Un’azione legale per cacciare gli indignados. La City, insieme alla Cattedrale di St. Paul, ha deciso di intentare una causa contro i manifestanti che, dallo scorso 15 ottobre, stanno occupando con le tende le vie attorno alla celebre chiesa nel centro di Londra.
Il sit-in di Occupy London, che da giorni staziona nelle vicinanze della London Stock Exchange, la borsa di Londra, da una settimana a questa parte ha costretto la chiesa a serrare i battenti: era la prima volta che accadeva dalla fine della seconda guerra mondiale. Si stima che la manifestazione sia costata al luogo di culto circa 20.000 sterline al giorno (circa 22.700 euro) in termini di ingressi mancati.
Ieri, nonostante la riapertura al pubblico della Cattedrale, i manifestanti non hanno abbandonato la zona, mantenendo un presidio di circa duecento tende. Da qui la storica decisione: in una comunicazione ufficiale sul proprio sito internet, St.Paul Cathedral ha infatti annunciato il ricorso al tribunale in decisione congiunta col Comune di Londra: «Abbiamo chiesto ai manifestanti di lasciare pacificamente la zona davanti alla Cattedrale. Questo non è accaduto e quindi, seguendo il consiglio dei nostri avvocati, abbiamo ritenuto necessario procedere per vie legali».
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«La protesta è un diritto essenziale in una democrazia», ha dichiarato Michael Welbank, che ha presieduto la commissione straordinaria riunitasi per valutare la questione, «ma crediamo che campeggiare su strade molto trafficate vada contro i diritti di tutti». Anche il premier inglese David Cameron ha espresso il suo sostegno per l’iniziativa: «Ritengo che la questione vada analizzata in un contesto ampio, abbiamo avuto lo stesso problema sulla piazza del Parlamento. Qui nessuno mette in discussione la libertà di manifestare: questa libertà non deve però tradursi nella possibilità di piantare tende ovunque a Londra».
Da St. Paul si dicono molto felici della riapertura ai fedeli, mentre il portavoce della Cattedrale ha definito l’azione legale come «una necessità» dopo che i manifestanti avevano rifiutato di liberare le vie circostanti. «La chiesa accoglie questa decisione con grande riluttanza e spera di giungere comunque a una soluzione pacifica. A ogni gradino del percorso legale», ha aggiunto il portavoce, «cercheremo di discutere soluzioni alternative con i manifestanti».
Si tratta probabilmente della prima volta che si verifica una situazione simile. Qualcosa di analogosembrava potesse succederein Spagna lo scorso maggio, quando alcune municipalità avevano chiesto l’annullamento delle manifestazioni, appellandosi a una sentenza del 2008 del Tribunale dell’Andalusia che vietava gli assembramenti in grado di influenzare il voto alla vigilia delle tornate elettorali. In quel caso, però, l’azione legale non si fece. Qualche settimana fa, a San Francisco, è andata allo stesso modo: la Bart (azienda che gestisce i trasporti) ha minacciato – senza mai attuarle – azioni legali contro alcune proteste ritenute diffamanti. Ora sorge spontanea una domanda: potrebbe nascere un pericoloso precedente?