Tra gli zombie di Dead Island, il videogame che si ispira a Lost

Tra gli zombie di Dead Island, il videogame che si ispira a Lost

Il paradiso non esiste. Prendiamo le Fiji, per esempio. Ogni anno mezzo milione di turisti occidentali visitano l’arcipelago, attirati dalle sue spiagge bianchissime e dalle sue acque cristalline. Per i figiani invece la vita è tutto tranne che una vacanza. Nel 2006, con un colpo di stato, ha preso il potere un regime militare che ha arrestato gli oppositori e silenziato i media. La cosa, però, non sembra aver intaccato la popolarità delle Fiji come meta vacanziera. La verità è che ai turisti interessano molto spiagge pulite e cocktail gustosi (e magari sesso a buon mercato), e poco le condizioni di vita di chi li ospita. A meno che gli indigeni non siano zombie affamati di carne umana. Allora le cose cambiano.

Dead Island, il nuovo “hack and slash” (letteralmente taglia e squarcia) in prima persona della Deep Silver, è ambientato in un’isola a largo della Papua Nuova Guinea. Dove il cannibalismo, si sa, è stato realmente praticato per molto tempo. Il gioco inizia in uno di quei residence da sogno che vediamo nei cataloghi vacanza. Solo che il sogno si trasforma quasi subito in un incubo: cadaveri, sangue ovunque, black-out. E soprattutto zombie, tanti zombie. Urlanti e putrefatti, orrendi, pronti ad avventarsi su chiunque gli capiti a tiro. Protagonisti di quest’avventura, in cui la parola d’ordine è sopravvivere, sono quattro eroi per caso. Tutti molto umani, tutti lontani dallo stereotipo del Rambo bianco solo muscoli e dovere.

Il giocatore può impersonare l’eroe verso cui sente una maggior affinità elettiva: un rapper fallito con un passato di droga e alcool, molto talentuoso nel menar colpi con le mazze; un ex-giocatore di hockey tormentato, con un debole per i coltelli; una spia cinese orfana, esperta nelle arti marziali; una rabbiosa ex-poliziotta dalla mira eccezionale. Insomma, ognuno dei quattro personaggi vanta abilità specifiche, sbloccabili con punti esperienza e aumenti di livello. In altre parole più zombie si uccidono, missioni si completano e sfide si superano, più i protagonisti diventano forti, donando al titolo un sapore vagamente GdR (Gioco di Ruolo).

Quanto ai nemici da combattere, cioè gli zombie, mai in nessun gioco sono stati così ben caratterizzati. Ce n’è una gran varietà: da quelli velocissimi a quelli kamikaze. In qualche modo con Dead Island il settore videoludico si mette alla pari con il cinema, che da anni ha abbandonato il cliché stantio dello zombie stupido e goffo (merito del grande George Romero, regista di film cult come “La notte dei morti viventi”). Altri film, ad esempio il non memorabile “Turistas”, hanno probabilmente influenzato gli sceneggiatori di Dead Island. D’altro canto le leggende metropolitane sull’ingenuo turista bianco che si reca in qualche Paese sotto l’equatore, e viene smembrato/divorato/privato di questo o quell’organo, si sprecano.

Il gioco sembra poi ispirarsi ad alcune delle serie tv che più hanno colpito l’immaginario collettivo contemporaneo: “Lost” e, in misura minore, “The Walking Dead”. Infatti l’elemento survivalista è forte, cosa abbastanza rara nei videogiochi. La scarsità di kit curativi e le numerose missioni, per esempio, costringono il giocatore ad esplorare continuamente la vasta mappa di gioco, alla perenne ricerca di nuove risorse, medicinali, cibo e superstiti. Il giocatore inoltre non ha quasi mai a disposizione armi da fuoco, e spesso deve cavarsela con chiavi inglesi, tubi di ferro, remi in legno e altri arnesi deteriorabili. Ognuno di questi attrezzi può essere riparato e potenziato grazie a diversi banchi di lavoro, sparsi per l’isola, utili anche per l’assemblaggio di rudimentali armi artigianali.

Nella modalità singleplayer Dead Island diverte molto, ma affrontare le orde di zombie insieme ai propri amici rende le partite senz’altro più movimentate. Il gioco di squadra premia, ma solo quando ci si aiuta l’un l’altro, curandosi o salvandosi reciprocamente la vita. Oltretutto superare le missioni in compagnia può scongiurare quella lieve monotonia che gli amanti dell’azione potrebbero provare nelle sessioni solitarie. A tratti il gameplay di Dead Island ha il sapore di già visto. Molti giochi, in passato, hanno infatti sfruttato le potenzialità di questa o quella caratteristica, su tutti Dead Rising e Left 4 Dead (sì, il “dead” nei titoli horror è obbligatorio). Nondimeno Dead Island riesce a miscelare tutto quanto splendidamente. Le carenze tecniche ci sono, ovvio, ma sono piccole (ad esempio un aggiornamento delle texture tun gialvolta impreciso, e sporadici bug grafici). Il risultato finale, nel complesso, è piuttosto esaltante e divertente.

Gli amanti del genere horror, specialmente quello gore, sapranno apprezzare l’atmosfera violenta e lugubre che si respira per l’intera durata dell’avventura. E chi mal sopporta i soliti videogiochi all’americana, troverà nel titolo un giusto mix d’azione, dramma e ironia. Probabilmente è esagerato definire Dead Island, con i suoi zombie antropofagi e i suoi vacanzieri terrorizzati, una metafora paradossale di certo turismo mordi-e-fuggi, che alla lunga divora (ambientalmente e socialmente) le sue mete d’elezione; ma almeno si può dire che non è il solito gioco.

La copertina di Dead Island

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