Silvio Berlusconi ormai è al capolinea. La bufera giudiziaria, lo scandalo intercettazioni, la crisi economica. A sentire le indiscrezioni di Palazzo, il Cavaliere avrebbe i giorni contati. Lo scenario è drammatico: il Popolo della libertà sarebbe lacerato da numerose e agguerrite fronde interne. Buona parte dei parlamentari di maggioranza avrebbe già iniziato la disperata ricerca di un nuovo partito per non perdere la poltrona.
Giornali, politologi e opinionisti sono tutti d’accordo. Lui no. Silvio Berlusconi non ha intenzione di farsi da parte. «Finché ho una maggioranza in Parlamento – avrebbe confidato a più di un collaboratore – non ci penso nemmeno a dimettermi». A scanso di equivoci, durante il Consiglio dei ministri di mercoledì scorso il Cavaliere avrebbe rassicurato i suoi, promettendo l’ingresso nella maggioranza di un’altra decina scarsa di parlamentari dell’opposizione. Una sorta di Responsabili della ultim’ora. Il delirio di un uomo che ormai ha perso il contatto con la realtà? Tutt’altro. Alcuni deputati – di tutti i colori politici – confermano: il progetto del premier non è così surreale. I parlamentari pronti al salto della barricata non sono un’invenzione. Anzi, sarebbero già stati contattati e rassicurati sull’eventuale ricompensa (politica, si intende).
A Montecitorio e dintorni è partita la caccia al nuovo Scilipoti. Di nomi ne girano parecchi. Almeno due i partiti che potrebbero essere costretti ad affrontare le defezioni. Uno di questi è Futuro e Libertà. Tra gli esponenti futuristi più “segnalati” c’è Antonio Buonfiglio, ex sottosegretario all’Agricoltura. La sua presenza sabato prossimo ad un incontro di FareItalia – il nuovo soggetto politico di Adolfo Urso, uno dei fuoriusciti di Fli – ha fatto discutere. Buonfiglio non nega che all’interno di Fli ci siano problemi («che il partito sia da rianimare mi sembra evidente») ma nega il cambio di casacca. «A oggi non ci sono le condizioni – le sue parole al Corriere della Sera – Insomma, prima di andarmene un po’ ci penso». Il quotidiano milanese aveva ipotizzato anche un ritorno all’ovile per i finiani Carmine Patarino e Francesco Proietti Cosimi. Entrambi, però, rispediscono le accuse al mittente. «Non andrò mai via da Fli – ha sbottato Patarino pochi giorni fa – e se qualcuno millanta ancora il mio nome con Berlusconi lo denuncio».
Intanto in Parlamento si assiste a un curioso paradosso. Più il governo sembra prossimo a cadere, più i numeri della maggioranza si rinsaldano. Un esempio lo ha fornito l’ultimo voto di fiducia sulla manovra finanziaria, la scorsa settimana. A favore dell’Esecutivo hanno votato ben 316 deputati. Quasi un record. «Non vedo perché ci si sorprende – racconta un deputato berlusconiano – è la logica della sopravvivenza. Sono in molti ad aver paura di non essere rieletti. A dispetto delle dichiarazioni bellicose che rilasciano ai giornali, così, stanno bene attenti a non mettere in crisi il governo». Per non perdere il posto qualcuno sarebbe persino disposto a sedersi tra i banchi degli avversari. «Quando l’incertezza politica è totale – continua il parlamentare – il cinismo del mestiere del politico emerge con evidenza». Insomma, non ci sarebbe nulla di strano.
Ecco allora che tra i parlamentari non desta stupore neppure l’indiscrezione che vorrebbe qualche deputato del Pd pronto al grande salto. «Sono tre o quattro» rivela un esponente della maggioranza. «A quanto ne so io – chiarisce un altro – sarebbero solo un paio». Qualcuno azzarda persino una catalogazione dei democrat interessati al cambio di partito. Si dividerebbero in tre grandi gruppi. «Quelli che speravano in un accordo con l’Udc di Pier Ferdinando Casini e non hanno gradito il progetto di alleanza con Vendola e Di Pietro, quelli che sono terrorizzati dall’idea di non venire riconfermati nella prossima legislatura e quelli che non hanno condiviso alcune scelte sul territorio».
Anche stavolta i nomi che girano sono diversi. Tutti rigorosamente non confermati. In molti scommettono sul Pd Antonio Cuomo, politico campano con un lontano passato in Forza Italia. Già lo scorso dicembre lui aveva negato con forza qualsiasi accostamento con il Pdl, annunciando querele. «Il governo deve andare a casa – aveva detto in quell’occasione – non lo farei neppure se mi nominassero premier». Voci insistenti indicano invece il beneventano Mario Pepe (omonimo di un collega già nel centrodestra). Ex Margherita, «ma tutt’ora popolare», conferma. Lui sorride: «Per carità, sono molto critico rispetto ad alcune scelte del mio partito. Sono convinto che il Pd debba guardare all’area moderata, al centro, piuttosto che a sinistra. Ma penso al futuro, non certo all’immediato. Io con Berlusconi? Non sono proprio quel tipo di persona».