Gli incontri da mille e una notte tra Gheddafi jr e Nicole Kidman

Gli incontri da mille e una notte tra Gheddafi jr e Nicole Kidman

Questa storia non è mai stata raccontata. È talmente inverosimile da sembrare inventata, invece non lo è: è vera. Tutto quello che leggerete è realmente accaduto tra Montecarlo, Venezia e Sydney tra la primavera 2004 e il marzo 2005. Solo pochi frammenti sono finiti sui giornali, in particolare quelli australiani che hanno poi contribuito a metter fine alla storia, il perché si capirà. I protagonisti sono celeberrimi, lei è una delle dive più belle e più pagate di Hollywood, Nicole Kidman. Lui è un calciatore di modeste fortune, ma fa parte di una famiglia che di fortuna ne ha avuta molta, sia nel senso di ricchezza, sia nel senso che il papà è riuscito a restare in sella nonostante embarghi, bombardamenti e cattive compagnie. Si tratta di Muhammar al Saadi al Qadhafi, più noto in Italia come al Saadi Gheddafi, figlio di quel colonnello che dal 1969 è a capo della Libia. Al giovane rampollo però la politica non interessa: meglio il calcio. È azionista della Juventus – papà ne aveva comprato il 5,3 per cento nel 2002 attraverso la Lafico, una società di famiglia – e all’epoca, parliamo del 2004, è tesserato nel Perugia; forse però non è un fuoriclasse, visto che si allena tutti i giorni, ma non gioca quasi mai. Esordisce a campionato quasi finito, il 2 maggio, contro la Juventus (1-0 per i perugini, gol dell’ex Fabrizio Ravanelli) e avrebbe dovuto giocare nella penultima di campionato, il 9 maggio 2004, un Roma-Perugia sul neutro di Palermo (finita 3-1 per gli umbri). Ma non accade: un attacco di appendicite lo fa finire in ospedale a Roma e gli impedisce anche di partecipare alla festa di cui parleremo.

Gheddafi in un contrasto con Alessandro Del Piero
Se i calciatori sono ricchi, lui lo è di più. Papà Muhammar, da Tripoli, passa ad al Saadi (e ai suoi fratelli) una discreta paghetta: un milione di euro al mese. Soldi che però non bastano mai. Si sa, l’effetto euro, i prezzi che aumentano, e anche lui ha il problema della quarta settimana; meglio non presentargli conti verso la fine del mese. Ama le auto sportive, in particolare le Lamborghini, che cambia spesso, vive in un alloggio degno di lui: un intero piano del Brufani Palace, l’unico cinque stelle lusso di Perugia.

Il giovane Gheddafi, al tempo trentun anni, però, ha una grandissima e inconfessata passione: la bellissima e irraggiungibile Nicole Kidman. La trentasettenne attrice è ormai da tre anni separata da Tom Cruise e al Saadi decide che è arrivato il momento giusto per conoscerla. Pensa che ti ripensa al pretesto per incontrarla, ed ecco una grande idea: una festa, una festa memorabile in cui Nicole sia l’ospite d’onore. Al Saadi chiama un’agenzia milanese specializzata a organizzare quelli che in gergo tecnico si chiamano “eventi”. Tace però il vero motivo della festa, dice solo che vuole mettere in piedi un ricevimento – pardon, evento – da mille e una notte. I solerti milanesi si mettono al lavoro e partoriscono un progetto. Quale luogo può consentire di radunare personaggi illustri in un contesto onirico e insuperabile? Ma certo, Venezia! Sì, Venezia; meglio ancora: l’isola di San Giorgio. Signore in lungo, uomini in cravatta nera, banchetto nel salone degli Arazzi, orchestra da camera della Scala che suona nel Teatro Verde, catering esclusivo (quindi meneghino), insomma tutto comme il faut. Invitati? Va bene sui trecento. Per alloggiarli si pensa di sequestrare il Danieli e di mettere a disposizione una flottiglia di motoscafi che facciano la spola con la dirimpettaia San Giorgio.

