Dottor Boss, se alla ’ndrangheta piace la laurea

La compravendita delle lauree è un market accademico che non ha inventato la ‘ndrangheta. Ma di cui i boss si servono per ottenere prestigio e riconoscimento sociale

REGGIO CALABRIA – ‘Ndranghetisti che comprano la laurea. Come Nicola Marando, ritenuto dagli investigatori di Reggio Calabria e di Torino il nuovo reggente dell’omonima cosca. Il quale avrebbe sborsato 60 mila euro per conseguire la laurea all’Università Magna Grecia di Catanzaro. Marando è indagando sul verminaio che i magistrati della Dda di Catanzaro hanno scoperto. In tutto gli indagati sono 97, tra politici, imprenditori, docenti, dirigenti, amministratori e studenti. Quando nel 2010 fu arrestato dalla Dia di Torino, gli investigatori descrissero Nicola Marando come l’erede al trono della cosca che prende il suo nome. Un capobastone originario di Platì, feudo di potenti ‘ndrine e cassaforte di segreti inconfessabili della ‘ndrangheta. Ma Marando è diventato un boss nella profonda Padania, tra Buccinasco e Volpiano. In Calabria, per così dire, si è limitato a prendere la laurea in Giurisprudenza, nel 2004.

Secondo i magistrati i 60 mila euro del boss di Platì sarebbero stati utilizzati per corrompere un funzionario di nome Francesco Marcello, responsabile della segreteria didattica universitaria. Che, secondo i Pm, avrebbe redatto «falsi verbali degli esami» permettendo a Nicola Marando di collezionare materie su materie, voti su voti. In soli due anni il boss superava 20 esami, senza intoppi “accademici”. Solo con qualche guaio giudiziario per traffico internazionale di cocaina. Francesco Marcello, che ha deciso di collaborare con i pubblici ministeri di Catanzaro, ha svelato che per la laurea in legge di Nicola Marando si mobilitarono «l’avvocato […] di Monasterace e un agente dei servizi segreti». «Un giorno – ha confessato Marcello durante uno degli interrogatori – mi chiama l’avvocato […], che già conoscevo, e mi chiede di far laureare Nicola Marando, intenzionato ad acquistare dal primo all’ultimo esame». E il funzionario non tralascia i particolari: «Su ventisei esami, ventidue sono stati oggetto di falsificazione integrale. Quattro, invece, li ha superati grazie a docenti compiacenti».

La storia raccontata da Marcello ai magistrati assume contorni ancora più foschiquando tira in ballo l’uomo dei servizi segreti. Figure e ombre che nella storia della ‘ndrangheta non sono mai mancate. «Poco tempo prima che Marando si laureasse – ha proseguito il responsabile didattico -, l’avvocato […] mi contattò per dirmi che mi voleva parlare. Lui era con un altro soggetto, un certo Zurzolo, il quale mi fu presentato come uno dei servizi segreti». A una settimana da quell’incontro, l’uomo che si presentò a Marcello come appartenente ai “servizi” gli chiese «40mila euro», spiegandogli «che rappresentavano il profitto dell’operazione Marando».

Marando non sarebbe l’unico rampollo mafioso ad avere pagato la laurea. A fargli compagnia c’era anche Salvatore Cordì, figlio del defunto boss “Ntoni u Ragiuneri”, ritenuto elemento di vertice dalla cosca di Locri, in provincia di Reggio Calabria. Cordì avrebbe pagato 2 mila euro per 4 materie. Ma non si laureò mai, perché nel periodo in cui decollava la sua carriera universitaria, nel 2009, scoppiò il caso degli esami comprati. I due rampolli dei potenti casati di ‘ndrangheta furono iscritti sul registro degli indagati nello stesso periodo, con la differenza che avrebbero commesso i reati in tempi diversi. Agli atti si legge che i giovani boss avrebbero agito in concorso con il solo Francesco Marcello.

Ma sull’inchiesta catanzarese aleggia lo spettro della prescrizione. Per Marando, il reato di corruzione, quello più grave, è già stato cancellato dalla prescrizione. Gli rimangono contestati i reati di concorso in falsità materiale e concorso in falsità ideologica. La prescrizione è invece ancora lontana per Cordì. La sua breve carriera universitaria iniziò nel periodo in cui Nicola Marando, almeno sulla carta, veniva nominato dottore in Legge. Per lui i Pm vagliano l’ipotesi di corruzione, oltre che di falso. I titolari dell’inchiesta stanno lavorando a pieno ritmo, e tra meno di un mese potrebbero richiedere il rinvio a giudizio per tutti i 97 indagati.

