FMI: “Per salvare le banche europee servono 200 miliardi”

FMI: “Per salvare le banche europee servono 200 miliardi”

200 miliardi di euro. Le banche europee hanno bisogno di questa somma per essere ricapitalizzate. A porre questo paletto è il Fondo monetario internazionale (Fmi), che vuole chiudere la diatriba iniziata a Jackson Hole, durante il meeting annuale della Federal Reserve, dal suo direttore generale Christine Lagarde. Ma l’Europa non ci sta e continua ad accusare il Fmi di aver sbagliato i calcoli. Il rischio è che l’istituzione di Washington possa aver ragione. Colpa della ristrutturazione del debito greco, compiuta tramite il rollover (o concambio peggiorativo) dei titoli ellenici detenuti dalle banche.

Nel prossimo Global Financial Stability Report, che sarà pubblicato a fine mese, saranno evidenziate tutte le criticità del sistema finanziario europeo. In particolare, la forza patrimoniale è l’aspetto che preoccupa di più l’istituzione di Washington. L’esito degli stress test condotti dalla European banking authority (Eba), l’ente comunitario di vigilanza sul sistema bancario, nello scorso luglio ha sottolineato che solo otto banche sulle 91 esaminate avevano bisogno di un’iniezione di capitali freschi. In realtà, la situazione sarebbe ben peggiore. Colpa del fatto che nelle prove patrimoniali sono stati calcolati solo gli asset detenuti nel trading book (portafoglio di negoziazione) e non nel banking book. 

Il focus del Fmi è tutto rivolto alle banche coinvolte negli swap di titoli di Stato greci. La ristrutturazione del debito sovrano ellenico ha infatti prodotto una svalutazione di compresa fra il 21 e 50 per cento del valore dei bond detenuti in portafoglio dagli istituti di credito. A certificarlo è stato l’International accounting standards board (Iasb), il comitato che definisce gli standard contabili a livello globale. La base di partenza è stata l’accordo fra investitori privati (quindi le banche) e il Governo ellenico, sottoscritta grazie alla mediazione dell’Institute of international finance (Iif), la lobby bancaria mondiale con sede a Washington.

Quello che sembra evidente è che il piano di ristrutturazione del debito greco sta avendo effetti inaspettati. La pressione, specialmente da parte di Francia e Germania, per una partecipazione volontaria delle banche private è stata molto elevata. Il motivo di questo è dato dalla forte esposizione che gli istituti di credito di Berlino e Parigi hanno nei confronti della Grecia. Secondo i dati della Banca dei regolamenti internazionali (Bri), sui bilanci delle banche francesi gli asset ellenici pesano per 64,777 miliardi di euro, sulla Germania 39,923 e sull’Italia 5,778 miliardi. Una cifra che, se disaggregata, evidenzia come le banche più coinvolte negli swap con il Governo di Atene siano proprio francesi e tedesche in primis. Diversi report dei mesi scorsi hanno reso nota la composizione dei portafogli degli istituti di credito europei. La più esposta è BNP Paribas con circa 5 miliardi di euro, a cui segue la belga Dexia con 3,5 miliardi e la tedesca Commerzbank con 3 miliardi. Scorrendo la classifica troviamo la francese Société Générale con 2,7 miliardi di euro di esposizione, una delle banche più colpite dai rumours su una imminente ricapitalizzazione nelle ultime settimane. Chiudono la lista l’olandese Ing con 2,4 miliardi e la maggiore banca tedesca, Deutsche Bank, con 1,6 miliardi.

Non è un caso che ieri il numero uno di Deutsche Bank, Josef Ackermann, abbia difeso lo stato delle banche europee. Il banchiere tedesco, da sempre molto vicino al cancelliere Angela Merkel, ha ribadito che gli istituti Ue sono «ben capitalizzati» e non necessitano di ulteriori interventi a sostegno della liquidità. Diversa è invece l’opinione della European banking authority. Da lunedì scorso nelle sale trading si vocifera di una piccata lettera del suo presidente, Andrea Enria, che, riprendendo l’esortazione delle Lagarde a Jackson Hole, avrebbe chiesto una «urgente e sensibile ricapitalizzazione» per le banche europee. Della missiva non c’è ancora traccia, ma stanno aumentando le preoccupazioni in merito alle criticità del sistema Ue. In molti, compresa l’Eba, stanno pensando di utilizzare il fondo salva-Stati European financial stability facility (Efsf) per iniettare liquidità alle banche europee, ma questa soluzione è considerata troppo rischiosa dalla Banca centrale europea.

C’è un aspetto che però deve far riflettere. L’amministratore delegato di DB è anche il presidente dell’Institute of international finance, che ha curato l’operazione di swap dei titoli ellenici. Un’apertura alle proposte della Lagarde sarebbe la certificazione del fallimento di quanto fatto finora dall’Iif. Il tutto senza contare che sarebbe un colpo durissimo per le banche tedesche. Ieri la lobby VOEB, che cura gli interessi di diverse landesbank come WestLB, ha attaccato il direttore generale del Fmi, rimarcando che la situazione «è sotto controllo» e che «non è comprensibile questo accanimento contro la Germania». Analoga la risposta del direttore della Bankenverband, Michael Kemmer. La più importante lobby del credito di Germania ha espresso «seri dubbi sulla veridicità delle numeri del Fmi». Ma quella tedesca non è la sola voce che si è elevata contro la Lagarde. 

Il ministro francese del Bilancio, Valerie Precresse, ha sottolineato che «le banche francesi sono solide e ben capitalizzate, molto più che un anno fa». L’impressione è che tutti stiano cercando di allontanare i dubbi dal proprio sistema bancario. Così facendo, tuttavia, a perdere è solamente l’intera eurozona. Quale investitore vorrebbe allocare le proprie risorse in un pandemonio in cui tutti giocano allo scaricabarile?

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