Progetto sotto braccio, gli organizzatori di eventi prendono l’aereo e vanno a Perugia. Dormono nell’ala riservata agli ospiti della magione di al Saadi al Brufani Palace e la mattina lo incontrano all’ora del cappuccino. Lui gentilissimo, barba lunga, occhi magnetici, ascolta con attenzione. La sua risposta è un «no». Inappellabile. Venezia non va bene, è vecchia, polverosa; il progetto è bellissimo, meraviglioso, stupendo, ma la location – come si dice a Milano – proprio non va. Può un organizzatore di eventi farsi prendere in castagna? No che non può. «Ma certo, è giusto, Venezia cade a pezzi, che ne direbbe allora di una sfavillante, sfolgorante, rilucente, Montecarlo?». «Montecarlo? Che idea stupenda».

Sopra, l’Isola di San Giorgio e, sotto, Montecarlo (Flickr – Alfback2003 e edomingo)

Pronti? Via! Naturalmente nessuno aveva mai pensato davvero a Montecarlo, ma tempo una settimana il nuovo progetto è pronto, complice anche il fatto che la Société des Bains de Mer, molto vicina alla famiglia regnante, che gestisce i casinò, quattro alberghi e di un po’ di tutto nel principato, a queste cose ci è piuttosto abituata. Si torna a Perugia, progetto approvato. Bene, ora però bisogna discutere dei dettagli; insomma, le festicciole costicchiano. Al Saadi sorride: «No budget». Ma come? Siamo alle solite! Giorni di lavoro per organizzare una festa e poi si vogliono fare le nozze con i fichi secchi. «Come puoi pensare, carino, di creare un grande evento con quattro soldi?». Calma fermi tutti, c’è un equivoco: no budget non significa che non c’è budget, significa che è illimitato.

Ah, ecco, volevo ben dire, allora sì che si comincia a ragionare. Si può scialacquare e si scialacqua. Il principato di Monaco non è un paese per poveri, tutto costa un’enormità. Bisogna tenere prenotata una suite all’Hôtel de Paris, arrivasse mai un’ospite di riguardo mica lo/la si può mettere in un bicamere vista mare. E se qualcuno volesse proseguire la nottata con un after party? Bisogna affittare Villa Karl, già dello stilista Karl Lagerfeld (seicento metri quadri abitabili, duecento di terrazze), vien via con duecentomila euro, per i fiori (solo per i fiori della villa, beninteso) si spendono mille euro al giorno di orchidee, per una settimana. Poi c’è il dj, sempre a disposizione, e tutto il relativo ambaradan. Nessuno ci metterà piede. E se a qualcuno venisse in mente che sarebbe carino andare in mare? Pronto un panfilo: trecentomila euro per sette giorni e passa la paura. Poi bisogna pensare a uno spuntino: cinquantamila euro di cambusa. Nessuno salirà a bordo.

C’è però un particolare al quale il giovane Gheddafi non ha pensato: per fare una festa ci vuole un pretesto. Lui, ingenuo, pensa che basti diramare gli inviti e tutti si precipitino, giusto perché è lui a invitare. Ma non funziona così, bisogna dare una motivazione all’evento, direbbe un tecnico. Ma certo! C’è la candidatura della Libia a ospitare i Mondiali di calcio del 2010. Non che Tripoli si sia data un gran daffare, dopo aver lanciato l’idea la cosa è morta lì, ma dieci giorni prima della dichiarazione del paese vincitore può aver senso una festa per sostenere la candidatura. E anche questa è andata. Ora si deve precisare quando farla. Al Saadi insiste per l’unico giorno in cui lui, calciatore, e i suoi amici, calciatori, sono liberi: il lunedì. Che il lunedì, soprattutto se lunedì sera, sia infame per il resto dell’umanità, poco importa.

