A Montecitorio la maggioranza fedele al premier Silvio Berlusconi è sempre più in pericolo. Sono gli effetti collaterali dell’ultimo voto di fiducia. Conseguenze dirette della fuoriuscita dei deputati scajoliani Fabio Gava e Giustina Destro e dei malpancisti Santo Versace e Luciano Sardelli. Quattro defezioni che rischiano di modificare gli equilibri alla Camera. Non tanto in aula, dove l’esecutivo continua ad avere il sostegno di 316 parlamentari. Ma in alcune commissioni, dove il centrodestra è finito in minoranza. Almeno tre le assemblee che i fedelissimi del Cavaliere guardano con preoccupazione. Le giunte per il Regolamento e per le Autorizzazioni, dove l’opposizione controlla la maggior parte dei deputati. E la commissione Attività produttive, dove siedono ben tre dei fuoriusciti.
II primo incidente è avvenuto oggi. Come denunciato dal Pd Andrea Lulli, il ministro per il Turismo Michela Brambilla ha dovuto frettolosamente ritirare la proposta di nomina a presidente dell’Enit di Matteo Marzotto. Troppo alto il rischio di una bocciatura in commissione Attività produttive. Una decisione non da poco, visto che la nomina di Marzotto era arrivata direttamente del presidente del Consiglio. Insomma, come spiega Lulli «l’abbandono della maggioranza da parte di Versace, Gava e Destro inizia ad avere serie ripercussioni sull’attività di governo».
Nei prossimi giorni la maggioranza potrebbe affrontare un nuovo incidente. Il centrodestra è diventato minoranza anche nella giunta per le Autorizzazioni di Montecitorio. Fino a pochi giorni fa Pdl, Lega e Responsabili potevano contare su un ristretto vantaggio: undici deputati contro i dieci di Pd, Idv e Terzo Polo. Dopo l’addio di Fabio Gava, l’equilibrio è cambiato. Adesso la giunta presieduta dal Pd Pierluigi Castagnetti rischia di finire in mano alle opposizioni. E sarà proprio questa assemblea a decidere sulla richiesta di Berlusconi di considerare inutilizzabili le intercettazioni del caso Ruby. E ancora prima sulla richiesta dei pm napoletani di acquisire i tabulati telefonici del deputato Pdl – già in carcere – Alfonso Papa.
Poi c’è la giunta per il Regolamento. Qui l’eventuale passaggio di Gava al Terzo Polo avrebbe conseguenze ancora più negative per il centrodestra. In giunta gli esponenti di Pdl e Lega sono già in minoranza. Quattro deputati contro sette. Il salto della barricata del deputato scajoliano potrebbe far aumentare il margine a favore delle opposizioni di un altro voto.
Tra i berlusconiani qualcuno inizia a porsi il problema. Tanto che alle richieste di dimissioni avanzate ai due scajoliani dai falchi pidiellini, nelle ultime ore si sono aggiunti inattesi messaggi di apertura. Tra i fedeli del Cavaliere c’è chi è rimasto scottato dalla cacciata dei finiani. E adesso non vuole ripetere lo stesso errore. Stavolta in gioco c’è la tenuta della maggioranza. Le colombe del Pdl sono venute allo scoperto. Per Osvaldo Napoli «sarebbe utile approfondire le ragioni che hanno determinato quel dissenso». Il ministro Giancarlo Galan è ancora più esplicito: «Parlare di espulsione mi sembra eccessivo». I due ribelli potranno essere recuperati? Intercettato pochi minuti fa in Transatlantico Berlusconi si è limitato a dire: «Non ho una mia opinione a riguardo, ma ci sono esponenti di spicco del Pdl che dicono di sì».
Ma il Pdl rischia di arrivare tardi. I contatti di Gava e Destro con il movimento di Luca Cordero di Montezemolo – a cui entrambi i deputati scajoliani ammettono di guardare con interesse – sono in corso da tempo. In programma nei prossimi giorni anche un confronto con l’Udc di Pier Ferdinando Casini. Tra i brividi dei parlamentari Pdl, la situazione resta confusa. Ieri sera Gava aveva sospeso il suo passaggio al gruppo misto della Camera («in attesa di capire che decisioni intende assumere il partito»). Oggi è tornato a criticare la linea dell’esecutivo. «Non basta più che chi è più fortunato dia consigli al premier in conversazioni private e gli altri si limitino a mugugnare tra i corridoi e il Transatlantico», ha spiegato. «Serve una assunzione di responsabilità politica comune».