La Banca del Mezzogiorno naviga a vista. Ideato per favorire lo sviluppo di nuove imprese al Sud e aumentare l’occupazione finanziando iniziative imprenditoriali, il progetto del ministro dell’Economia, Giulio Tremonti, non ha ancora una governance e non conosce ancora i nomi degli istituti di credito coinvolti nel Meridione. Le uniche mosse ufficiali vedono protagonista Poste Italiane, l’advisor industriale individuato dal Tesoro per formare la cosiddetta “Banca del Sud”.
Il primo agosto scorso, infatti, il gruppo dell’amministratore delegato Massimo Sarmi ha rilevato ufficialmente il 100% di MedioCredito Centrale da Unicredit per 136 milioni di euro dopo l’autorizzazione di Bankitalia (maggio) e l’ok dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato (febbraio), con la competenza sull’esercizio 2011 all’istituto di Dieter Rampl fino al trasferimento delle azioni.
Tutto il resto è fermo, anche se proprio MedioCredito Centrale (oggi Mcc), di nuovo pubblica dopo la privatizzazione del 1994, ha avviato l’iter per il cambio di denominazione in BdM sotto la guida dell’ad Piero Luigi Montani (ex Antonveneta) e del vicepresidente Andrea Montanino, dirigente generale del ministero dell’Economia.
Siamo dunque ancora alla sigla e, stando a fonti finanziarie, quel che viene dopo è tutto da capire e non è escluso che ci siano soprese all’ultimo minuto. Nei piani del ministero dell’Economia i tempi per chiudere l’assetto della Banca del Mezzogiorno erano più brevi. Si puntava tutto sull’affinità funzionale con Mcc perché specializzato nella gestione di fondi agevolativi e nell’erogazione di credito industriale e agevolato. Sarmi intanto vuole chiudere la partita entro l’anno, ma la trattativa per l’ingresso delle banche di credito cooperative e popolari al momento è ancora aperta.
Due finora le certezze: i tempi operativi sono in mano a Bankitalia (l’ultimo contatto risale a luglio tra Tremonti e il vicedirettore generale Anna Maria Tarantola) e la cabina di regia alle Poste. E Bcc e Popolari? Non si sa ancora se e in quale modo si troverà l’intesa definitiva per farle entrare nell’azionariato, restano intanto alla finestra con forti dubbi su governance e funding. Le Bcc, rappresentate da Federcasse (associazione di oltre 400 banche di Credito Cooperativo e Casse Rurali italiane e riunite in Iccrea Holding) sono in ogni modo ancora nell’orbita. Conterebbero infatti su Augusto dell’Erba, numero due di Federcasse, ma soprattutto presidente del Comitato promotore della Banca del Mezzogiorno. L’organismo però avrebbe perso ampi margini di manovra rispetto alle attese, anche se individuato dalla Finanziaria 2010 per stabilire le regole di governo e in particolare il capitale minimo per l’ingresso dei soci privati.
Le Popolari, invece, attraverso l’Istituto centrale delle banche popolari italiane (Icbpi, tra i soci pure Icrrea) avevano posto due condizioni: controllare insieme alle Bcc fino al 60% della futura BdM e nello stesso tempo inserire nel progetto Cassa depositi e prestiti (70% dello Stato e 30% in mano a fondazioni bancarie) come garanzia all’approvvigionamento dei fondi necessari a finanziare attività aziendali e operazioni finanziarie. La proposta resta in stand-by.
Non lo dicono ufficialmente, ma le frizioni di Bcc e Popolari sarebbero altre: chi manovra il timone, cioè Poste Italiane con Sarmi ora anche presidente del cda di Mcc, non avrebbe esperienza e storia bancaria adeguata per farlo né basterebbero gli ultimi successi della raccolta di BancoPosta. Ma soprattutto, sarebbe questa la resistenza principale, l’acquisto di Mcc avrebbe compromesso una volta per tutte la concorrenza già prima di presentarsi sul mercato.
Con l’accordo, la Banca del Mezzogiorno avrebbe un potenziale “forte” con circa 7500 sportelli e, in particolare, una rete di banche di primo livello col polso sul territorio e una capacità di credito adeguata all’iniziativa. In alternativa Poste Italiane dovrebbe “accontentarsi” di un istituto meridionale più ridotto (4.500 uffici postali), ma nel frattempo il semaforo resta fermo sul rosso su ordine stesso di Bankitalia: in questa fase, come ribadito nella delibera di approvazione dell’acquisto di Mcc, non può concedere prestiti al pubblico attraverso BancoPosta, la società di gestione del risparmio del gruppo.
Stando all’impianto di Tremonti dell’11 marzo 2010, la BdM dovrebbe essere una banca di secondo livello almeno per i primi cinque anni, tempo massimo di permanenza anche per la quota di minoranza dello Stato. L’istituto sarà in vita soltanto se in grado di farsi banca “di garanzia” e consulenza per i clienti e le Pmi delle banche socie, erogare credito agevolato e agrario, valutare il merito di credito per progetti innovativi a lungo termine, raccogliere a medio-lungo termine a condizioni migliori rispetto a quelle dei singoli istituti di credito soci, ampliare il credito alle banche aderenti ed emettere titoli per finanziare progetti infrastrutturali del Mezzogiorno.
La fiscalità agevolata per farlo dovrebbe basarsi sui cosiddetti “Trem-bond”, i titoli di risparmio dal nome del titolare dell’Economia sottoscrivibili per regolamento solo da privati, ma con un prelievo fiscale del 5% anziché del 12,5% rispetto a quello ordinario. Le banche poi, secondo il decreto legge sviluppo del maggio scorso, potranno emettere un massimo di 3 miliardi di euro di titoli, con scadenza minima di 18 mesi e con l’obbligo di spesa nel Meridione. I prestiti alle imprese poi dovrebbero attestarsi su una media di 50mila euro.
La prossima tappa verso la BdM è l’ok di Bankitalia sullo statuto che dovrà essere approvato da via Nazionale nel giro di due mesi. Ma i colpi di scena sull’ingresso all’ultimo minuto di Bcc e Popolari potrebbero cambiare le carte in tavola.
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