Si chiama istituto tecnico superiore una delle principali novità dell’anno scolastico appena iniziato. Due anni di specializzazione post diploma per formare le menti tecniche e tecnologiche che, si sa, scarseggiano nel Belpaese. Una via di mezzo tra una mini-mini laurea e un super diploma con un pacchetto di ore da trascorrere tra laboratori e aziende.
Una rivoluzione annunciata a gennaio, confermata a maggio ma che ad oggi, primo giorno di scuola quasi per tutta Italia, è poco più che una bozza su carta. I numeri forniti dal Ministero in un convegno nazionale tenutosi prima dell’estate erano impressionanti: gli Its sono concepiti come fondazioni costituite da scuole, università e imprese per dare vita a una integrazione tra istruzione, formazione e lavoro. «Alla loro nascita – ha spiegato il ministro Gelmini – hanno contribuito 16 regioni, con il coinvolgimento di 110 istituti tecnici e professionali, più di 60 tra province e comuni, 200 imprese, 67 tra università e centri di ricerca, 87 strutture di alta formazione ed altri soggetti pubblici e privati, comprese le camere di commercio».
I fondi per il progetto sarebbero dovuti provenire dal Progetto Industria 2015, approvato con legge 99/09, ma che giace ancora in Parlamento e non esistono regolamenti e direttive che ne espletino la funzione. Dei 58 istituti tecnici superiori, la maggior parte è concentrata in Emilia Romagna, Lazio e Lombardia: ciascuna regione ne conta, infatti, sette. Sei sono gli Its nel Veneto e cinque quelli in Sicilia. Abruzzo, Campania, Liguria, Marche, Piemonte, Puglia e Toscana ne hanno tre a testa. Il Friuli Venezia Giulia propone agli studenti due canali mentre Molise, Sardegna e Umbria uno soltanto.
Sul piede di guerra sindacati e docenti: «Il progetto che sulla carta è un buon raccordo tra scuola e lavoro – ci dice Mimmo Pantaleo segretario Cgil scuola – in assenza di fondi diventa asfittico e carente del percorso formativo».
Poco si sa dei criteri di assunzione, mentre i poli territoriali, cioè il legame con la struttura economica del luogo dove il super diploma dovrebbe nascere, stentano a formarsi. «Accade – spiegano dall’Associazione province italiane – che sono scomparsi i riferimenti ai poli tecnico-professionali e quindi non nascono Its dove, ad esempio, ci sono industrie forti». I sindacati parlano anche di crisi dell’identità degli Its: dovevano essere dei percorsi formativi per accedere al mondo del lavoro, sono diventati espedienti per «razionalizzare l’offerta universitaria».
«Il rischio è che sia un parcheggio in attesa di riuscire ad entrare in un ateneo a numero chiuso», secondo la Cisl. Le tre sigle sindacali qualche mese fa hanno redatto un comunicato congiunto chiedendo al ministero di poter intervenire nella fase di costruzione di questo biennio sperimentale. Ma il tavolo non è stato ancora convocato. E non è stato definito nemmeno quali docenti potranno insegnarvi, quali classi di concorso e che tipo di contratti.
Eppure, uno studente su tre ha scelto l’istituto tecnico per la sua formazione scolastica, ma i laboratori sono stati decurtati del 30%. I fondi per l’arricchimento dell’offerta formativa sono passati da 126 milioni del 2010 a 78 milioni per quest’anno.