Da Jaiku a Buzz, la lunga lista dei fallimenti di Google

Da Jaiku a Buzz, la lunga lista dei fallimenti di Google

Google Buzz addio. Con pochissimi rimpianti, lo scorso 15 ottobre, Big G ha annunciato la chiusura di “Buzz”, l’impopolare social network varato un anno e mezzo fa come antidoto allo strapotere di Facebook. Nonostante un lancio in grande stile ed il fatto che la piattaforma partisse da una base di 150 milioni di utenti già iscritti a Gmail, Buzz non ha mai attecchito tra il grande pubblico: il calo nella frequenza d’utilizzo e la mancanza di nuovi iscritti hanno costretto la compagnia a progettare un social network sostitutivo, Google Plus, lanciato nel giugno in via sperimentale ed aperto a tutti gli utenti dallo scorso 20 settembre.

Ma il processo che ha portato alla chiusura anticipata di “Buzz” non è una novità nel mondo di Google. Una ricerca realizzata da The Next Web, infatti, rivela che il colosso di Mountain View, contrariamente alle apparenze, ha il flop facile: su 251 prodotti lanciati dal 1998 a oggi il 36% è stato cancellato. Tra i progetti fallimentari ce ne sono diversi considerati “di alto profilo”: Google Video, Google Answers, Google Wave per citarne alcuni. Ultimo in ordine di tempo è stato Google Labs, la piattaforma nata nel 2002 per agevolare la sperimentazione di software e delle applicazioni, che ha serrato i battenti a luglio.

Sembra incredibile che una macchina (quasi) perfetta come Google possa collezionare una serie così lunga di insuccessi. C’è chi sostiene che l’alto numero di flop sia normale, in un contesto di sperimentazione e innovazione come quello in cui opera l’azienda americana. Non di fallimenti veri e propri si tratterebbe, dunque, ma di scommesse finite male, in grado di fornire a loro volta nuovi spunti su cui lavorare e migliorarsi continuamente. Alla chiusura di Wave, nel 2010, l’allora amministratore delegato Eric Schmidt disse: «Noi celebriamo i nostri fallimenti». Gli ha fatto eco pochi giorni fa il cofondatore di Google Larry Page, mentre annunciava il pensionamento anticipato di Buzz. «Tutto quello che abbiamo imparato dalla vicenda di Buzz lo utilizzeremo per migliorare la gestione di prodotti come Google+».

Non è dello stesso avviso Steven Yegge, ingegnere di Google che – a quanto sembra, per errore – ha pubblicato pochi giorni fa una ferocissima critica (ora rimossa) sul funzionamento del nuovo network Google+. Secondo Yegge, i fallimenti di Mountain View non sono imputabili solo al rischio della sperimentazione, anzi: l’ingegnere, dai trascorsi in Amazon, punta il dito contro errori di gestione e di visione manageriale. «Google+ è l’esempio del nostro completo fallimento nel capire le piattaforme», scrive in un rapporto che doveva essere destinato a pochi intimi, «e riguarda tutti, dai capi dell’azienda in giù. Non riusciamo a capire come funzionano. La regola d’oro delle piattaforme è “mangiati il tuo cibo”. Google+ invece è un patetico ripensamento, una reazione istintiva a Facebook».

L’elenco dei fallimenti marchiati Google, in ordine cronologico.

† Google X (15 marzo 2005 – 16 marzo 2005)Si trattava di una homepage modellata sulla barra delle applicazioni del sistema operativo OS X di Macintosh (il cosiddetto “dock”). Sotto la barra delle ricerce campeggiava la scritta Roses are red. Violets are blue. OS X rocks. Homage to you (“Le rose sono rosse, le viole sono blu, Os X spacca, è un omaggio per te”). L’homepage di Google X venne rimossa soltanto un giorno dopo il lancio per motivi mai precisati. Se siete interessati a provarla, potete trovarne una fedele riproduzione a questo indirizzo.

† Google Answers (Aprile 2002 – Novembre 2006)Questo sistema Q&A permetteva all’utente di offrire una cifra in denaro a sua scelta in cambio di una risposta esaustiva e corretta ad una sua domanda. Un gruppo di ricercatori selezionati da Google aveva la facoltà di accettare o meno la proposta economica e, in caso positivo, fornire la risposta richiesta all’utente. Negli anni, la scelta operata da Yahoo! Answers di mantenere il sistema gratuito si è dimostrata vincente, nonostante un’evidente differenza nella qualità delle risposte fornite. Anche dopo il ritiro del servizio, Google ha lasciato a disposizione il database con domande e risposte, consultabile da chiunque. Lo trovate qui.