Il Grimaldi Forum di Montecarlo, sede della festa
Intanto scoppia il caso della sabbia. La festa è al Grimaldi Forum, un grande centro congressi (la sala più capiente ha milleottocento posti, ma ce ne sono altre due). Nell’esplanade d’accesso si pensa di realizzare un villaggio berbero; l’andito è dedicato al calcio, il tema della serata (viene anche realizzato un bellissimo spot di presentazione con un pallone che rotola tra le strade di Tripoli, nel deserto, tra le rovine romane di Leptis Magna); e poi si passa alla festa vera e propria. Bene, un villaggio berbero, bella idea. Cosa c’è in un villaggio berbero? Tende. Già tende. Quante? Tre, quattro? No, facciamo dieci. Dieci? Un po’ misero, meglio quindici. Poi c’è il suk. Che si vende? Babbucce. Vada per mille babbucce. Poi servono i venditori. Da Tripoli arriveranno autentici commercianti del suk, in una sorta di gita premio a Montecarlo. Ma poi è necessaria la sabbia. L’uomo su cui al Saadi ha detto di appoggiarsi, il fac totum in Libia, è un certo Shalabi. È a lui che ci si rivolge per ogni esigenza. A dire il vero all’inizio c’è qualche problema; all’organizzazione lavorano a tempo pieno otto persone, tutte donne, mandano fax, scrivono mail, ma Shalabi non risponde mai. Il busillis viene scoperto quando parte un fax con firma maschile e Shalabi risponde; ah, ecco, un arabo non tratta con le donne. Da quel momento in poi tutte le mail e i fax arrivano a Tripoli con la firma di un uomo (fotocopiata). Bene, Shalabi si impegna a spedire la sabbia, all’inizio si pensa a una nave, ma Montecarlo è un porto turistico e non ha fondali per far attraccare un cargo, quindi bisogna farla arrivare in aereo a Nizza. Shalabi viene edotto sulle norme doganali francesi, gli viene spiegato che devono essere preparati un tot di colli di determinate dimensioni, ognuno con una bolla che ne illustri il contenuto. Shalabi dice di aver capito. Ma la sabbia non arriva. Telefonata ad alto livello: caro al Saadi, la festa non si può fare. Perché? Siete impazziti? Manca la sabbia. «Tranquilli, ghe pensi mi», ribatte un giovane Gheddafi contagiato da tanta efficienza meneghina. Una sera, verso mezzanotte, uno Shalabi dalla voce piuttosto abbacchiata annuncia che la sabbia è in volo. Soddisfazione: basta fare la voce grossa e i risultati si ottengono. Al momento nessuno sa che il povero Shalabi si farà una decina di giorni di galera per il ritardato invio della sabbia. Per la verità qualcosa di strano c’è. Quando chiedono al fac totum tripolino quanti siano i colli, lui risponde uno; quando gli chiedono le misure, lui dà quella di un container. Non va proprio tanto bene, comunque si vedrà. Intanto si può andare a dormire. Non appena il sonno si fa profondo, trilla il cellulare. Eh no, eh! A quest’ora… Dall’altra parte un tizio piuttosto incazzoso si presenta: è il comandante tal dei tali, della base tal tale, dell’aeronautica militare francese. Succede questo: l’aereo che porta la sabbia non è volo qualsiasi, è un cargo militare. Solo che la Libia è ancora sotto embargo (sarà revocato il 22 settembre) e non può mandare velivoli militari in giro per il mondo, i piloti lo sanno e volano sopra il Mediterraneo a bassissima quota per non farsi intercettare dai radar. Tutto va bene fino a quando arriva il momento di atterrare: l’aereo deve prendere quota per iniziare la manovra. A quel punto i radar lo scovano e nella sala controllo dell’Armée de l’air si accendono tutti gli allarmi. Immediatamente si alzano in volo due Mirage per intercettare l’intruso, non si riesce a stabilire una comunicazione via radio probabilmente perché le attrezzature sono incompatibili, l’aereo da trasporto viene costretto all’atterraggio. L’ufficiale francese spiega di avere tra le mani due piloti militari libici senza passaporti, senza soldi e con in tasca un bigliettino con scritto un nome italiano e il numero di telefono che sta chiamando. Poi comunque la tensione scende, la sabbia viene sbarcata (ma non sarà usata), l’aereo sarà fatto rientrare grazie all’intervento dell’ambasciata di Tripoli.

