La metalmeccanica italiana è già pronta al dopo-Fiat

La metalmeccanica italiana è già pronta al dopo-Fiat

Prosegue il “viaggio” de Linkiesta nella manifattura italiana, che nella sua sesta tappa tocca il comparto metalmeccanico. Troppo spesso erroneamente identificato con l’industria automobilistica, che sviluppa circa il 5% del valore aggiunto generato complessivamente, il settore metalmeccanico annovera al proprio interno una pluralità di segmenti produttivi (tra cui navalmeccanica, aeronautica, macchine utensili,  elettronica, informatica, elettromeccanica, impiantistica), organizzati in tanti casi per distretti.

L’industria metalmeccanica, che oggi conta circa 60 mila imprese attive, riveste anche in Italia un ruolo particolarmente rilevante in termini di occupazione, valore aggiunto e scambi internazionali: rappresenta circa il 7% della ricchezza prodotta nel Paese, il 42% del valore aggiunto dell’intero settore manifatturiero, poco meno del 50% dell’export italiano e con i suoi 1,9 milioni di addetti vale l’8,3% circa dell’occupazione italiana. Gli ultimi anni, più che per altri comparti, sono stati davvero complicati per l’industria metalmeccanica; il 2009 ha costituito certamente l’anno più drammatico, con una diminuzione della produzione del 27%, del valore aggiunto di circa il 22% ed una perdita di forza lavoro pari a circa 300 mila unità.

I segnali particolarmente positivi emersi nel 2010 sono proseguiti anche nei primi mesi del 2011, ma, come indicano pure i dati elaborati da Federmeccanica, l’attività produttiva metalmeccanica, pur confermandosi positiva, è in forte rallentamento rispetto ai risultati evidenziati nel corso del 2010: la crescita in termini di volumi dei primi 6 mesi è stata attorno al 2% e, se tale dato dovesse essere confermato anche nella seconda parte dell’anno, rimarrebbero irraggiungibili i volumi realizzati prima della fase recessiva.

Nello stesso tempo permangono forti tensioni sul mercato del lavoro, nonostante si sia assistito, tra la fine del 2010 ed i primi mesi del 2011, ad un calo generalizzato nel ricorso ai diversi strumenti di ammortizzazione sociale. Emblematico il caso lombardo, dove, stando ai dati dell’osservatorio regionale di Fim-Cisl relativi al primo semestre 2011, a fronte di 1.929 aziende che permangono in difficoltà e 39.563 lavoratori in cassa integrazione e mobilità, sono state ben 816 le aziende che hanno attivato nuova cassa straordinaria, per 15.368 lavoratori. «Rispetto alla cassa integrazione ed agli altri strumenti di ammortizzazione sociale – precisa Sandro Pasotti della FIM-Cisl nazionale – bisogna considerare che il quadro andatosi a delineare è in parte diverso da quello che si era formato durante le fasi più acute della crisi, perché ora chi vi ricorre non lo fa solo per cali di produzione ma anche per ristrutturare e riposizionarsi sul mercato».

(Flickr – zic photos)
Rispetto ai diversi distretti, come evidenziato dall’ultimo “Monitor dei distretti” di Intesa Sanpaolo, il ranking realizzato sulla base del cumulato di ore autorizzate nei primi otto mesi del 2011 vede al primo posto il settore della fabbricazione di macchine e apparecchi meccanici (compresi gli elettrodomestici), con un monte ore autorizzate pari a 25,5 milioni. Scendendo nel dettaglio, troviamo al quarto posto nel ranking, il distretto delle macchine tessili e per materie plastiche di Brescia, con un monte ore Cig gennaio-agosto 2011 pari a 4,8 milioni. La Cassa straordinaria mostra in questo distretto un peso prossimo al 70% e una crescita del 107,6% sul corrispondente periodo 2010. Segue, a breve distanza, la metalmeccanica di Lecco, con 4,3 milioni di ore autorizzate – il 62% di CIGS. Sotto i 3 milioni di ore CIG autorizzate nei primi otto mesi dell’anno, i restanti distretti della meccanica, quali (tra i primi 30 distretti del ranking nazionale) le macchine agricole di Reggio Emilia e Modena, gli elettrodomestici della “Inox Valley”, le cappe aspiranti ed elettrodomestici di Fabriano, la meccanica strumentale di Varese e di Vicenza, i frigoriferi industriali di Casale Monferrato.

