Un manifesto, mille sottoscrittori e tanta voglia di «strozzare» il pizzo. L’appuntamento è per oggi sabato 15 ottobre al Teatro Biondo Stabile di Palermo, dove saranno presentati i nomi dei primi 1000 sottoscrittori del manifesto d’adesione al comitato professionisti liberi, per combattere il racket delle estorsioni e Cosa nostra. È la più recente delle iniziative di Addiopizzo, l’associazione siciliana che mira a diffondere tra i consumatori la consapevolezza del loro potere nella lotta alle estorsioni. Decidendo di spendere il proprio denaro in negozi che non si piegano al ricatto del racket, infatti, si può fare la differenza. Ma andiamo con ordine. Tutto comincia il 29 giugno 2004 a Palermo. Secondo i dati della Magistratura, l’80% dei commercianti paga il pizzo, ma non se ne parla. Una mattina il centro cittadino si sveglia ricoperto di adesivi con la scritta “Un intero popolo che paga il pizzo è un popolo senza dignità”.
Più che un monito. Un rimprovero, un’accusa, un invito al rispetto per se stessi e per il proprio lavoro. Anonimo, ma non per troppo tempo. Un anno dopo viene lanciata la campagna “contro il pizzo, cambia i consumi” e si costituisce ufficialmente il comitato Addiopizzo, prima esperienza di consumo critico contro l’estorsione. Il 2 maggio 2006 nell’aula magna di Palazzo Steri, ateneo di Palermo, cento commercianti che non pagano il pizzo lo dichiarano pubblicamente, forti del supporto di oltre settemila cittadini-consumatori. Sono la lista “Pizzofree”. Numeri destinati a crescere. Nel marzo 2008, in corso Vittorio Emanuele, sempre nel capoluogo siciliano, è stato inaugurato il punto Pizzo Free “L’Emporio”, che vende solo prodotti di artisti, artigiani e commercianti che aderiscono al comitato Addiopizzo, e prodotti delle cooperative attive nei terreni confiscati alla mafia.
Ecco come funziona: le richieste di adesione all’iniziativa da parte degli operatori economici devono essere vagliate da una commissione di garanzia, tramite documenti giudiziari, amministrativi, giornalistici ed elementi di vario genere. I volontari del comitato hanno finora incontrato gli alunni di più di 100 scuole, con cui ogni anno il 5 maggio celebrano la festa Pizzo-Free. Nel novembre 2007 nasce l’associazione Antiracket palermitana composta da imprenditori, allo scopo di tutelare e difendere gli imprenditori taglieggiati: “Libero futuro – associazione antiracket Libero Grassi”, dal nome dell’imprenditore ucciso per essersi ribellato al pizzo. L’idea si diffonde, da Palermo a Catania, mentre in Germania, pochi giorni dopo la strage di Duisburg nel 2007 nasce un movimento simile “ Mafia? Nein danke! (in italiano, Mafia? No grazie!). Si tratta di un’associazione caratterizzata dal fatto che le aziende che partecipano (già più di cento) si impegnano a non assumere persone che hanno precedenti mafiosi e a rifiutare, denunciare e combattere qualunque tentativo d’estorsione.
E finalmente con l’iniziativa al Teatro Biondo Stabile si passa dalle imprese ai liberi professionisti. «La lotta al racket delle estorsioni ed a Cosa Nostra sarà più efficace se a fianco degli imprenditori e dei consumatori ci saranno anche i professionisti» si legge nella nota dell’associazione: «La straordinaria diffusione e pericolosità del sistema mafioso impone ad ogni soggetto sociale, singolo o associato, pubblico o privato, di svolgere un ruolo attivo nel contrastarlo». Il Comitato professionsiti liberi, insieme a LiberoFuturo e Addiopizzo, ha redatto un manifesto che contiene norme etiche specifiche che impegneranno pubblicamente al loro rispetto e all’attenta osservanza ogni singolo professionista.
Possono sottoscrivere il manifesto anche i professionisti non iscritti agli Albi, i dipendenti pubblici o privati, i laureati ed i diplomati in materie professionali (geometri, ragionieri, periti). Un’idea che si sposa bene con il pensiero di Giancarlo Maria Bregantini, il sacerdote trentino di origine, calabrese di adozione, noto all’Italia come il vescovo delle cooperative del riscatto della Locride, nate nelle terre confiscate alla mafia. Bregantini, nel libro “Il nostro sud in un paese reciprocamente solidale”, scritto con il giornalista Paolo Loriga, racconta un Sud in cui lavorare senza avere a che fare con la criminalità organizzata è una scelta etica a volte dolorosa. Quel lavoro che al sud quando c’è è spesso nero, o grigio. Quel lavoro che a volte va eticamente rifiutato. Una nota di merito Bregantini nel libro la riserva agli avvocati del sud che scelgono di guadagnare di meno, pur di non difendere i mafiosi. Sì, la difesa è un diritto di tutti, certo. Ma anche il lavoro.
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