Ok, tutto è a posto o quasi: sono prenotate trecento stanze nei migliori albergi di Montecarlo, l’uffcio stampa internazionale Fleischman-Hillard è pronto a dare la festa in pasto alla stampa di mezzo mondo (solo i giornalisti saranno centocinquanta). Ok, ora bisogna pensare agli inviti. Be’, sì, la Juventus al completo, al Saadi ne è socio; poi il Perugia, al Saadi ne è giocatore; poi tutti i calciatori più noti. Si pensa, per risparmiare un po’, di trasportare la squadra del Perugia con un turboelica, ma la scorta del giovane Gheddafi sostiene che un jet è più sicuro; costa quarantamila euro, ma s’ha da fare.

Nicole Kidman in una scena di Eyes Wide Shut di Stanley Kubrick
Ah, sì, poi bisogna invitare Nicole Kidman. Come? La Kidman? L’attrice? Sì, lei. No Kidman, no party: scovatela e fatela venire. La faccenda non è così semplice. Comincia una frenetica rincorsa dei suoi manager e poi un’altrettanto frenetica trattativa. La splendida australiana dai capelli rossi non deve avere una gran voglia di andare a questa festa perché a ogni telefonata il prezzo aumenta. Si parte da mezzo milione di dollari, si arriva a un milione e ottocentomila, per una comparsata di cinque ore. È evidente che l’intenzione è quella di scoraggiare al Saadi. Solo che al Saadi non si fa scoraggiare: lui vuol conoscere la sua bella e la lievitazione dei costi gli fa un baffo. Né lo impressionano i capricci da diva: per esempio, la richiesta di un jet privato che la porti da Los Angeles a Nizza (duecento mila euro). Il giovane Gheddafi è uomo di mondo e capisce che un incentivino potrebbe aiutare a rompere le resistenze della rossa Nicole: commissiona un gioiello. La Bulgari di Londra dovrebbe consegnarlo mentre sono in corso le trattative, ma ci sono una serie di ritardi e l’opera non è pronta. Gli organizzatori chiamano la Bulgari perché mandi almeno una foto, bisognerà pur mostrare qualcosa a ’sta povera diva! Il direttore della gioielleria però nicchia. Spiega che se si mostrasse una foto di un’auto d’epoca durante il restauro si vedrebbe solo uno scheletro sopra dei cavalletti, non una fiammante Bentley. Gli chiedono i disegni. Lui nicchia ancora. Sono disegni tecnici, si capisce poco. Poi mandano i disegni via computer, ma sono realizzati con un programma AutoCad che non si apre, sembra un lavoro da ingegneri, più che da designer di gioielli. Di fronte a tanta reticenza chi parla con il direttore londinese di Bulgari non riesce a fare a meno di chiedersi com’è questo gioiello, se sia bello, in fondo costa pur sempre la modesta cifretta di mezzo milione di euro. Da oltre Manica si ode solo un imbarazzato silenzio. Di fronte al ripetersi della domanda la risposta che viene data è: «Curious».

