Alla fine il downgrade italiano non è arrivato. Non ora, ha comunicato Moody’s nella notte europea, con una tempistica inusuale. «Moody’s continua la revisione del rating italiano per un possibile downgrade». Con queste parole lo spettro del taglio viene procrastinato di altri 30 giorni. L’appuntamento quindi è soltanto rimandato a lunedì 17 ottobre, quando con molte probabilità l’agenzia di rating declasserà il voto sul debito italiano. Ma intanto, nel giorno dell’aumento dell’Iva al 21%, crescono i timori sulla sostenibilità del piano di correzione di bilancio italiano.
La mossa di Moody’s è stata fortemente ragionata. In un periodo storico in cui le agenzie di rating sono colpevolizzate di ogni male possibile, la società newyorkese ha deciso di attendere l’attuazione della manovra correttiva dei conti pubblici italiani, varata in settimana. Gli oltre 55 miliardi di euro del pacchetto di austerity italiano possono infatti impattare negativamente sulla crescita economica, deprimendo i consumi e limando lo spazio operativo per il raggiungimento del pareggio di bilancio nel 2013.
Secondo Moody’s sono ancora da valutare tre fattori prima della decisione finale sul rating italiano, attualmente a quota Aa2 (per Standard & Poor’s è A+, per Fitch è AA-). In primis «le sfide di crescita legate alle debolezze strutturali macroeconomiche e al possibile aumento dei tassi di interesse nel tempo». Il contagio della crisi ellenica si è infatti completato a tutta l’eurozona, costringendo i Paesi che hanno adottato negli anni passati la linea del deficit spending a un repentino cambio di rotta. L’Italia non è stata immune a questo processo e ora occorre mettere concretamente in atto le misure previste dalla manovra. Per Moody’s è quest’ultimo il punto più incerto. Non è un caso che il secondo motivo del ritardo nel giudizio sia legato ai «rischi nell’attuazione del piano di risanamento di bilancio che richiede una riduzione del debito e il mantenimento a livelli sostenibili». Infine, la terza ragione del rinvio è correlata al fardello che l’Italia si porta dietro da 30 anni e oltre. A essere oggetto di studi più approfonditi saranno «i rischi legati al cambio delle condizioni di finanziamento dei paesi europei con alto livello di debito», sottolinea Moody’s.
Il debito infatti è uno dei peggiori driver negativi dell’Italia. Dopo una leggera flessione nei mesi scorsi, lo stock di debito pubblico ha superato quota 1.911 miliardi di euro, secondo l’ultima rilevazione compiuta dalla Banca d’Italia. Nei prossimi due anni la sfida per il Tesoro sarà quella di rinnovare parte dell’indebitamento senza essere strozzati dai rendimenti chiesti dagli investitori. Lo spread fra titoli di Stato italiani e tedeschi, storico benchmark di solidità finanziaria in ambito Ue, ha toccato e superato quota 400 punti base in questa settimana. Vale a dire che il costo del finanziamento dell’Italia sui mercati è più elevato del 4% rispetto a quello della Germania. E secondo uno studio di Goldman Sachs, pubblicato alcuni giorni fa, un allargamento dello spread di 100 punti base equivale a circa 18 miliardi di euro di maggiori spese per il pagamento degli interessi sul debito.
Oltre al debito c’è di più. La maggiore incognita rimane la crescita economica. Secondo il Patto di Stabilità e Crescita, nel 2012 e nel 2013 il rapporto deficit/Pil dovrà essere al 2,7%, mentre l’impatto complessivo della manovra economica italiana sarà più contenuto. Per Credit Suisse sarà dell’1,4% nel 2012 e del 2,9% nel 2013. Difficile quindi che si possa raggiungere il pareggio di bilancio fra due anni, specie considerando gli ultimi dati che arrivano dalla Commissione europea. Lunedì scorso è stato presentato l’ultimo Rapporto sulle finanze pubbliche 2011, che per l’Italia ha previsto un coefficiente deficit/Pil al 4% nell’anno in corso e del 3,2% per il prossimo. Analoga tendenza per il debito pubblico che sarà al 120,3% del Pil nel 2011 e al 119,8% nel 2012. Per tali ragioni la Commissione Ue ha sottolineato che «uno sforzo di consolidamento significativo, superiore a 5 punti percentuali del Pil, sarebbe necessario per Italia, Paesi Bassi, Ungheria, Austria e Belgio».
Il 17 ottobre l’Italia saprà se il suo rating, quindi la sua reputazione sui mercati, saranno peggiorate. Fino ad allora, l’obiettivo deve essere solamente uno. Rendere credibile e sostenibile una correzione di bilancio che, per ora, non riesce a convincere nessuno.