La sconfitta di Moratti sta in quel San Siro vuoto

La sconfitta di Moratti sta in quel San Siro vuoto

Neanche quindicimila paganti, di cui molti addirittura in sciopero. Silenzio tombale sulle pene nerazzurre per buona metà della sfida. Alla fine, vittoria del Trabzonspor, e gelo conseguente. È questo il dato nuovo che emerge da un guazzabuglio che vede, ancora e sempre solo alla testa, il presidente Moratti. Nella storia della Milano calcistica, intendendo quindi anche la sponda rossonera, c’è esattamente questa divaricazione sentimentale, che si traduce, per le due tifoserie, nella soglia di tolleranza ch’esse adottano rispetto alle magagne del club: infinita quella dei tifosi milanisti – sino a spingersi pericolosamente ad autocertificare il proprio eroismo per aver seguito in sessantamila un Milan-Cavese di B! (1-2, Jordan, Tivelli, Di Michele) -, meno larga (ma è un generoso eufemismo) quella interista, che non ha mai colto nella sofferenza l’alto sentimento del riscatto.

In origine, tutto ciò aveva persino una divisione antropologica, e anche molto netta, tra “casciavit”, visione più popolare e genuina della vita (i tifosi rossoneri), e “bauscia”, quell’idea che spararla anche molto grossa, vantandosene, avesse comunque una sua definizione (tifosi interisti). Un’architettura socio-calcistica che ha avuto validità (e riscontri evidenti, tra cui la duplice discesa in B del Milan) sino all’avvento del papà di tutti i bauscia, che un bel giorno decise che era arrivato il momento di comprare la squadra più votata alla sofferenza, riunendo – d’emblée – le due categorie: si era diventati tutti, e non troppo felicemente, un popolo di bauscioni.

Andrà detto, e il dettaglio non è trascurabile, che il papà di tutti i bauscia ha poi portato il Milan sul tetto di tutti i mondi possibili.

Ma è di un’assenza, è sull’assenza nerazzurra alla prima di Champions che si doveva parlare, analizzandola come elemento-chiave di giudizio sulla squadra, sulla società e di conseguenza sul nuovo allenatore. Un giudizio probabilmente senza appello. Si è detto dell’attitudine al distacco dei tifosi appena le cose vanno male. È un fatto generazionale che si perpetua in nome di una disordinata coerenza, che tiene fuori dall’uscio di casa la sofferenza, come se – snobisticamente – non appartenesse a quella nobiltà bausciona di cui sopra. Ma è un atteggiamento, vero, concreto, che si tramanda da padre in figlio e va giù per li rami sino alla primissima infanzia.

Sono stati i dieci anni di nulla di Massimo Moratti, sul piano calcistico, a riportare il dubbio all’interno di una tifoseria che non ammetteva cedimenti. E a far riconsiderare anche la possibilità di emozionarsi per sentimenti diversi che non il semplice successo, l’idea che l’Inter dovesse essere tonica per definizione. In cui prevedere anche la sconfitta, tra le povere ma significative cose da riportare a casa la sera. Magari, addirittura affezionandosi. In quei dieci anni di nulla, il tifoso nerazzurro si è chiesto cosa fosse diventato, se la via al socialismo reale battuta ampiamente dai cugini in tutti quegli anni bui (le scommesse, la B, presidenti in galera e quant’altro) non potesse diventare un’opzione praticabile.

Per quel che ho visto e capito, in realtà il tifoso nerazzurro non ha ceduto, restando convinto della sua supremazia morale, ma ormai depauperato d’ogni ragione contingente. Ha aspettato, aspettato, aspettato. Sino a che non è arrivato il Messia rabbioso, il portoghese dalla lingua di fuoco e dagli occhi di ghiaccio, che d’un colpo ha riportato tutti i quarti di nobiltà là dove erano nati e cresciuti. L’interista ha ricominciato a sentirsi superiore. La carestia era finita. (Non abbiamo qui considerato i successi patrii di Roberto Mancini come meritevoli d’essere considerati tra i motivi del vero riscatto sociale. Se non c’è la definizione europea, la storia di qualunque grande società rimane comunque amputata della sua parte migliore, più gloriosa e più considerata all’estero).

Dunque, il giudizio è stato tracciato. Quell’assenza di San Siro alla prima di Champions peserà sull’economia nerazzurra del prossimo futuro. Nella storia, non duole neppure dirlo, i tifosi si sono poco sbagliati sulla reale portata di una squadra, e di conseguenza, di una società. Moratti lo sappia, e se può provveda. 

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