Stavolta Claudio Scajola e Beppe Pisanu non c’entrano. A sfilare altri due parlamentari alla maggioranza di Silvio Berlusconi potrebbe essere la Corte Costituzionale. Una settimana fa la Consulta ha colmato un vuoto legislativo del nostro ordinamento, stabilendo l’incompatibilità tra le cariche di sindaco e parlamentare. E così entro qualche giorno una decina di deputati e senatori potrebbero essere costretti a scegliere tra la poltrona a Roma e quella sul territorio. Con loro anche i parlamentari presidenti di Provincia. In almeno due casi la decisione potrà avere serie conseguenze sulla tenuta della maggioranza. Al posto di un paio di esponenti del Pdl sono pronti a subentrare due fedelissimi finiani. Abbastanza per minare la sempre più precaria stabilità parlamentare del governo.
La vicenda risale a una settimana fa. Venerdì scorso la Consulta ha depositato una sentenza che – modificando la legge 60 del 1953 – stabilisce l’incompatibilità tra l’incarico di sindaco di un comune con oltre 20mila abitanti e il ruolo di parlamentare. Un principio già previsto dalla legge. Ma che in passato si è prestato ad ambigue interpretazioni. La norma, infatti, pur vietando ai primi cittadini di candidarsi per il Parlamento, non imponeva il contrario. Mancava l’espresso divieto per deputati e senatori di candidarsi alle elezioni amministrative. Un difetto formale che – specie negli ultimi anni – ha permesso a tanti parlamentari di collezionare poltrone.
La Giunta delle elezioni della Camera non ha potuto far altro che prendere atto della decisione della Corte. Autorizzando la proposta del presidente, il Pd Maurizio Migliavacca, di dare il via a un’istruttoria sui deputati dal doppio incarico. Giovedì prossimo il comitato ristretto della Giunta si riunirà per stabilire se la sentenza della Consulta è immediatamente esecutiva. E, nel caso, per chiedere ai parlamentari interessati di scegliere quale carica vogliono mantenere. Procedura estesa anche ai deputati presidenti di provincia. Parallelamente si muoveranno anche gli organi di Palazzo Madama.
I sindaci-parlamentari a rischio decadenza sono undici. Tutti della maggioranza. Nove esponenti del Popolo della libertà e due leghisti. Nord, Sud, Centro, ce n’è per tutti i gusti. Dal primo cittadino di Mazzara del Vallo Niccolò Cristaldi, a quello di Brescia Adriano Paroli. Ma i casi che hanno già messo in agitazione i vertici pidiellini sono due: quelli del senatore Raffaele Stancanelli e del deputato Giulio Marini. Sindaci, rispettivamente, di Catania e Viterbo. Se gli organi parlamentari riconoscessero efficacia immediata alla sentenza della Corte costituzionale, gli interessati sarebbero obbligati a scegliere quale incarico conservare e quale lasciare. I berlusconiani tremano: qualora i due optassero per la poltrona di sindaco, a sostituirli in Parlamento finirebbero due futuristi.
Al Senato il primo dei non eletti del Pdl nella circoscrizione Sicilia è Nino Strano. I più si ricordano di lui per la festa di dubbio gusto con cui nel 2008 celebrò la caduta del governo Prodi. Insieme al collega Domenico Gramazio si era lasciato andare ad una celebrazione conviviale a base di spumante e fette di mortadella. Il tutto all’interno dell’Aula di Palazzo Madama. Deputato regionale siciliano, recentemente Strano è passato a Futuro e Libertà. Se Stancanelli rinunciasse al seggio da senatore sarebbe lui a subentrare. Un voto in più per l’opposizione. Che rischia di diventare decisivo quando a novembre arriverà a Palazzo Madama il decreto sviluppo.
Più complessa la situazione alla Camera. Occhi puntati sul Lazio. Tra gli eletti nella circoscrizione XVI, ci sono addirittura due deputati a rischio decadenza. Si tratta di Antonello Iannarilli, presidente della provincia di Frosinone e Giulio Marini, sindaco di Viterbo. Uno dei sostituti sarebbe Giuseppe Mochi. Tredicesimo posto nella lista presentata dal Pdl alle elezioni del 2008. Anche lui passato da circa un anno a Futuro e Libertà.