L’Italia è al terzo posto nella classifica dei Paesi con la peggiore performance dei Cds nel terzo trimestre. Il prezzo dei Credit default swap, ovvero i derivati che proteggono dal fallimento di un asset, sul debito italiano è aumentato del 165,2% nell’arco temporale fra il primo luglio e il 30 settembre. Peggio di Roma, solo Danimarca (+216,6%) e Olanda (+175,9%), mentre a chiudere la classifica dei primi cinque sono Austria (+160,0%) e Germania (+158,4%). La migliore prestazione? Quella dell’Irlanda, che ha visto i Cds sul proprio debito passare da 791,6 punti base a 754,4, con una riduzione del 4,7 per cento. La speciale classifica è stata stilata da CMA Vision, società di proprietà della borsa merci di Chicago, la Chicago mercantile exchange (CME). Se il prezzo dei Cds sull’Italia era di 170,8 punti base a inizio luglio, alla fine di settembre è stato di 453,1 punti base. Ma a far preoccupare è la percentuale implicita di una ristrutturazione del debito di Roma, dato che c’è una possibilità su tre che questo succeda nell’arco dei prossimi cinque anni.
Come ogni trimestre, CMA Vision presenta lo stato dell’arte del mercato dei Cds. Questi derivati, diventati celebri negli ultimi quattro anni come benchmark della credibilità di un soggetto a ripagare le proprie obbligazioni, sono negoziati su mercati non regolamentati (Otc, Over-the-counter, ndr). Il Cds non è altro che una polizza assicurativa, che gli operatori usano per fare hedging, cioè per minimizzare rischi. In genere, il prezzo dei Cds si riferisce a un contratto di assicurazione su un titolo obbligazionario quinquennale del valore di 10 milioni di dollari. Il compratore spende, nel caso dell’Italia, circa 450.000 dollari (cioè l’equivalente di 450 punti base) l’anno per fare ciò. Le due principali società che si occupano di tali segmenti dell’universo finanziario sono Markit e, appunto, CMA Vision. E per entrambe la tendenza legata all’Italia non è positiva. Dal 20 maggio, data in cui la società di rating Standard & Poor’s ha lanciato il suo primo avviso all’Italia, la situazione si è rapidamente deteriorata. In particolare, l’avvitamento dei Cds sull’Italia si è avuto dal 17 giugno in poi, cioè da quando Moody’s, l’altra regina del rating, ha deciso di avviare una revisione del giudizio sull’Italia per un possibile declassamento, arrivato pochi giorni fa (da Aa2 ad A2).
Sono almeno tre le ragioni che hanno portato a questa performance negativa. Da un lato, la crisi dell’eurodebito si è espansa a Spagna e Italia dopo aver colpito (e affondato) Grecia, Irlanda e Portogallo. Ma non solo. Come dimostrano i dati di CMA Vision, anche Paesi considerati solidi come Danimarca, Olanda, Austria e Germania stanno risentendo degli effluvi della peggiore crisi che l’eurozona sta affrontando dalla sua nascita. Se il Cds su Copenhagen costava 44,5 punti base a inizio luglio, dopo tre mesi era a quota 140,7 punti. A superare i 100 punti sono stati anche Olanda (da 38pb a 104,9pb), Austria (da 61,7pb a 160,3pb) e Germania (da 40,9pb a 105,7pb). E non è un caso che proprio quest’ultimi tre Paesi siano i più restii a un incremento di dotazioni e poteri del fondo salva-Stati European financial stability facility (Efsf). La loro consapevolezza è che un Efsf più versatile possa essere il veicolo di un maggior rischio sovrano nella percezione degli investiori.
Dall’altro lato, gli operatori finanziari stanno cercando di proteggersi con le armi in loro possesso. La funzione principe dei Cds è proprio questa: fornire protezione contro i rischi d’insolvenza. Pochi mesi fa la più grande banca tedesca, Deutsche Bank, ha spiegato di aver ridotto la propria esposizione sull’Italia tramite l’acquisto di Cds a copertura dei Btp che aveva in portafoglio. Questa tendenza, detta anche fly-to-quality, è stata fortemente amplificata nei confronti dell’Italia negli ultimi mesi, all’aumentare della cristallizzazione delle azioni politiche di Roma in materia di consolidamento fiscale.
Nel mezzo, l’instabilità politica e la reticenza del Governo italiano a un concreto piano di risanamento dei conti hanno peggiorato la percezione sul debito italiano. E dire che l’Italia sa bene i pericoli che corre sul mercato dei Cds, dato che è sempre la nazione con il più alto valore nozionale lordo di Cds circolanti (310,192 miliardi di dollari), netto (21,535 miliardi) e numero di contratti aperti, 9.830. Un anno fa, il nozionale lordo era di 255,526 miliardi di dollari, il netto di 27,710 miliardi e i Cds aperti 7.127. Anche in questo caso, nessuno ha fatto peggio di noi. E, dato il sempre maggiore immobilismo che sta mostrando l’Italia nel contrastare la crisi che l’ha investita, difficile che lo scenario migliori nel quarto trimestre.