Gli ‘ndranghetisti di terza generazione, quelli del terzo millennio, vorrebbero colmare con questi titoli i vuoti culturali prodotti dalla loro ricerca maniacale di profitto e potere. E vorrebbero farlo usando pergamene false come biglietto da visita per lʼingresso negli ambienti finanziari. Per i boss di ‘ndrangheta tutto è merce, tutto si può comprare: anche le scienza e la cultura se sono funzionali a raggiungere i salotti della società che conta e che produce.

Per questo Antonio Pelle aveva deciso di iscriversi all’università di Architettura a Reggio Calabria. Pelle, rampollo della famiglia Pelle “Gambazza” di San Luca, roccaforte delle tradizioni ‘ndranghetiste, voleva ottenere quel certificato di laurea per contribuire al salto di qualità della propria ‘ndrina. Ad aiutarlo cʼera lo zio, Giuseppe Pelle, con cui, secondo il Ros di Reggio Calabria, avrebbero condizionato l’andamento dei test d’ingresso in tre facoltà: Architettura a Reggio Calabria, Medicina a Messina e a Catanzaro. Il giovane Pelle aveva poi scelto Architettura, e qui sarebbe riuscito a oliare il meccanismo universitario. Lʼimpresa è da leggenda: 9 esami in 41 giorni. Tutti superati, ovviamente.

La genialità di Antonio Pelle non è stata però compresa dagli investigatori, che gli contestano di avere superato gli esami grazie a interferenze e pressioni. Dalla loro parte ci sarebbero 118 telefonate intercettate in cui Antonio Pelle parla con il responsabile della segretaria studenti di Architettura. Telefonate di raccomandazione più o meno velate. Ma cosa spingeva il responsabile didattico ad agire fuori dalle regole? Per il Ros non ci sono dubbi: «Sudditanza psicologica nei confronti di un giovane rampollo di una delle più potenti ‘ndrine della Calabria».

L’indagine che coinvolge Antonio Pelle e i suoi spalleggiatori è ancora nelle fasi preliminari. È una costola dell’indagine “Reale”, un’ importante operazione che ha permesso, tra l’altro, di svelare il ruolo di Giovanni Zumbo, commercialista che in passato ha lavorato come amministratore di beni sequestrati per il Tribunale. Secondo gli investigatori Zumbo si sarebbe avvicinato agli ambienti dei servizi segreti e avrebbe fatto da informatore per famiglia Pelle, alla quale “sussurrava” le indagini in corso. Oltre a Catalano anche Maurizio Spanò, ricercatore dell’Università di Reggio Calabria, avrebbe facilitato il percorso di Pelle. Il ruolo di Spanò emerge in occasione dell’esame di Arboricolutra generale. Una materia opzionale. Difficile e corposa, che Pelle scelse comunque. Pelle non inserì a caso quella materia nel piano di studi, ma le indagini svelerebbero che lo fece in al rapporto che aveva con Spanò. Allʼepoca, tutto filò liscio: un bel 30 in una materia di cui non conosceva neppure il nome: «Trenta, trenta!!», esclamava il rampollo, «Alla faccia del cavolo, in che cosa?» chiedeva ansioso lo zio. «Di cosa…, di agro, di agro…., di agricoltura».

La compravendita delle lauree è un market accademico che non ha inventato la ‘ndrangheta. Ma di cui i boss si servono per ottenere prestigio e riconoscimento sociale. Così può accadere che quando gli investigatori chiedono a politici, costruttori o esperti di finanza cosa facessero accanto a boss di alto profilo, questi rispondono con sorpresa, e un pizzico di ipocrisia: «Non l’avrei mai detto, è un professionista, laureato, distinto». L’immaginario del boss con coppola e lupara fa comodo a molti. Specie a chi conosce benissimo che al proprio tavolo sono seduti ‘ndranghetisti che si sono fatti imprenditori e professionisti, magari anche laureati.

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