In attesa del passo indietro del premier Silvio Berlusconi, all’interno del Partito democratico crescono le voci critiche nei confronti del segretario Pier Luigi Bersani, già al centro di polemiche per la vicenda Penati. Voci, certo. Ma sempre più insistenti. Nel partito non tutti hanno apprezzato l’ultima svolta a sinistra del segretario. La presenza alla festa dell’Italia dei Valori di Vasto la scorsa settimana, accanto ad Antonio Di Pietro e Nichi Vendola, non ha riscosso grandi entusiasmi. Non tutti hanno condiviso l’ipotesi di andare al voto il prima possibile a fianco di Sel e Idv, bruciando anzitempo i possibili contatti con l’Udc di Pier Ferdinando Casini. Ecco perché ieri il segretario ha corretto la rotta («siamo disponibili a dare una mano a una fase di discontinuità e transizione») aprendo a un nuovo scenario: un esecutivo di larghe intese in grado di affrontare la crisi economica – magari capace di approvare qualche riforma, a partire dalla legge elettorale – per andare alle urne al termine della legislatura. Insomma, quello che da tempo chiede il presidente Giorgio Napolitano.
Chissà se il cambio di strategia di Bersani basterà a rassicurare la minoranza interna. Intanto nel Pd si è tornato a parlare di primarie di partito. Un’eventualità sempre più concreta, se non ci saranno elezioni in tempi rapidi. ll senatore Stefano Ceccanti, di area veltroniana, ha presentato per primo il progetto sul quotidiano Europa. E l’idea, a quanto sembra, è piaciuta. Pier Luigi Bersani rimarrà in carica fino all’ottobre 2013 – è stato eletto nell’autunno del 2009 – solo cinque mesi dopo la nascita del nuovo governo. Troppo poco, ipotizzano i critici del segretario, per non chiedere prima agli elettori del Pd una riconferma della sua leadership. E nel pomeriggio un gruppo di parlamentari vicini al segretario risponde ai critici ribadendo che «una leadership forte c’è».
«Lasciamo perdere – spiega un parlamentare democrat – secondo me sono scaramucce di piccolo cabotaggio. È vero, nel Pd c’è chi non ha apprezzato la recente gestione del partito, ma secondo me si tratta di un fastidio momentaneo». Nessuna spaccatura, insomma. Questo è chiaro. Ma è paradossale che nel momento di massima debolezza dell’avversario, con il Governo a un passo dell’implosione, all’interno del principale partito di opposizione inizino a venir fuori le prime divisioni. Come se non bastasse il prossimo 10 ottobre la minoranza interna di Walter Veltroni, Giuseppe Fioroni e Paolo Gentiloni si darà appuntamento a Roma. «Personalmente – racconta un dirigente del Nazareno – derubricherei tutta questa discussione a normale dialettica interna. La minoranza mette in discussione Bersani. E qual è la notizia? Lo fanno dal primo momento, sembra quasi che questo è il loro lavoro».
Sarebbe sbagliato parlare di conflitti all’interno del Pd. Anche perché nel partito nessuno critica apertamente il segretario. Piuttosto i fautori delle nuove primarie parlano di «un processo di rilegittimazione». Una nuova fase congressuale che dovrà obbligatoriamente anticipare le primarie di coalizione, da cui uscirà il nome del candidato premier del centrosinistra.
Gli sfidanti di Bersani per la guida del partito sarebbero già numerosi. Il primo potrebbe essere il sindaco di Firenze Matteo Renzi. Il “rottamatore” che un paio di settimane fa ha confermato in un’intervista a Repubblica la sua disponibilità a correre nelle primarie di coalizione in alternativa al segretario. Insieme a lui, si scopre leggendo i giornali, sarebbero disposti a scendere in campo anche il presidente Rosy Bindi e il vicesegretario Enrico Letta (ma chi lo conosce non nasconde qualche dubbio in merito). «Facciano pure – replica il responsabile Cultura e Informazione del partito Matteo Orfini – Se quando saremo vicini alle elezioni emergerà un problema politico serio, discuteremo anche di questo. Ma se fossi Bersani non mi preoccuperei più di tanto. Rispetto al 2009 mi sembra che la sua candidatura si sia persino rafforzata».