Un anno fa di questi tempi, Ed Miliband era l’uomo del momento in Gran Bretagna e, per riflesso, tra la sinistra europea. I laburisti si erano dati appuntamento a Manchester per scegliere il successore di Gordon Brown e darsi un nuovo tono, dopo la sconfitta alle General Elections del maggio 2010 che chiuse un ciclo cominciato con Tony Blair nel 1997. La nomina di Ed, avvenuta nella migliore delle rivalità familiari a discapito del fratello David, venne salutata come il felice ritorno all’Old Labour.
Nato la vigilia di Natale del 1969, Ed Miliband aveva cominciato con il piede giusto, raccogliendo attorno a sé i movimenti ecologisti e socialmente impegnati e stringendo rapporti saldi con i sindacati. Mentre la coalizione conservatori – liberaldemocratici metteva mano all’agenda economica varando il risanamento dei conti pubblici su istruzione di George Osborne, il Chancellor of Exchequer braccio destro del Primo ministro David Cameron, con tagli alla spesa per 6,2 miliardi di sterline, il partito laburista guadagnava punti nei sondaggi e Miliband la stima dei colleghi nel corso dei faccia a faccia con Cameron alla House of Commons. L’occasione propizia per aumentare il bacino di sostenitori si presentò proprio lo scorso autunno, quando gli studenti invasero le strade di Londra contro l’aumento delle tasse universitarie e scaricando Nick Clegg, il leader dei Libdem che nel corso della campagna elettorale aveva garantito che, con lui al governo, nessuno vi avrebbe messo mano.
Tutto girava per il verso giusto, finché non è arrivata la tornata amministrativa di maggio: doveva essere il coronamento di sei mesi trascorsi all’attacco ed invece i Tory ressero all’urto, mentre i laburisti perdevano la maggioranza in Scozia a vantaggio dello Scottish National Party. La cura Miliband non aveva sfondato e in questi giorni, con il partito che si è riunito a Liverpool, i nodi stanno venendo al pettine.
Se i sindacati gli furono preziosi per arrivare ai gradi di comandante, nelle scorse ore dietro le quinte della conferenza, Miliband ha cercato di ridimensionare il loro peso nelle scelte politiche del partito, fallendo. Il suo intento era di aumentare la consistenza dei “registered supportes” sulle scelte future, ma a conti fatti ai sostenitori laburisti spetta una fetta tra il 3 e il 10% dei voti per le elezioni del leader del partito. La porzione più grande della torta è ancora di proprietà delle Union.
Sono le risposte l’elemento che manca nel piano di Miliband. Quelle da dare agli elettori. Glielo ha detto chiaramente ieri David Blunkett, che negli anni di Blair ha coperto tra gli altri il ruolo di Home Secretary. «Penso che la più grande sfida di Ed non sia in merito alle decisioni che ha preso, quanto piuttosto quella di cercare un rapporto con l’elettorato». Ha quindi aggiunto che se il leader laburista è stato bravo a criticare la concentrazione di potere tra politica e media venuta a galla con lo scandalo che in estate ha provocato terremoti nell’impero di Rupert Murdoch, è altrettanto vero che la materia «è irrilevante per chi là fuori porta avanti la propria vita. Per quanto giusta e importante, la questione non ha in realtà modificato di una virgola la nostra posizione nei sondaggi». Tanto che «se andassimo a votare oggi, non vinceremmo», ha tirato le fila Blunkett.
Il 70% dei potenziali elettori non crede che Ed Miliband abbia il carisma per governare e si rammarica di non aver optato per David quando era possibile. Lui per tutta risposta, in un’intervista alla Bbc, ha provato a mettersi nei panni di Primo ministro e ha fatto sapere che, dopo tutto – e dopo tutte le polemiche con il governo di coalizione – avrebbe portato avanti la politica di tagli alla spesa pubblica. «Dobbiamo tagliare il deficit», ha risposto al giornalista Andrew Marr, salvo aggiungere che occorrono misure per permettere all’economia di tornare a crescere. Un’obbiezione giunta in ritardo, visto che già più volte è stata sollevata all’interno dello stesso partito conservatore.
Miliband sta perdendo colpi anche nella sfida personale con il premier Cameron, inseguendolo in uno degli argomenti più in voga nella politica britannica: la società. Se il leader conservatore oramai non perde occasione per rilanciare il piano della Big Society, quello laburista ha calcato lo stesso terreno di battaglia, precisando che tra i due c’è una differenza. «La differenza è questa: per lui il problema della Gran Bretagna sono i britannici. Io invece credo che il futuro di questa nazione risieda nel suo popolo». E la ricetta proposta da Ed passa inevitabilmente per un maggiore impegno dello Stato, sulla falsa riga del leit motiv di Gordon Brown che ai “do-nothing Conservatives” era solito opporre il “Real Help from Labour”, senza ottenere grossi risultati elettorali. Intanto le pagine dei giornali del lunedì ospitano le foto di un David Cameron in versione familiare mentre allo stadio segue il match di Premier League tra il Qpr e l’Aston Villa, in compagnia del figlio. Eppure l’uomo del giorno doveva essere un altro.