Ora non è più solo una questione di crisi greca. Con la scusa di Atene, l’Unione europea ha perso la bussola. Dalla tragedia greca alla farsa europea, si potrebbe dire, dato il triste spettacolo che l’Ue sta mettendo in scena in queste ultime due settimane. L’appuntamento di oggi doveva essere, almeno nelle intenzioni di Berlino, il punto di svolta della crisi dell’eurodebito. Invece, sarà già ricordato come l’ennesima occasione in cui prendere tempo. Per ora non v’è certezza sui tre punti cruciali per il futuro dell’euro: ammontare del piano di ricapitalizzazione delle banche europee, dotazione totale del fondo salva-Stati European financial stability facility (Efsf) e destino di Atene. Solo laconiche dichiarazioni d’intenti, come quelle italiane in merito alle riforme strutturali richieste dal Bruxelles all’Italia.
Non c’è accordo su nulla. Sebbene la camera bassa del Parlamento tedesco abbia approvato a maggioranza la possibilità del fondo Efsf di usare la leva finanziaria, non è ancora chiaro come potrà aiutare le nazioni in difficoltà, né a quanto ammonterà nella sua versione definitiva. «Comunicazioni riguardo a questo aspetto ci saranno solo a fine novembre», ha detto un alto funzionario della Commissione Ue all’agenzia di stampa Dow Jones. Quindi, nemmeno al G20 di Cannes, programmato per la prossima settimana, ci sarà una soluzione concreta.
Ancora più complicata la situazione relativa al fallimento della Grecia. Archiviata la possibilità di salvare Atene tramite il bailout del maggio 2010 (110 miliardi di euro), la troika composta da Banca centrale europea (Bce), Fondo monetario internazionale (Fmi) e Commissione Ue sta optando per la gestione del default. Nella notte sono infatti continuate le trattative fra la lobby bancaria Institute of international finance (Iif), il governo ellenico e le istituzioni internazionali per la ristrutturazione del debito greco. Dimenticato il vertice del Consiglio europeo del 21 luglio scorso, quando era stato approvato un secondo bailout da 109 miliardi di euro, ora a tenere banco è la struttura che dovrà essere in grado di contenere gli effetti del fallimento della Grecia. Come spiegato dalla Banca dei regolamenti internazionali nel suo ultimo rapporto sulle banche internazionali, la Francia è esposta per circa 90 miliardi di dollari sulla Grecia, mentre la Germania, il secondo Paese creditore a livello europeo, per 29 miliardi. Su un ammontare di debito pubblico di circa 365 miliardi di euro, secondo gli ultimi dati del Fmi, è facile capire come mai sia proprio Berlino a pressare per una pesante ristrutturazione greca. Parigi continua invece a invocare un progetto più articolato, in grado di garantire alle banche francesi un salvagente tramite il fondo Efsf.
La lobby bancaria Iif ha fatto un’offerta nella notte, ma non è abbastanza. Secondo fonti bancarie, il pacchetto messo sul piatto dall’Iif, presieduta dal numero uno di Deutsche Bank, Josef Ackermann, prevede un haircut, cioè una svalutazione sul valore nominale delle obbligazioni elleniche, compresa fra il 50% e il 55 per cento. Ovvero molto meno di quanto occorrerebbe ad Atene per una riduzione sostenibile del proprio debito pubblico, come evidenziato dal report che Linkiesta ha pubblicato sabato scorso. Ma molto vicino a quanto rivelato da un alto funzionario della Bce a Linkiesta il 30 settembre scorso. Il presidente dell’Eurogruppo, il lussemburghese Jean-Claude Juncker, ha ammesso che «le trattative non saranno brevi e non si può escludere nessuna opportunità». Del resto, era già stato un funzionario tedesco della Commissione Ue a sottolineare come «una partecipazione non volontaria dei creditori della Grecia nell’accordo sul debito non può essere esclusa». In altre parole, sarebbe lo scenario peggiore, quello del fallimento più devastante.
Tutto sembra andare verso il peggio. Da un lato l’Ue ha sottolineato tutta la sua inefficacia nella gestione delle criticità finanziarie che deve affrontare. Il balletto tra Francia e Germania sul destino di Atene continua a innervosire i mercati finanziari e rischia di procrastinare il futuro stesso dell’eurozona. Oggi il cancelliere tedesco Angela Merkel ha sottolineato che «i trattati Ue devono essere riformati». In molti osservatori hanno visto in questa dichiarazione l’apertura ufficiale a una possibile espulsione dei Paesi che non riusciranno a rispettare i parametri europei di debito e deficit, proprio come la Grecia.
A soffrire in questo clima d’incertezza è anche l’Italia, ormai considerata a livello universale come la grande malata d’Europa. Le pressioni dell’Ue verso Roma non termineranno se non in presenza di un concreto piano di rientro della spesa pubblica e di stimoli alla crescita economica, il punto più debole del nostro Paese. Nel prossimo anno andranno in scadenza e dovranno essere rifinanziati circa 800 miliardi di euro, quasi la metà dell’intero stock di debito pubblico. «A questo tassi d’interesse, è già così insostenibile farlo», ha sottolineato stamattina la banca statunitense J.P. Morgan in una nota ai clienti istituzionali. E non è un bel segnale, né per l’Italia né per l’Europa.