«Mamma mia che giornataccia». Un commesso di Montecitorio si lamenta così, lo sguardo incredulo, con un collega. È da poco passata l’una, i due sono appena usciti dal ristorante della Camera dove hanno accompagnato il deputato leghista Fabio Rainieri. Meglio, scortato. L’esponente del Carroccio è stato letteralmente placcato pochi istanti prima in Transatlantico mentre cercava di aggredire – visibilmente innervosito, senza giacca e con la camicia fuori dai pantaloni – il futurista Claudio Barbaro.
Mentre il presidente del Consiglio parte alla volta di Bruxelles per presentare all’Europa il piano italiano contro la crisi, in Parlamento va in scena una rissa d’altri tempi. A scatenare la dura reazione della maggioranza è la partecipazione di ieri sera del presidente della Camera Gianfranco Fini alla trasmissione tv Ballarò. Le allusioni alla moglie del leader leghista Umberto Bossi «andata in pensione nel 1992 a 39 anni» non sono andate giù ai deputati del Carroccio. Così stamattina, in apertura di seduta, il capogruppo Marco Reguzzoni prende la parola per condannare il comportamento dell’ex delfino di Almirante. L’accusa non è nuova: per gli uomini del Senatur la partigianeria di Fini è ormai «incompatibile» con la carica che rappresenta.
Dai banchi della Lega si alza il coro: «Dimissioni, dimissioni». Tanto basta ad accendere la miccia. Dai vicini scranni occupati dai deputati di Futuro e Libertà prende la parola Italo Bocchino. «È quello il momento in cui il battibecco si fa veramente serio» ricorda la scena poco dopo uno dei presenti. I parlamentari padani gridano, insultano. Il futurista Fabio Granata («uno ben piazzato eh…») si alza e inveisce contro Alessandro Montagnoli. Barbaro gli dà manforte e aggredisce Rainieri. «Un bel coraggio» ridacchiano i leghisti a fine seduta. Rainieri non è propriamente un fuscello, «anzi, è il nostro contadino». Titolare di un’azienda agricola in Emilia, raccontano in Transatlantico, «è uno grosso, uno che sposta le vacche con le braccia».
Rosy Bindi, presidente pro tempore dell’Aula è costretta a sospendere la seduta. Quando riprendono i lavori si presenta Gianfranco Fini. Lo accoglie il solito coro leghista: «Dimissioni, dimissioni». Si apre il dibattito. Le crisi finanziaria è lontana, a Montecitorio gli interventi sono tutti incentrati sulla trasmissione di ieri sera. Le opposizioni difendono il presidente della Camera. Il Pdl chiede l’intervento di Giorgio Napolitano. «Investiremo il Quirinale del caso» annuncia il capogruppo berlusconiano Fabrizio Cicchitto. Ogni intervento è accompagnato dalle grida dei più scalmanati. L’offesa più gettonata? «Venduto». Ma anche «Traditore» va per la maggiore. Ne fanno le spese in particolare l’ex futurista Silvano Moffa e l’ex Pdl Santo Versace. Entrambi passati più o meno recentemente dall’opposizione alla maggioranza e viceversa.
Un gruppo di commessi è costretto a schierarsi tra i banchi di Fli e della Lega. Creando un cordone di sicurezza. Dall’alto di un tribuna una scolaresca assiste alla scena tra il perplesso e il divertito. Al termine del dibattito Fini chiude la seduta, non prima di un’ulteriore frecciatina. «Non è questa la sede in cui il presidente della Camera può rispondere – chiarisce all’Aula – Saranno altre le sedi in cui, se lo riterrò opportuno, eserciterò il mio diritto di replica». Scoppia il caos. Il leghista Rainieri si lamenta con un commesso: a suo dire Barbaro e Di Biagio (un altro deputato futurista) non la smettono di minacciarlo. Poi passa alle vie di fatto. Tenta di farsi giustizia nei pressi del Transatlantico, all’uscita dell’emiciclo. Per fermarlo serve l’intervento di sette commessi.
Una mattinata di follia che per qualcuno non sarà inutile. «Non scriva che lo dico io – rivela un deputato della Lega in cortile – ma proprio oggi che il premier è a Bruxelles questa situazione ci ha offerto un bell’assist per spostare l’attenzione dei media».