Ciò nonostante, a livello di singoli settori vi sono segnali incoraggianti. L’industria elettrotecnica ed elettronica, che occupa circa 380.000 addetti, nel 2010 è tornata a crescere (+4,9% sul 2009), realizzando un fatturato complessivo pari a 56 miliardi di euro (di cui 26 miliardi di esportazioni) ed un saldo attivo della bilancia commerciale per circa 800 milioni di euro. Secondo le elaborazioni di Anie – la federazione aderente a Confindustria che rappresenta le imprese elettrotecniche ed elettroniche italiane – dopo l’accentuata flessione evidenziata nel 2008 e 2009, il volume d’affari aggregato delle due macroaree – elettrotecnica ed elettronica – ha mostrato andamenti sostanzialmente allineati: l’elettronica ha registrato la variazione positiva più sostenuta del fatturato aggregato (+5,9% nel 2010 a fronte di una corrispondente flessione del 18,3% nel 2009). Anche l’elettrotecnica, l’area che negli ultimi anni aveva sostenuto maggiormente la crescita settoriale, è ritornata in territorio positivo: +4,3% la variazione del fatturato aggregato nel 2010 (-13,6% la corrispondente variazione nel 2009), per un valore complessivo pari a oltre 36 miliardi di euro.

Nel 2010 il contributo più significativo alla ripresa dell’industria elettrotecnica ed elettronica italiana è stato fornito dal canale estero, dopo la battuta d’arresto indotta dalla caduta dei flussi commerciali mondiali nell’anno precedente: oltre il 45% del giro d’affari complessivo origina dalle vendite oltreconfine, una quota destinata ad aumentare nei prossimi anni per effetto dei crescenti fenomeni di riposizionamento competitivo sui mercati esteri. Tutto ciò si è tradotto a fine 2010 in un incremento complessivo dell’export settoriale a due cifre (+10,5% rispetto all’anno precedente). Anche nel primo semestre del 2011 l’industria elettrotecnica ed elettronica italiana ha mantenuto il percorso di recupero delle perdite subite nel biennio 2008-09, facendo registrare una crescita del volume d’affari aggregato del 5,0%, sostanzialmente allineata alle tendenze espresse nel 2010. Dopo la vivace performance settoriale evidenziata a inizio anno, nel secondo trimestre del 2011 sono emersi tuttavia alcuni segnali di rallentamento. Resta il fatto che a fronte di un mercato domestico condizionato da scarsa vivacità degli investimenti infrastrutturali in mercati strategici come l’energia, i trasporti e le comunicazioni, nonché dalla profonda crisi del settore delle costruzioni, è ancora prevalentemente l’export a sostenere il cammino di uscita dalla crisi delle imprese del settore, seppure a un tasso di crescita più contenuto rispetto a quello sperimentato nel 2010 (+7,0% l’aumento su base annua nei primi sei mesi dell’anno in corso). È in particolare l’elettrotecnica a mostrare un passo più deciso anche sul fronte estero (+8,0% la variazione delle esportazioni nel confronto con il corrispondente periodo del 2010), grazie al prosieguo degli investimenti sulle reti infrastrutturali nei mercati più dinamici.

(Flickr – reportergimmi)
L’export si riconferma motore della meccanica italiana anche nei principali distretti, dove proprio la vocazione all’internazionalizzazione ha consentito ad alcuni di questi di recuperare quanto perso nel corso della crisi del biennio 2008-2009. Cruciale per la ripresa del comparto è stato il buon andamento delle vendite sui mercati emergenti, che hanno espresso una crescente richiesta di beni di investimento e la ripartenza dei mercati tradizionali, su tutti la Germania. Il distretto delle macchine per imballaggio di Bologna, che nel 2010 ha esportato 1,7 miliardi di euro, ha visto crescere addirittura del 29,1% l’export nei primi 6 mesi del 2011 grazie in particolare alle vendite realizzate sul mercato cinese; nel distretto della meccanica strumentale di Vicenza l’export ha avuto un balzo del 42,6 rispetto al 2010; ancora meglio stanno andando le cose per il distretto delle macchine per le materie plastiche e tessili di Brescia, dove le esportazioni nel primo semestre sono state superiori addirittura del 54,5 sullo stesso periodo del 2010. A trainare le esportazioni del distretto bresciano sono soprattutto i primi tre mercati di sbocco – Cina, Turchia, Brasile – ma anche mercati maturi come Germania e Stati Uniti.

