecchire anche da noi? Potrebbe rivelarsi l’uovo di Colombo per risanare i magri bilanci delle Università Italiane? Il Magnifico Rettore non ne è esattamente convinto: «Tra l’Italia e gli Stati Uniti c’è un’abissale differenza sul piano economico: da noi la retta universitaria costa allo studente 1.000 euro l’anno, in media. All’Università del Maryland, ad esempio, se ne devono spendere 8.000 se si è cittadini di quello stato, oltre 15mila se si viene a studiare da fuori». Altro mondo, altra storia. «Una promozione del genere – chiosa Frati lapidario – da noi non avrebbe senso».

Eppure anche a casa nostra, anche senza fare svendite promozionali, ci sono università che per promuovere i propri corsi sperimentano canali e linguaggi per lo meno inusuali. Tra i pionieri di YouTube, ad esempio, c’è l’Università degli Studi dell’Aquila, con uno spot virale on-line dal 2007. L’Università di Macerata, nel 2004, aveva invece affisso una serie di manifesti simpatici e provocatori con giovani studenti ritratti nell’atto di fare le boccacce, le corna o il proverbiale “gesto dell’ombrello”. Il tutto corredato dal motto: “La buona educazione”. Brillante e controcorrente anche l’idea pubblicitaria dell’ateneo palermitano che, nel giugno dell’anno scorso, aveva cercato di fare concorrenza a Facebook proponendosi agli studenti siciliani come il miglior “social network” del momento.

L’Università Politecnica delle Marche, sempre nel 2007, aveva invece preferito badare al sodo, sciorinando nelle pubblicità le altissime percentuali di occupazione dei propri laureati entro tre anni dal conseguimento del titolo. Si può dire che avessero “badato al sodo”, ma con tutt’altro valore semantico, anche i promo voluti nel 2009 dall’Università di Bologna. L’Alma Mater Studiorum, infatti, aveva reclutato quattro ragazze molto avvenenti, vestite con tutine altrettanto aderenti e ribattezzate “Le Fantastiche 4”, perché promuovessero in tutto il loro splendore i poli distaccati dell’ateneo felsineo: Cesena, Forlì, Ravenna e Rimini. Scelta infelice: invece di nuovi iscritti, la pubblicità aveva fatto incetta soltanto di polemiche. Tanto da spingere il rettorato ad oscurare le provocanti “Matricoline” per placare la rabbia furente gli indignati.