A questo punto facciamo un salto nel tempo perché è chiaro che si vorrà sapere come sia questa cosa attorno a cui sta lavorando Bulgari Londra. Il gioiello, pensato perché Nicole lo trovasse in camera al suo arrivo a Montecarlo, non arriverà mai alla festa, sarà consegnato più tardi, a Venezia, e sarà determinante per far incontrare il teneroso al Saadi e la sua bella dai capelli rossi. Quando Bulgari lo finisce comincia a fare una specie di giro del mondo, la prima tappa è a Parigi, dove viene preso in consegna dai referenti italiani di al Saadi, poi arriva a Milano nel bagagliaio di un’auto, quindi va negli Usa per cercare di raggiungere la Kidman, che nel frattempo non è più a Los Angeles, quindi torna in Italia. A Parigi il gioiello riposa nella cassaforte del Grand Hotel. Quando viene prelevato ci si ritrova di fronte a uno strano contenitore in pelle, quadrato, di quasi un metro di lato. Quando viene aperto, nessuno può credere ai propri occhi, probabilmente tutti fanno un balzo indietro, anche se non lo ricordano esattamente. Dentro c’è un plastico. Un plastico della Libia. D’oro massiccio. E pietre preziose. Sarà spesso cinque-sei centimetri, le montagne sono in rilievo, l’acqua è segnata dagli zaffiri, le città dai rubini, le oasi dagli smeraldi. Inoltre le oasi verdeggianti sono estraibili e diventano un grazioso pendente per un collier da portare con disinvoltura. «Oggi mi metto l’oasi di Giarabub». Originale, non c’è che dire.

Va bene, torniamo alla festa a Montecarlo. Gli organizzatori milanesi lavorano come forsennati, tutto è pronto in una ventina di giorni, sabbia compresa, seppur inutile, come abbiamo visto. Il 10 maggio 2004 viene diffusa la seguente agenzia: «In serata l’attaccante libico del Perugia, Saadi al Gheddafi, è stato operato di appendicite in una clinica di Roma. Lo ha reso noto l’ufficio stampa della società umbra. L’operazione è perfettamente riuscita, ma il giocatore non parteciperà al galà organizzato a Montecarlo dalla federcalcio libica per la presentazione della propria candidatura per ospitare i mondiali del 2010». Capito? Niente festa. Saadi in realtà non è affatto rassegnato, si fa rattoppare in fretta e sale su un aereo per raggiungere il principato, ma quando i motori sono già accesi arriva una telefonata di papà: «Non pensarci nemmeno». E gli ordini di quel papà non sono prorio da disubbidire. Allora arriva una troupe che gira un commovente video in cui Saadi saluta i partecipanti alla festa dal suo letto d’ospedale (in realtà di clinica, la Quisisana di Roma). Ma neanche la Kidman ci sarà. All’ultimo momento fa sapere che deve girare di nuovo alcune scene di un film e non può muoversi da Los Angeles. Una patetica scusa, in tutta evidenza, ma nemmeno il cachet da favola la induce a muoversi.

La festa è un successone, ovviamente, e non potrebbe essere altrimenti: è costata un po’ meno di quattro milioni di euro, il budget di due ministeri. Saadi, come detto, di tasca sua non può tirar fuori granché, con quei quattro soldi che gli passano da Tripoli. Bisogna trovare i soldi. La festa è della federcalcio? Bene, pronto il finanziamento del ministero dello Sport. La festa promuove l’immagine della Libia? Ecco i quattrini del ministero del Turismo. Per quell’anno non potranno fare altro, ma ne è valsa la pena.

