Due volte passi, ma la terza è decisamente troppo. Eurostat, l’ufficio statistico comunitario, si è fatto prendere per il naso ancora da Atene. Con buona pace degli ispettori della troika Ue-Fmi-Bce, che sono sbarcati da qualche giorno nel Paese per monitorare l’avanzamento del piano di riforme posto come condizione per ricevere la nuova tranche di aiuti da 8 miliardi di euro deliberata da Bruxelles alla fine di luglio, conditio sine qua non per non rimanere a secco a fine ottobre.
Il fatto è questo: Andreas Georgiu, numero uno di Elstat, l’Istat ellenica, ha dichiarato al Financial Times che, causa sciopero, non è riuscito a consegnare in tempo a Eurostat i dati aggiornati su debito e deficit del Paese. Dati ovviamente imprescindibili per definire il piano di budget per il 2012. «Non rispetteremo la deadline per inoltrare a Eurostat l’aggiornamento sul debito e deficit del 2010 perché io e il mio team non siamo riusciti ad entrare nel nostro ufficio per completare il nostro lavoro». Nonostante le cifre fossero necessarie agli ispettori comunitari per definire una bozza di finanziaria da presentare al parlamento lunedì, Georgiu ha spiegato che: «Ci vorranno altri due o tre giorni». Una giustificazione dal sapore di scusa da liceali, stile “il cane mi ha mangiato i compiti a casa”.
Per l’ufficio statistico guidato da Walter Radermacher, un passato nella dirigenza dell’Istat tedesca (Destatis), non c’è due senza tre. La prima volta risale al 2001, quando la Grecia è entrata nell’euro, ma non si tratta di una vera e propria colpa, in quanto all’epoca la flessibilità di bilancio era subordinata all’entrata a regime della moneta unica. La seconda, considerata dagli economisti il momento d’inizio della crisi dei debiti sovrani, è stato lo storico discorso tenuto da George Papandreou – oggi a Parigi da Sarkozy – nel dicembre 2009. In quell’occasione, ad appena due mesi dalla sua elezione, Papandreou ammise che l’esecutivo precedente aveva mentito sul reale ammontare del deficit, che superava il 10 per cento del Pil. Confermando una previsione già contenuta in un memorandum interno all’Eurogruppo circolato a luglio 2009, in cui i ministri finanziari dell’Eurozona ribadivano le loro perplessità sull’affidabilità delle stime sulle finanze pubbliche greche.
Il resto è storia recente: il 28 aprile 2010 viene deliberato un prestito congiunto Bce/Fmi da 110 miliardi di euro, che non basterà, tanto che, il 21 luglio scorso, gli euroministri approvano un’altro prestito da 109 miliardi, dopo altri 60 miliardi erogati a giugno. Intanto, il rendimento dei titoli di debito a due anni ha raggiunto punte del 70 per cento.
Per effetto delle leggi comunitarie, infatti, Eurostat si deve fidare dei dati inoltrati dai rispettivi uffici statistici dei Paesi membri. E il progetto di un’authority di vigilanza sui conti pubblici è rimasto sempre sulla carta. Una situazione, ovviamente, che giova tanto chi sta in ultimo banco, come i Greci, quanto i tedeschi primi della classe. Basti pensare che, in base alle regole contabili Esa95 – dove 95 indica l’anno di pubblicazione degli stessi (dalla Bce dicono che tra qualche mese sarà pronto un aggiornamento) – il debito delle Casse depositi e prestiti, qualora abbiano più del 50% dei ricavi sul mercato, non concorre alla formazione del debito pubblico nazionale. Come, per l’appunto, nel caso tedesco.
Non solo: Berlino e Atene sarebbero accomunate dall’esenzione dal debito i fondi pensione delle sigle sindacali della Pa. Le falle contabili, insomma, sono molteplici e fanno comodo a tutti.
Il problema è però un altro: i mercati, che stanno già scontando un fallimento di fatto di Atene, hanno bisogno di credibilità. Si parla, ovviamente, di quella della Germania, che rischia un declassamento da parte delle agenzie di rating per via dell’ampliamento del fondo Efsf. Una tegola in più nel giorno in cui, secondo fonti interpellate da Linkiesta, gli investitori privati dovranno sopportare un taglio del 75% al valore nominale dei tzatziki bond.