La Grecia sprofonda sempre più verso il baratro del default sovrano. Dopo gli ultimi dati sullo stato della finanza pubblica ellenica, è difficile che si proceda con il secondo piano di salvataggio, approvato durante il Consiglio europeo dello scorso 21 luglio. Il rapporto debito/Pil, secondo il Governo greco, toccherà quota 172,7% nel 2012, in netto aumento rispetto al 161,8% previsto per quest’anno. Come se non bastasse, ieri il ministro delle Finanze Evangelos Venizelos ha comunicato che «si è resa necessaria una revisione al rialzo per il deficit 2011». Dalla stima di un rapporto deficit/Pil del 7,8% il dato è stato portato all’8,5%, pari a 18,6 miliardi di euro. Analogo il trend per la crescita economica: nel 2011 ci sarà una contrazione del 5,5% (contro una stima del 3,8%) mentre per il 2012 sarà del 2,5 per cento. A questo punto, la domanda che tutti si pongono è quando fallirà Atene?
Il piano di sostegno finanziario alla Grecia varato nel maggio 2010 aveva dei paletti precisi. Il programma triennale da 110 miliardi di euro aveva come assunto che il debito pubblico toccasse quota 150% del Pil nel 2013. Dall’Eurogruppo, la riunione informale del ministri europei delle Finanze, il commissario Ue agli Affari economici e monetari, Olli Rehn, ha spiegato che «è probabile che la Grecia non raggiunga gli obiettivi di bilancio previsti». Facile prevederlo. Non è infatti la prima volta che Atene manca il target concordato con la troika composta da Fondo monetario internazionale (Fmi), Commissione Ue e Banca centrale europea (Bce). Ogni tre mesi i funzionari di queste tre istituzioni si recano in Grecia e controllano l’avanzamento dei lavori, prima di decidere se elargire o meno le tranche del prestito. Ora è il turno del sesto lotto da 8 miliardi di euro, funzionale per garantire al Governo ellenico il pagamento di stipendi e pensioni. E nel frattempo il debito, ora a circa 360 miliardi di euro, aumenta sempre di più. Del resto, nel 2009 il coefficiente debito/Pil era a quota 115 per cento. Tre anni dopo sarà (almeno) al 172,7 per cento.
La questione che sta tenendo banco in Europa è una sola. Fino a quando Atene dovrà essere aiutata? Da un lato troviamo la linea tedesca, intransigente e perentoria. Dall’altro c’è l’Europa, consapevole che non può permettersi una dipartita della Grecia. In mezzo ci sono le banche europee, le più coinvolte in caso di una ristrutturazione del debito greco ancora più significativa di quella varata il 21 luglio scorso. Berlino sta spingendo per rivedere l’apporto del settore privato nel pacchetto di aiuti da 109 miliardi di euro, approvato due mesi fa. Finora i creditori privati si sono accordati per un intervento da 37 miliardi di euro nel corso del bailout di luglio. Tuttavia, è chiaro che questo risulti insufficiente a frenare l’emorragia greca. E proprio tale aspetto è quello che più impensierisce gli investitori, data l’esposizione delle banche europee, circa 152 miliardi di dollari secondo gli ultimi dati della Banca dei regolamenti internazionali, e il precario stato del consolidamento fiscale ellenico, in costante deterioramento. Il cancelliere dello Scacchiere, George Osborne, ha infatti sottolineato che «l’Europa deve decidere cosa fare con la Grecia e deve farlo entro il prossimo G20 (3-4 novembre 2011, ndr) per evitare un collasso capace di colpire anche il Regno Unito».
Lo scorso venerdì un alto funzionario della Bce ha detto a Linkiesta che sul piatto c’è una «concreta revisione del piano di swap del debito ellenico». In altre parole, gli istituti bancari creditori di Atene non dovranno svalutare il 21%, come suggerito dall’accordo dell’Institute of International Finance (IIF), ma il 75% del valore nominale dei bond greci detenuti in portafoglio. Sebbene il numero uno di Deutsche Bank, Josef Ackermann, abbia garantito che non c’è nessuna revisione in previsione, oggi anche l’agenzia di rating Moody’s ha rimarcato nel suo Weekly Credit Outlook che la svalutazione dovrà essere probabilmente del 60 per cento. Ed è quella la direzione in cui si sta andando. Il nodo su cui sta discutendo l’eurozona è il potenziamento del fondo salva-Stati European financial stability facility (Efsf), attualmente con una dotazione di 440 miliardi di euro. Dietro alla reticenza della Germania c’è la certezza che sarà Berlino a essere in prima linea negli eventuali programmi di salvataggio che l’eurozona dovrà fronteggiare.
Il destino della Grecia è segnato, comunque vada a finire l’attuale review della troika. Nelle sale operative di diverse banche europee continua a girare insistentemente voce che la prossima tranche del pacchetto da 110 miliardi di euro sarà l’ultima. Oggi l’Eurogruppo ha dichiarato che la discussione sull’esborso degli ulteriori 8 miliardi di euro per Atene sarà compiuta durante un meeting straordinario del 13 ottobre, dato che la troika sta ancora ultimando la revisione dei conti pubblici ellenici. Tuttavia, il rischio concreto è che, anche in presenza della sesta tranche, il programma di consolidamento fiscale dei conti pubblici greci sia vano. Del resto, anche il ministro delle Finanze tedesco, Wolfgang Schäuble, ha sottolineato che «senza una piena assunzione di consapevolezza del piano concordato con la troika da parte di Atene è difficile che si possa procedere». Come dire, ora basta.