Una scena di Birth, il film presentato dalla Kidman a Venezia
A questo punto ci sono un calciatore invaghito di una diva sfuggente a cui resta in mano un cadeau di cui non sa che farsene. Passano pochi mesi e arriva provvidenziale la Mostra del cinema di Venezia. Nell’edizione numero 61, settembre 2004, si proietta il film Birth (Io sono Sean), di Jonhatan Glazer, che ha Nicole Kidman tra i protagonisti, assieme a Lauren Bacall e Cameron Bright. L’Aussie dai capelli rossi va a Venezia. Ci va anche il libico dai capelli neri. Entrambi alloggiano all’hotel Cipriani alla Giudecca. Lei al mattino presto nuota nella piscina con l’acqua riscaldata costantemente a trentadue gradi e se ne sta per i fatti suoi. Ovvio che la loro presenza venga notata dai giornalisti. “La dea fattasi donna brilla oggi di straordinaria autoreferenzialità e con un semplice sorriso ha dato il colpo di grazia a Gheddafi jr che ieri pomeriggio l’aspettava smanioso al ristorante del Cipriani e, nell’attesa, tontonava la sua guardia del corpo. «Ma quando arriva, Nicole?». «Nicola chi?». «Nicooole, la Kidman». La Kidman se n’era andata in giro per la laguna da un pezzo, perchè dorme poco, mangia niente, non perde il suo tempo e non lo fa perdere agli altri. Nessuno capisce bene come stiano in realtà le cose, le voci dicono che lei abbia rifiutato il gioiello di lui, che sia la nuova fiamma di Flavio Briatore, pure lui in quei giorni in laguna come scrive il Daily Mail (pettegolezzo messo in giro da Briatore medesimo, probabilmente). Ma tant’è. La Kidman si fa vedere al Lido, bellissima, “per presentare il film-scandalo Birth, dove appare nuda in vasca da bagno con un bambino (ma è un montaggio)”. I fotografi impazziscono, Nicole subisce le sgarberie di Lauren Bacall in conferenza stampa («Lei non è una leggenda. Lei è una principiante. Cos’è una leggenda? Lei non può essere una leggenda all’ età che si ritrova, dovrebbe essere più vecchia») e poi riparte per chissaddove.

Quel che sfugge agli specialisti di gossip è che invece la consegna del gioiello riesce. Uno degli organizzatori del principesco evento nel principato incontra casualmente, ma forse non tanto, uno dei manager della Kidman. Ma che combinazione! Senti, per quella cosuccia… Così una sera al rientro nella sua suite alla Giudecca, Nicole si trova sul letto il plastico in oro zecchino. Non si conoscono i suoi commenti, ma ne rimane abbacinata. E dice che vuol conoscere l’uomo tanto galante che sta dietro a quel dono tanto prezioso. Giunge una telefonata che è quasi una convocazione: «Stasera, a cena». Il luogo prescelto è un po’ defilato, su un’isola, la Locanda Cipriani a Torcello. Bonifacio Brass, l’attuale titolare, figlio di quel Tinto che tanto ama le bellezze muliebri, riserva agli ospiti illustri un tavolo al centro della sala. Forse non sa esattamente chi siano gli ospiti, reticenza per motivi di sicurezza, e nei giorni della Mostra del cinema trovare un tavolo libero è un terno al lotto.

Arriva una splendente Nicole Kidman, si siede al tavolo e… aspetta. Già, perché il suo cavaliere tanto cavaliere non è e si fa vedere con una ventina di minuti di ritardo. Ora immaginatevi la scena: Nicole Kidman sola, a un tavolo al centro di un ristorante, che sorseggia calma una coppa di champagne (o di prosecco, siamo a Venezia). Difficile non notarla. Lei resta impassibile, è un’attrice, che diamine, un fiore di professionista, e poi sa che sta aspettanto Muhammar al Saadi al Gheddafi, il figlio del colonnello, un capo di stato. Neanche a lei capita tutti i giorni di cenare con un potente così potente (e al tempo Carla Bruni non aveva ancora deciso di fidanzarsi «con uno che ha la bomba atomica», come avrebbe dichiarato alle sue amiche). Bene, ora il giovane Gheddafi fa il suo ingresso nel locale, si siede al tavolo con la bellissima, le prende le mani e comincia a parlarle. I due parlano fitto fitto, non toccano cibo, lui le tiene le mani e la guarda fisso negli occhi, sa che il suo sguardo magnetico è irresistibile. Ma poi… colpo di scena. Trascorso un quarto d’ora lui si alza e se ne va. Lei resta di nuovo sola al centro della stanza, basita. Fine della parte veneziana della storia.

