Giovedì, ore 12.50. Una moltitudine di deputati si riversa nel Transatlantico di Montecitorio. La seduta dell’Aula si è appena conclusa. Qualcuno si ferma a prendere borsa e impermeabile lasciati al guardaroba, quasi tutti si dirigono verso l’uscita. La settimana di lavoro è finita. Una delle più lunghe – e inutili – dell’ultimo periodo.
Nei programmi della maggioranza la Camera avrebbe dovuto discutere il disegno di legge sulle intercettazioni, ma l’incidente parlamentare della scorsa settimana ha consigliato ai vertici di Pdl e Lega di sospendere l’esame del provvedimento. Spazio al ddl di modifica dell’articolo 41 della Costituzione, allora. Il rilancio della libertà d’impresa. «Un cavallo di battaglia della nostra maggioranza» spiega orgoglioso un parlamentare berlusconiano. «Un modo per dimostrare al Paese che stiamo facendo qualcosa per sollevare l’economia». Niente da fare. Oggi è stato accantonato anche questo provvedimento. Decisivi l’ostruzionismo in Aula dell’opposizione e il temporale che questa mattina ha allagato Roma. Impedendo a diversi deputati di raggiungere Montecitorio.
Alle 13.15 il Transatlantico è quasi deserto. Restano i pochi sfortunati che nel pomeriggio devono presentarsi in commissione. Qualcuno si attarda alla buvette per mangiare un panino. Ad attirare l’attenzione di chi ancora non ha lasciato il Palazzo sono il coordinatore del Pdl Denis Verdini e l’ex ministro Claudio Scajola. I due parlottano in un angolo della sala. Poi si spostano al bar e continuano il confronto davanti a un aperitivo. Poco distante l’ultimo fuoriuscito della maggioranza, Luciano Sardelli, chiacchiera con l’“ex” pidiellino Santo Versace. Sotto la giacca nessuno dei due indossa la camicia. Sardelli ha un’improponibile maglietta color sabbia. Qualcuno lo prende in giro. «Questo è il look del rivoluzionario» ironizza. Poi anche lui lascia Montecitorio.
Chiedendo di rimanere anonimo, un parlamentare del Pdl si lamenta: «Le dico la verità, questa settimana non abbiamo cavato un ragno dal buco». E dire che alla Camera si è lavorato parecchio. Numerosi emendamenti dell’opposizione che ha fatto ostruzionismo sul disegno di legge di modifica costituzionale hanno tenuto incollati ai banchi di Montecitorio i deputati di tutti gli schieramenti. Non solo loro. Per evitare ulteriori incidenti sono stati dirottati in Aula anche ministri e sottosegretari. Tra i deputati “semplici” c’è chi non nasconde l’insofferenza. Hanno presidiato l’Aula fino a sera, bersagliati dagli sms del gruppo («Anche 15 messaggi al giorno»). «E qual è il risultato? – continua l’anonimo pidiellino – Andiamo lì e votiamo come ci viene detto. Ma certo la sensazione di essere poco produttivi c’è…».
Nonostante l’assidua presenza in Aula, la maggioranza non è riuscita ad approvare il ddl sulla libertà d’impresa. Il provvedimento è stato rimandato alla prossima settimana. E si è persino rischiata un’altra sconfitta: ieri il governo si è salvato per un voto su un emendamento dell’Udc Mantini. Il tutto per una «legge slogan», come la definiscono le opposizioni. Un «capriccio di Tremonti». Un progetto, senza entrare nel merito del provvedimento, che difficilmente vedrà la luce. Ogni modifica della Costituzione prevede un iter legislativo lungo e complesso. Anche se la modifica dell’articolo 41 viaggiasse spedita, probabilmente il tempo che rimane da qui alla fine della legislatura non sarebbe sufficiente per la definitiva approvazione.
Cifre alla mano, il bottino di una settimana di lavoro alla Camera è piuttosto misero. Sono stati approvati una manciata di ddl di ratifica. Accordi internazionali, nemmeno troppo entusiasmanti. Ci sono le modifiche alla Convenzione per la navigazione sul Lago Maggiore e il Lago di Lugano tra Italia e Svizzera, un accordo di cooperazione culturale e scientifica con lo stato del Kuwait. Anche un trattato sul trasporto aereo con il «Regno hascemita di Giordania». Il paradosso del Parlamento italiano è al Senato. Palazzo Madama, solitamente meno “impegnata” della Camera, questa settimana ha lavorato senza soste. Prima l’informativa del ministro Roberto Maroni e il dibattito sugli incidenti al corteo degli indignados. Poi l’approvazione dello statuto delle imprese. Oggi è stato licenziato il Rendiconto generale dello Stato già bocciato a Montecitorio. «Vabbè – si sfoga un deputato pidiellino – per loro è facile. Mica hanno i numeri risicati che abbiamo noi alla Camera».