«Il fondo salva-stati Efsf non è ancora operativo, essendo in discussione nei parlamenti nazionali europei, quindi il potere di intervento sui mercati è completamente nelle mani della Bce. L’uscita del suo capo economista, per giunta a mercati aperti, è totalmente fuori luogo in questo contesto macroeconomico». Sono queste le prime riflessioni di Luigi Campiglio, ordinario di Politica economica alla Cattolica di Milano, a poche ore dalle dimissioni di Jürgen Stark, capo economista e membro del comitato esecutivo dell’istituto di Francoforte, considerato un “falco” all’interno di Eurotower. Per il prorettore dell’ateneo meneghino, sussisterebbe ancora qualche margine di manovra per la ridefinizione della governance comunitaria, in quanto: «Le elezioni tedesche non sono vicinissime, i margini di manovra sono più alti».
Secondo voci non confermate, Jurgen Stark si è dimesso in disaccordo con il programma di acquisto di bond italiani e spagnoli da parte della Bce. Si rischia la spaccatura della moneta unica?
Un rischio di spaccatura esiste, ma va qualificato: è noto che gran parte dell’opinione pubblica tedesca, soprattutto delle elites di Governo, non è favorevole alla linea che Angela Merkel sta portando avanti, cioè credere in un progetto monetario europeo ma allo stesso tempo conservare una responsabilità nazionale per quanto riguarda la politica fiscale. Non dimentichiamoci che, seppure con molte contraddizioni, la Bce ha perseguito un obiettivo, mantenere la stabilità dei prezzi, che è nell’interesse di tutti, compresa la Germania. Bisogna poi considerare, e andrebbe argomentato ai massimi livelli, che con un ritorno al marco danneggerebbe anche Berlino, che non è un’isola felice autonoma e indipendente. L’integrazione tra gli Stati Ue oggi è talmente forte che un’eventuale frantumazione dell’unione monetaria sarebbe fatale per tutti e per molti anni. In questa fase certamente può accadere che ci si lasci abbagliare da questioni di breve periodo, ma non vanno dimenticate le grandi aspirazioni di cui la Germania per prima è stata portatrice in Europa.
Come rafforzare, quindi, l’integrazione europea?
Probabilmente oggi siamo di fronte a un momento in cui è stato raggiunto un limite sulla strada dell’integrazione, il che non è necessariamente un male. Tuttavia, la linea prevalente, soprattutto nei paesi Nordeuropei, è che prima di procedere a passi ulteriori i Paesi che hanno problemi strutturali debbano mettere in ordine la loro economia, sia dal punto di vista del bilancio pubblico che nel creare una situazione economica di sviluppo. Due cose diverse, ma simultanee.
Il principale attore sul mercato del debito europeo perde il suo membro più ortodosso nell’interpretazione dei trattati. Che significa?
Decisioni così inconsuete come quella di Stark certamente non aiutano a muoversi nella direzione giusta, soprattutto se si verificano a mercati aperti e temo abbiano anche dei riflessi negli Usa. È una situazione che va immediatamente circoscritta, come gli incendi, perché il rischio di propagazione è fortissimo. Fortunatamente, nel giro dei prossimi due mesi non ci sono elezioni in Germania, quindi la linea Merkel può continuare. Dubito la Germania decida di mettere eventualmente fine alla sua esperienza in Eurozona prima delle prossime elezioni. Quindi, c’è ancora spazio per trovare una fase comune d’intesa a livello comunitario sulle responsabilità e le misure da attuare. Se è vero che i timori sull’insufficiente dotazione finanziaria dell’Efsf (440 miliardi di euro) sono fondati, dall’altro le politiche suggerite dalla troika Ue-Bce-Fmi nei confronti di Atene hanno strozzato la Grecia, creando i presupposti per una contrazione del Pil e aumentandone il disordine. Negli anni ’90 abbiamo avuto tanti Paesi in crisi, ma qui si tratta di un Paese in completo disordine, forzato a recepire misure che generano situazioni recessive. Ritengo che, nella crisi dei debiti sovrani, l’Europa si ritrovi nella stessa situazione che si verificava con il debito estero dei Paesi sudamericani, e ciò non fa bene alla Bce.