E a Londra si accorgono che non basta indignarsi

E a Londra si accorgono che non basta indignarsi

LONDRA – Un cartello falso appena incollato a fianco del Temple Bar gate recita Taharir Square, Westminster. Occupy London, la campagna lanciata sul web dagli indignados inglesi per chiedere una riforma delle istituzioni finanziare, aveva promesso che sabato 15 avrebbe riconquistato “uno spazio proprio al centro del sistema finanziario”. Dietro allo storico arco si trova infatti il London Stock Exchange, cuore pulsate della City. Ma due cordoni di polizia inamovibili hanno tenuto fuori dal centro la folla accorsa per protestare, costringendo il corteo a ripiegare nella piazza antistante la St Paul’s Cathedral. I manifestanti non si sono però persi d’animo: se Paternoster Square non poteva essere espugnata, allora il blitz si sarebbe trasformato in assedio.

Nica ha steso una delle stecche portanti della sua tenda da campeggio. Come tanti altri, si appresta a passare la notte sul selciato di fronte alla chiesa. «Sono davvero preoccupata per il freddo, ma mi sono attrezzata: sacco a pelo, coperta ed un paio di giacche… Andrà bene». La seconda notte di Occupy London. Hanno passato quasi tutta la domenica riuniti in assemblea, divisi in piccoli gruppi che discutevano sul da farsi. Una pratica già sperimentata a Maggio nelle piazze di Madrid, quando il movimento Democracia Real Ya bloccò il centro della capitale spagnola. Ieri gli indignados inglesi sono rimasti in 250, ma stasera le tende hanno invaso tutto lo spazio antistante al Temple Bar Gate, ed iniziano ad espandersi verso la facciata della cattedrale.

La Metropolitan Police li controlla a vista, ma il clima è molto diverso da quello di sabato. Le squadre di polizia avevano infatti circondato la piazza, impedendo a chiunque di unirsi alla protesta. È stato proprio in quel momento che tra la folla è spuntato Julian Assange, scortato dalle guardie del corpo. Inatteso ma acclamato, il portavoce di Wilikeas ha espresso piena solidarietà alla mobilitazione: «I maggiori attacchi contro di noi non sono certo venuti da organizzazioni militari o di intelligence, ma dalle banche, e questa è una della ragioni per cui supportiamo quello che sta accadendo. Il vero business degli istituti di credito è mantenere segrete le loro operazioni. E questo significa che Londra non è altro che un recipiente per il denaro corrotto che arriva da tutto il mondo».

Assange alla manifestazione di sabato a Londra (l.b.)
Occupy London è arrivato alla fine di una settimana decisamente calda per la politica inglese: nei primi giorni l’associazione non governativa Action Aid aveva dichiarato che quasi tutte le compagnie presenti nell’indice Ftse 100 (le società più quotate al London Stock Exchange) usufruirebbero di paradisi fiscali, causando all’Inghilterra una perdita di 18 miliardi annui. Il giorno successivo, David Leigh denunciava dalle pagine del Gardian che le autorità tributarie avrebbero condonato a Goldman Sachs interessi di tasse arretrate equivalenti a 10 milioni di sterline. Infine, la pubblicazione dei dati relativi dalla disoccupazione giovanile da parte dell’Office for National Statistic: un tasso del 20,5%, il livello più alto degli ultimi 18 anni.

La pagina Facebook della manifestazione contava già 2000 iscritti e altre 5000 avevano aderito on-line, ma l’attesa non è stata del tutto ripagata. «Il primo giorno eravamo circa duemila, mentre Wall Street ha cominciato con pochissime persone, 700 circa». Spyro ha 26 anni ed è uno degli organizzatori dell’occupazione. «Non direi che siamo pochi, mobilitare questi numeri in sole due settimane è un gran risultato. Questa non è una campagna contro una manovra precisa, e quindi il coinvolgimento è più difficile».