Ma non è un addio, è un arrivederci, per l’epilogo bisogna aspettare ancora un po’. La Libia non ospiterà i Mondiali di calcio del 2010, nel frattempo assegnati al Sudafrica, ma un’amichevole tra la nazionale di Tripoli e quella australiana si può sempre fare. È il febbraio 2005 quando un Boeing 747 (quasi seicento posti) atterra in Australia. A bordo ci sono la nazionale libica, i tecnici e gli accompagnatori, tra i quali Saadi che della nazionale è capitano, anche se non gioca, ufficialmente per un mal di schiena. In tutto non arrivano a essere cento. L’aereo rimane più giorni a disposizione, fermo sulla pista; la squadra è impegnata in un tour sportivo di un paio di settimane, dopodiché riparte, ma al Saadi decide di prolungare la sua vacanza australiana.

The Interpreter, il film che la Kidman doveva presentare a Sydney
Nicole Kidman il 4 aprile deve essere nella celeberrima Opera House di Sydney per la prima mondiale del suo ultimo film, The Interpreter, di Sydney Pollack, con Sean Penn. Qualche sera prima si vede con il giovane Gheddafi nel ristorante all’hotel InterContinental di Sydney. La motivazione ufficiale è che lui deve discutere con lei di interventi libici nel campo cinematografico. La notizia dell’incontro, naturalmente, trapela. “Al Saadi, 31 anni, ha bevuto e cenato con l’attrice premio Oscar, 37, durante un incontro privato all’ultimo piano dell’hotel InterContinental, per parlare della capacità di investimento dell’industria cinematografica australiana. In un primo momento [Saadi] aveva pensato di cenare della Suite di Stato, l’ha affittata al costo di quindicimila dollari australiani (otto mila euro) e l’ha decorata con fiori freschi e candele, ma poi ha optato per il ristorante al trentunesimo piano”. Cosa sia accaduto durante la cena (e se ci sia stato un dopocena) non si sa, ma lei smentisce decisamente qualsiasi intepretazione malevola: «Pure business», precisa. I giornali australiani parlano di cena romantica, ma lei replica: «La mia posizione di donna single è molto difficile da sostenere», comunque con il giovane Gheddafi ha parlato «solo di affari». La portavoce dell’attrice è ancora più decisa: Nicole Kidman non ha avuto alcuna cena romantica con il figlio del colonnello Gheddafi. «Io ero lì», precisa, «non ci poteva essere niente di romantico con me presente. Non c’erano né candele né fiori, lei non ha nemmeno cenato. Ha solo bevuto un sorso di champagne, si è trattato di un meeting d’affari». In effetti il pretesto c’è, al Saadi, oltre che calciatore e capitano della nazionale, è anche presidente del World Navigator Entertainment, una società che investe nei film western.

La notizia dell’incontro australiano tra il bel tenebroso al Saadi e la splendida diva viene diffusa in tutto il mondo, come detto, raggiunge quindi anche la Libia e soprattutto un personaggio che finora non è intervenuto in questa storia: la moglie di al Saadi, Amira, 30 anni; la coppia inoltre ha un figlio, Mohamed di due anni, e una figlia Safiya, nata a Perugia, di neanche un anno. La signora non è una ragazza qualsiasi, è la figlia di un commilitone della prima ora di Gheddafi, di un rivoluzionario che ha partecipato al colpo di stato assieme al colonnello. Il matrimonio tra i loro due figli è una specie di matrimonio di stato che sancisce l’unione tra clan potentissimi. La giovane, ingelosita, fa una piazzata e pare addirittura che lasci il tetto coniugale. A questo punto interviene il suocero che va dal padre e lo convince a ridurre il figlio a più miti consigli. Il colonnello capisce che in ballo c’è ben di più che una crisi coniugale e richiama il giovane scavezzacollo in patria. Gli ordini di quel papà, come detto, sono di quelli che non si possono disubbidire.
Fine della storia.

Il libro e il suo autore:

Venezia degli amanti, Marco Tropea Editore, 2010
Alessandro Marzo Magno

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