Si osservano inoltre performance brillanti, con tassi di crescita a due cifre, nella componentistica e termoelettromeccanica friulana (grazie soprattutto al buon andamento sui mercati cinese, egiziano e saudita), nella termomeccanica scaligera (sostenuta dal buon andamento delle vendite sui due primi mercati di sbocco: Germania e Francia), nella metalmeccanica di Lecco (trainata dall’ottima performance registrata in Germania). e nelle macchine per l’imballaggio di Bologna. Queste ultime sono trainate dall’ottimo andamento delle vendite sul mercato cinese, divenuto primo mercato dell’area. Tassi di crescita a due cifre si osservano anche per il distretto delle macchine agricole di Modena e Reggio Emilia (+ 15,8%), che ha evidenziato un recupero sui principali mercati di sbocco, Stati Uniti e Francia in primis, anche se sono ancora lontani i numeri pre-crisi.

Che la crescita di alcuni comparti della produzione meccanica stia proseguendo emerge anche dall’osservatorio di Ucimu – associazione dei costruttori di macchine utensili, robot ed automazione – per il cui Presidente Giancarlo Losma «continua l’ottima performance della domanda straniera ma è il risveglio della domanda interna il dato interessante che emerge dalla rilevazione di questo trimestre. L’inversione di tendenza, in un momento così incerto, fa ben sperare per il prossimo futuro ed è un’ottima base da cui ripartire dopo l’arresto degli investimenti in beni strumentali avvenuto nel 2009».

L’indice degli ordini di macchine utensili, nel terzo trimestre del 2011, ha registrato un incremento del 58,2% rispetto al periodo luglio-settembre 2010, per un valore assoluto pari a 73,9 (base 2005=100). Si allunga così il trend positivo del 2010 – che ha chiuso con un fatturato pari a 3,8 miliardi di euro di fatturato – consolidando la ripresa dell’industria italiana di comparto che, come emerge dalla rilevazione, raccoglie riscontri positivi sia sul mercato interno che estero. Per la prima volta, infatti, dopo quattro trimestri consecutivi di calo, l’indice degli ordini raccolto sul mercato interno torna a crescere, segnando un incremento del 96,8%. Ottima la performance della domanda espressa dal mercato estero ove la raccolta ordinativi marca un incremento del 32,3%, rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, per un valore assoluto pari a 114,3. Nei primi sei mesi dell’anno le esportazioni di macchine utensili sono cresciute del 27,8% rispetto allo stesso periodo del 2010, in particolare in Germania (+67,3%), che torna a essere il primo mercato di sbocco della produzione italiana di macchine utensili. In leggero calo le vendite in Cina (-1,3%), di segno positivo le consegne destinate a Stati Uniti (+100,9%), Francia (+6,3%), Brasile (+63,4%), India (+40%), Russia (+8,7%), Turchia (+113,1%).

Per Losma, «alla luce di questi dati i costruttori chiedono l’immediato intervento delle autorità di governo affinché possa essere ripristinata l’operatività che fino a qualche mese fa era garantita da Ice. L’export assorbe attualmente oltre il 60% della produzione italiana di settore, per questo abbiamo bisogno del supporto di un’agenzia autonoma che affianchi le aziende impegnate nell’attività di internazionalizzazione, oggi la più remunerativa per i costruttori».

La catena di montaggio dell’Alfa Romeo MiToIl cantiere navale Fincantieri di MonfalconeLa AnsaldoBreda
A fronte di segmenti produttivi che marciano più o meno spediti verso un recupero delle posizioni pre-crisi, ve ne sono però altri che versano in condizioni preoccupanti. L’allusione non è solo al mercato dell’auto ed a Fiat in particolare, dove più che la congiuntura sfavorevole, pesa l’effetto combinato di un deficit di politica industriale settoriale e di una vision aziendale di respiro. Il riferimento è alla crisi sempre più pesante dell’industria navalmeccanica e di quella ferrotranviarie, due “nicchie” di eccellenza invidiate nel mondo. In entrambi i casi il calo della produzione nei primi 6 mesi del 2011 è stato, rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, attorno al 25%.