Dodgeball (Maggio 2005 – Gennaio 2009)Acquistato nel 2005, era un social network che permetteva all’utente di condividere la propria posizione in tempo reale con gli amici. Nel 2007 il suo cofondatore, Dennis Crowley, lasciò Google per creare Foursquare, software simile ma di maggiore successo. Al momento della sua uscita dall’azienda, Crowley definì l’esperienza di Dodgeball “incredibilmente frustrante”. Nel 2009 Dodgeball chiuse definitivamente i battenti.

Jaiku (Ottobre 2007 – Gennaio 2009)Servizio di microblogging simile a Twitter, Jaiku venne acquistato da Google nell’ottobre 2007. Non è stato praticamente mai usato né pubblicizzato a fondo. Nel 2009 è stato definitivamente abbandonato, insieme a diversi altri prodotti giudicati improduttivi dalle alte sfere di Mountain View. Lo potete trovare ancora online, portato avanti da un manipolo di Googlers affezionati.

Google Notebook (Maggio 2006 – Gennaio 2009)Notebook permetteva all’utente di salvare testi o immagini personali su pagine di taccuini virtuali, che potevano poi essere condivisi con altri utenti. Venne cancellato nel 2009.

Google Video (Gennaio 2005 – Gennaio 2009)Il servizio di condivisione di video firmato Google fu inaugurato nel 2005. Soltanto un anno più tardi però l’azienda americana decise di acquistare Youtube per 1,65 miliardi di dollari. I due servizi coesistettero per qualche anno, fino a quando lo strapotere di Youtube rese inutile l’esistenza di Google Video, che andò in pensione a inizio 2009.

Google Catalogs (September 2001 – Gennaio 2009)L’idea alla base di Catalogs era quella di fornire cataloghi online di prodotti che permettessero una comparazione in tempo reale dei prezzi. Lanciato in versione beta, venne riaggiornato solo un paio di volte dopo la sua inaugurazione, tant’è che i prezzi dei prodotti rimasero sempre fermi al 2001. Una chiavetta USB da 256mb, come riporta il sito di Pc World, nel 2005 costava la cifra spropositata di 595 dollari. Catalogs viene dismesso definitivamente soltanto nel 2009.

Google SearchWiki (Novembre 2008 – Marzo 2010)SearchWiki permetteva a chiunque di personalizzare i risultati delle proprie ricerche, cancellando i risultati sgraditi oppure modificandone (verso l’alto o il basso) la loro posizione nella lista. Fu criticato perché rendeva molto confuse le pagine di ricerca.

Google Nexus One Web Store (Gennaio 2010 – Maggio 2010)Per accompagnare la vendita del suo smartphone di punta, Google sviluppò uno web store dedicato. A pochi mesi dall’inaugurazione, però, Mountain View dovette ammettere che il progetto di e-commerce non stava funzionando: “Mentre la diffusione della piattaforma Android sta superando le nostre aspettative, lo web store non procede come sperato. E’ rimasto un canale di nicchia per pochissimi”.

Google Wave (Maggio 2009 – Agosto 2010)Predecessore di Buzz, è stato uno dei flop più cocenti di Google. Lanciato come una vera e propria rivoluzione comunicativa dall’azienda, in grado di fondere e-mail e istant messaging, riscosse fin da subito poco successo tra gli utenti. Pochi mesi dopo il varo di Buzz venne definitivamente chiuso.

Google Labs (Maggio 2002 – Luglio 2011)Era il laboratorio in cui Google faceva testare agli utenti le sue innovazioni. Nell’estate 2011 i piani alti dell’azienda hanno annunciato la sua chiusura, specificando che la sperimentazione dei prodotti proseguirà su strade alternative.

Google Buzz (Febbraio 2010 – Ottobre 2011)Un altro esperimento di social networking e microblogging abbandandonato nel giro di un anno. Buzz, nonostante potesse contare sugli utenti già iscritti a Gmail (150 milioni circa), ai quali il sistema veniva implementato automaticamente, è sempre rimasto nell’ombra e non ha mai ottenuto il gradimento del pubblico. E’ stato rimpiazzato da Google Plus e la sua chiusura definitiva è notizia di questi giorni.

Google Orkut (Gennaio 2004 – …)Si tratta del primo social network lanciato da Google, chiamato così dal nome del suo creatore Orkut Buyukkokten. Lo scarso successo tra gli utenti statunitensi ha convinto Google a trasferirne, nel 2008, la sede in Brasile, dove Orkut gode di ottimi riscontri di pubblico. Dei 66 milioni di utenti in tutto il mondo, infatti, il 59,1% sono brasiliani, mentre le altre nazioni più rappresentate sono l’India (27,1%) e il Giappone (6,7%). Non si tratta di un fallimento in senso stretto, quindi, ma Orkut ha deluso le aspettative di chi lo voleva in diretta concorrenza con Facebook (nato un anno più tardi).

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