Le aspettative che Standard & Poor’s potesse effettuare un declassamento del rating italiano erano elevate. E così è stato. Del resto lo erano anche quelle che Moody’s facesse una revisione al ribasso allo scadere dei 90 giorni che abitualmente l’agenzia lascia intercorrere fra l’annuncio di un outlook negativo, cioè di una previsione negativa sul futuro, e la revisione del rating. Ma questo Moody’s non lo ha fatto, procrastinando di un mese la decisione. Più netta è stata S&P, che ha portato da A+ ad A il giudizio sull’Italia. Secondo quanto riportava il Wall Street Journal, la previsione di un downgrade aveva spinto al ribasso i titoli delle maggiori banche francesi esposte con l’Italia, fra cui Credit Agricole e Bnp Parisbas rispettivamente dell’11% e dell’8%. Gli effetti del peggioramento possibile del rating si erano sentiti anche sugli istituti bancari italiani, con Unicredit e Banca Popolare di Milano che avevano perso il 7% e Intesa Sanpaolo che aveva perso il 2,9%. Il 15 settembre era stata annunciata la decisione delle cinque maggiori banche centrali al mondo di garantire liquidità in dollari per tutto il 2011 alla banche europee. In settimana lo spread, il differenziale, fra titoli di stato italiani e bund tedeschi decennali aveva superato quota 400 (vedi infografica), tuttavia dopo il 13 di settembre era calato fino alla giornata di venerdì, quando si era assestato a quota 365.
Voci di un downgrade erano girate in settimana, come riportato anche da Linkiesta. Il primo avviso negativo si ebbe il 20 maggio scorso, quando S&P decise di mettere sotto osservazone il giudizio sul debito italiano. Ma è da quando il 17 giugno scorso è arrivato il primo warning da parte di Moody’s, sono state varate due manovre, ma considerando tutte le variabili in atto, non bisogna stupirsi che sia potuto arrivare un taglio del giudizio, anche pesante. I continui cambi di fronte sul piano di austerity, uniti all’immobilismo della classe politica, stanno facendo perdere ulteriore credibilità all’Italia. Una perdita di credibilità che ora ha anche uno specchio nel rating tagliato da parte di S&P.
Questo nonostante la più dura sia stata Moody’s. Il 17 giugno, l’agenzia di rating aveva annunciato il proprio outlook negativo. Nella sua nota, Moody’s aveva definito il proprio corso d’azione: si sarebbe concentrata sulle «prospettive di crescita dell’economia italiana nei prossimi anni e in particolare le prospettive di rimozione di importanti colli di bottiglia strutturali che potrebbero intralciare una più forte ripresa economica nel medio termine». Sotto esame è stata ancheanche l’abilità del governo di raggiungere gli obiettivi di consolidamento fiscale e di «implementare ulteriori piani per generare un sostanziale surplus primario nel medio termine». Come scrivevamo all’epoca dell’annuncio dell’outlook negativo, l’ultima azione di Moody’s sull’Italia fu il 15 maggio 2002 quando il rating fu alzato da Aa3 all’attuale Aa2 con outlook stabile. Erano quindi nove anni che l’agenzia non cambiava giudizio, Ancora il 23 maggio scorso per Moody’s le prospettive sul merito di credito erano state confermate come «stabili». «Il rating di Moody’s sull’Italia è ‘Aa2’, con outlook stabile» aveva confermato il portavoce dell’agenzia Francesco Meucci. In occasione di un evento milanese del mese precedente Alexander Kockerbeck, analista per l’Italia, aveva detto alla stampa che a parere dell’agenzia il paese era in grado di stabilizzare o persino invertire il processo di accumulo del debito anche con una crescita economica modesta. Sempre a maggio, il 20, Standard & Poor’s, aveva tagliato da stabile a negativo l’outlook sul debito dell’Italia, citando le attuali deboli prospettive di crescita e l’incerto impegno politico per attuare riforme che stimolino la produttività. Se Moody’s ha voluto dare ancora un mese di tempo al Governo per attuare la manovra correttiva dei conti pubblici, per S&P il giudizio era già ben definito da tempo.
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