È la volta buona. Il ministero dell’Economia scioglie gli indugi e mette nero su bianco un piano per vendere gli immobili della pubblica amministrazione per ridurre il debito pubblico. «Oggi abbiamo aperto il grande libro del patrimonio pubblico. L’abbiamo fatto per la prima volta, non era mai stato fatto, e abbiamo scoperto che nell’attivo del bilancio dello Stato c’è un numero uguale a quello del passivo» ha dichiarato trionfalmente Giulio Tremonti.
Stamani, proprio in via XX Settembre, Edoardo Reviglio, capo economista della Cassa depositi e prestiti, e Stefano Scalera, dirigente del Tesoro, hanno presentato il loro piano di battaglia per circoscrivere la mole di 1.900 miliardi di debito nazionale. Il patrimonio dello Stato vale 1.800 miliardi di euro, di cui 675 immediatamente fruttiferi, composto da crediti, concessioni, infrastrutture, immobili, partecipazioni e risorse naturali. Di quei 675 miliardi, gli immobili rappresentano la voce più consistente: 500 miliardi, dei quali potrebbe essere disponibile «da qui ai prossimi anni il 5-10%, pari a circa 40-50 miliardi di euro», ha sottolineato Reviglio. Il valore di mercato di immobili, partecipazioni e concessioni degli enti locali e dell’amministrazione centrale, secondo i calcoli della Cdp, è pari a 571 miliardi di euro (185 dello Stato e 386 di Regioni ed enti locali), asset che rendono soltanto lo 0,9% annuo, contro un obiettivo fissato del 6 per cento.
Le amministrazioni territoriali, inoltre, concorrono maggiormente alla formazione degli attivi: 67% rispetto al 33% di Roma, mentre sul debito le proporzioni sono completamente invertite, 94% prodotto dallo Stato contro il 6% del territorio. Un territorio la cui influenza nel mondo del business è continuata a crescere – come una sorta di federalismo economico – come evidenziano i dati Unioncamere citati dalla Cdp: dal 2003 al 2009, le società partecipate sono passate da 4.064 a 5.512, quelle partecipate direttamente da 3.190 a 3.998, le controllate da 2.826 a 3.601. Governate da un esercito composto da più di 100 mila amministratori, manager e consulenti, che costano al contribuente ben 2,5 miliardi di euro l’anno.
Una gestione che va resa più efficiente. Così come i tentativi di riduzione del debito effettuati in passato: cartolarizzazioni per 26 miliardi di euro dal 1999 al 2005, privatizzazioni e cessioni per 140 miliardi di euro, e altri 26 miliardi dalla vendita di immobili. Il tutto, spiega la presentazione di Reviglio, ha ridotto circa 1 punto percentuale all’anno il debito in rapporto al Pil: troppo poco, quando il rendimento dei titoli di Stato diventa insostenibile.
Questo lo screening della patologia. Per quanto concerne la cura, il farmaco predisposto dal dicastero guidato da Giulio Tremonti si chiama Sgr. Una società di gestione del risparmio a capitale pubblico e privato, da predisporre entro gennaio 2012, per valorizzare le concessioni e razionalizzare le 7mila locazioni passive della Pa, attraverso dei fondi ad hoc. Progetto più produttivo, sul lungo periodo rispetto a un piano di dismissioni per fare cassa nell’immediato. Opzione che, come ha recentemente osservato il prorettore dell’Università Cattolica di Milano, Luigi Campiglio, di fatto sarebbe come una svendita.
Secondo la bozza del Mef, un fondo si occuperà di trovare delle soluzioni per gli affitti delle Pa, e ridurre così di un terzo il costo di gestione degli immobili. Per quanto riguarda le infrastrutture in concessione, si cercherà invece il parternariato con i privati, per investire nella realizzazione di opere pubbliche – dalle autostrade alle scuole – in grado di generare dei flussi di cassa costanti. Infine, sarà organizzato un fondo per rendere attrattivi per gli investitori gli immobili in territori disagiati.
Il Tesoro ha inoltre intenzione di definire alcune misure per migliorare la redditività delle partecipate pubbliche, che non dipende né dalla forma giuridica né dal tipo di attività svolta. Al contrario, ciò che le accomuna è la scarsa performance rispetto alle società private: il 5% in meno.
«L’attivo è ancora fuori dal mercato e in decenni è diventato una specie di “manomorta” pubblica, una enorme quantità di beni che però non sono valorizzati, hanno magari un costo superiore a quello giusto, molti possono essere messi nell’economia e qui creare ricchezza» ha dichiarato oggi Tremonti. Sperando sia davvero la volta buona.