Morto Caccamo, il melomane che condannò Craxi

Morto Caccamo, il melomane che condannò Craxi

L’uomo che ha condannato Bettino Craxi a un decennio di reclusione nei processi Eni-Sai e per le mazzette della metropolitana milanese si è spento a Milano la mattina di martedì 6 settembre, al termine di una lunga malattia. Renato Caccamo, presidente della quarta sezione della Corte d’Appello di Milano negli anni di Tangentopoli, si era costruito, condanna dopo condanna, una fama di inflessibilità, sempre rivendicata con orgoglio contro il “generale lassismo”. Pochissimo incline a dichiarazioni, Caccamo aveva comunque raccontato alla stampa di aver fatto parte dei giovani socialisti e di aver sempre votato Psi prima di trasformarsi nell’incubo della classe dirigente del partito.

Di lui si diceva che si vantasse di non aver mai assolto nessuno: leggenda smentita dalla discussa sentenza del 2006 sulla strage di Linate a favore dei direttori degli aeroporti milanesi e anche, anni prima, dall’assoluzione di Berlusconi per la compravendita dei terreni di Macherio. Alle costanti, inevitabili critiche di chi gli contestava di ragionare come un pubblico ministero più che come un giudice o lo liquidava come “talebano” opponeva le numerose conferme ottenute in Cassazione e la certezza che nessuno avrebbe mai contestato la limpidezza delle sue motivazioni.

La vita di Caccamo, però, era un’altra. Trascinato da una passione musicale insaziabile, ha frequentato per decenni tutti i concerti e tutte le serate d’opera non solo milanesi stringendo amicizie profonde con gli artisti che spesso, finiti gli applausi, si intrattenevano a cena a casa sua. E lui, un po’ ossessivamente, registrava, riprendeva tutto: la musica, ma anche la calca in camerino, le discussioni. Le sue registrazioni, autorizzate o no (alla Scala era stato Paolo Grassi a fornirgli un lasciapassare), nell’ultimo periodo erano spesso solo un doppione di quelle realizzate dai teatri. Ma in anni non troppo remoti costituivano l’unica documentazione esistente di esecuzioni anche eccelse. Basta ricordare Leyla Gencer, il grande soprano che nessuna major discografica aveva messo sotto contratto.

Anche nella passione e nella sacrosanta partigianeria musicale Caccamo conservava un giudizio indipendente e aggiornato sera per sera: apprezzava una buona esecuzione anche se veniva da un artista di cui aveva poca stima e riservava stroncature sprezzanti alle “serate no” dei suoi prediletti. Vita pubblica e passione musicale si sono intrecciate nel 2004, quando Caccamo ha vigorosamente preso le parti del Sovrintendente scaligero Carlo Fontana nel conflitto con il Direttore musicale Riccardo Muti raccogliendo un dossier sull’operato di Mauro Meli, fortemente voluto dal Maestro alla Sovrintendenza, nelle precedenti esperienze di gestione. Negli ultimi anni la lotta contro la malattia è stata soprattutto una lotta per continuare ad essere ai concerti: nel 2007 a Philadelphia Riccardo Chailly dovette spiegare personalmente alla security della Verizon Hall che “sì, questo signore può registrare”. Solo pochi mesi fa l’ultima trasferta, al Festival Mahler di Lipsia.

Adesso che l’uomo con la telecamera non c’è più, ci si chiede soprattutto quale potrà essere il destino della messe di registrazioni audio e video: poche sono state catalogate, pochissime autorizzate. C’è infinita musica, forse preziosa, certo in parte già pubblicata altrimenti. Ma c’è sicuramente anche l’impagabile documentazione di anni di saluti, sorrisi, tremori, entusiasmi, piaggerie e vanità nei corridoi e nei camerini. Testimonianza, come tutta la vita di Caccamo, di un intreccio assai milanese tra musica e vita cittadina.
 

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