Anche se sono molti i giovani presenti, a mancare sono forse proprio i grandi numeri degli studenti che l’autunno scorso irruppero bruscamente nel panorama politico inglese. Tally, universitaria ventenne, ha partecipato a quella mobilitazione, e sta protestando anche oggi,«soprattutto per vedere come sarà l’assemblea plenaria, ma non sono troppo sicura che unirci sotto il semplice slogan “Siamo il 99%”, senza alcun obiettivo politico, sia produttivo». La sensazione è quella di un movimento che sta facendo oggi i suoi primi passi, in cerca di una via da percorrere. «La nostra idea è di cominciare una democrazia reale da qua, dalle strade» ripete Spyro, «riportarla alle sue origini, prima che le corporazioni e le lobby influenzassero la politica». Rob e Shahin, vent’anni ciascuno, sono arrivati da Birmingham e sembrano eccitati da questo percorso in costruzione: «Stanno lavorando su una lista di rivendicazioni, è un processo lento, stiamo affinando le nostre richieste soprattutto per capire come arrivarci». Una sensazione che contagia anche i più avanti negli anni: per Liz, pensionata sessantenne, «è solo l’inizio, sono passati tre anni dal 2008, dall’inizio della recessione, ma forse finalmente c’è una speranza». Eppure dall’assemblea di domenica sera qualche punto fermo è emerso, come ad esempio il rifiuto dei tagli recentemente annunciati dal governo inglese al NHS (il sistema sanitario nazionale).

Tra i vari gruppi la discussione avviene nelle lingue più disparate. Per tanti europei, infatti, Londra ha rappresentato un’opportunità di affermazione professionale. Ma in molti hanno sbattuto contro il muro della recessione. Vanesa e Aziz, per esempio, hanno partecipato alle proteste nella penisola iberica ed ora sono di nuovo sulla strada: «Siamo stati nel movimento degli indignados dall’inizio, poi abbiamo raggiunto a Londra in cerca di una via d’uscita dalla crisi lavorativa spagnola, soprattutto nel settore sociale, che ha sofferto tagli brutali…ma stiamo vedendo che non è certo un problema solo nazionale». Silvia invece arriva dall’Italia, ed è tra i redattori del manifesto United for Global Change: «Cerco lavoro da cinque mesi qui a Londra, non è possibile che dopo aver fatto per dodici anni l’interprete e e la traduttrice non riesca a trovare assolutamente nulla. Ovviamente in Italia è ancora peggio. Sono qui per chiedere che istituzioni internazionali come la Banca Centrale Europea e il Fondo Monetario Internazionale vengano democratizzate, non devono essere controllate solo dagli interessi delle banche». Eppure a questo sfaccettato panorama umano sembra mancare soprattutto una tessera: per Shane, 44enne nato e cresciuto nel seno della working class londinese, è «un movimento di classi medie e bianche. Dove sono i lavoratori, gli operai? Non mi sembra che siano coinvolti, non vedo nessuno qua da Newcross».

L’accampamento degli indignados nella capitale inglese (l.b.)
Il campo nel frattempo si sta organizzando, ed un folto capannello di gente si affolla attorno all’improvvisata cucina. Caroline, organizzatrice di eventi, sta servendo una zuppa calda. «Vivo proprio dietro l’angolo, di fianco al centro della finanza, e mi sembra che per loro sia tutto un gioco, a volte quando vado al lavoro li vedo bere champagne a colazione. Va benissimo, ma che lo facciano con i loro soldi, non con i miei, con quelli delle classe medie e dei lavoratori. Così ho pensato cucinare qualcosa di caldo per supportare la protesta come potevo».

Per ora le autorità non hanno intenzione di sgomberare il campo. Gli unici momenti di tensione si sono verificati ieri sera, quando la polizia ha aperto un varco sulle scalinate della cattedrale, secondo i manifestanti in maniera decisamente brusca e provocatoria. In questi due giorni sono stati 8 gli arresti, tutti, per insulti a pubblico ufficiale. Ma quanto durerà ancora l’occupazione? «Non c’è un tempo limite, qualcuno ha detto fino allo sciopero del 30 novembre proclamato dai sindacati, ma la realtà è che tutto verrà deciso dall’assemblea generale». Anche Mattia è tra i promotori di Occupy Lodon, si è trasferito qui tre anni fa e sta frequentando un dottorato. «Mi occupo di diritto internazionale dell’ambiente, e in Italia non vedevo molte possibilità lavorative». Ha visto le immagini degli scontri a Roma: «Io personalmente sono assolutamente in disaccordo con quanto accaduto. Ne abbiamo anche parlato collettivamente, ed abbiamo convenuto che la violenza è un rischio per la legittimità del movimento, anche se ovviamente i media giocano un ruolo importante al riguardo». Ma come reagiranno se verranno sgomberati? «Semplicemente ci siederemo a braccia incrociate, opponendo una resistenza civile. Se proprio non riusciremo a fare nulla ci raggrupperemo da un’altra parte». Con il benestare del canonico della cattedrale, che a quanto riferiscono gli improvvisati campeggiatori questa mattina si sarebbe affacciato dopo la messa per salutarli e dargli il benvenuto.

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