«L’industria cantieristica navale italiana – sottolinea Pasotti – soffre del netto ridimensionamento della domanda armatoriale – che dal 2007 al 2010 è crollata del 55% – ma anche di una concorrenza extraeuropea sempre più forte». Va detto che infatti ormai l’80% della produzione mondiale è concentrata in Cina e Corea, che da alcuni anni devono fare i conti India e Brasile. In questo contesto la navalmeccanica europea appare ormai di fatto estromessa dal grande mercato delle navi da trasporto, potendo contare, grazie alle produzioni di nicchia ad elevata tecnologia, solo su una quota marginale di mercato, di per sè insufficiente a saturare la capacità produttiva dei cantieri ancora localizzati tutti in Europa: Italia, Germania, Francia, Finlandia. In Italia Fincantieri, erede della grande tradizione italiana in campo navale e uno dei maggiori gruppi esistenti al mondo, attivo nella progettazione e costruzione di navi mercantili e militari e controllato da Fintecna, ha chiuso i suoi ultimi due bilanci in rosso: 64 milioni di perdita nel 2009 e 124 l’anno scorso. Il piano industriale messo a punto negli scorsi mesi, che prevedeva la definitiva chiusura dei due cantieri di Sestri Ponente e Castellammare di Stabia, il forte ridimensionamento di quello di Riva Trigoso (Genova) con il trasferimento delle costruzioni militari a Muggiano (La Spezia) ed esuberi per ben 2551 lavoratori su 8.300, è stato accantonato. Dall’ultimo incontro della scorsa settimana al ministero dello Sviluppo Economico, sarebbe emersa la disponibilità del Governo a mettere in campo forme straordinarie di ammortizzazione sociale, mentre Fincantieri avrebbe confermato il progetto di fare del cantiere di Sestri Ponente un polo dedicato alla manutenzione delle grandi navi nel nuovo superbacino galleggiante del porto di Genova ed alla realizzazione di progetti innovativi, come la costruzione di piattaforme galleggianti per lo smaltimento di rifiuti, la creazione di un polo dell’off-shore e progetti su parchi eolici marini.

Per ciò che riguarda invece l’industria ferrotranviaria, il trend di decrescita dei ricavi di settore dura da diversi anni, provocato dalla consistente contrazione del mercato interno, solo in parte compensata dall’aumento dell’export, rivolto in particolare verso i paesi del Nord Africa e del Medio Oriente. Differentemente da altri comparti industriali, che operano in condizione di saturazione di mercato, il mercato potenziale dell’industria ferroviaria è enorme, ma purtroppo non può esprimersi compiutamente a causa di investimenti pubblici sempre meno indirizzati allo sviluppo delle reti ferrotranviarie. Si spiegherebbe anche così l’ipotesi che circola da mesi di una imminente cessione, da parte di Finmeccanica, di Ansaldo Breda (produttrice di treni ad alta velocità, elettrotreni a due piani e convogli per metropolitane) e della partecipazione in Ansaldo Sts (leader mondiale nella costruzioni di treni e linee metropolitane). Nel caso di Ansaldo Breda si tratta di una azienda italiana di lunga tradizione nel ferroviario, oggi articolata negli stabilimenti di Napoli, Pistoia, Reggio Calabria e Palermo, con divisioni operative all’estero e che conta circa 2400 dipendenti. Da questa impresa sono nati i treni alta velocità per Danimarca, Belgio, Olanda, così come i convogli della metropolitana di Taipei.

Per Ansaldo Breda, che ha chiuso il 2010 con una perdita di 70 milioni di euro, ha bruciato 800 milioni in sei anni e nonostante le difficoltà pare disponga di un portafoglio ordini di 3 miliardi, potrebbero aprirsi le porte della cessione a gruppi internazionali – Alstom e General Electric in primis – che hanno già manifestato interesse per l’azienda. «Dovesse essere questa la prospettiva – sottolinea Pasotti – , si tratterà di capire anche in questo caso se dietro gli appetiti di grandi gruppi industriali esteri c’è una strategia industriale tesa a rafforzare l’azienda come noi auspichiamo, o invece semplicemente un investimento mordi e fuggi».

Incidenza del valore aggiunto del settore metalmeccanico sul totale dell’industria e come il settore è diviso (fonte: Federmeccanica,Istat)

Import ed export del settore metalmeccanico nel 2010 (fonte: elaborazione Federmeccanica su dati Ice-Istat)

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